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Antonio Carozza, 54 anni, muratore e agricoltore disoccupato, padre. Uccide la moglie con 41 coltellate

Carlantino (Foggia), 10 Marzo 2023


Titoli & Articoli

Omicidio De Santis, il marito sotto choc non ricorda nulla (Quotidiano del Sud – 11 marzo 2023)
All’indomani dell’omicidio della moglie (e del tentato suicidio) sarebbe in stato di choc, tanto da non ricordare nulla di quanto avvenuto. Antonio Carozza 54 anni, l’uomo in stato di fermo con l’accusa di avere ucciso con 41 coltellate la moglie Pietronilla De Santis giovedì scorso a Carlantino nel Foggiano, vivrebbe una parziale amnesia dei fatti. A riferirlo è il suo avvocato, Mario Genovese, che ha avuto un breve colloquio con l’uomo che è ricoverato nell’ospedale di Foggia perché, come detto, dopo l’omicidio si è lanciato dal balcone al primo piano della casa di famiglia.
Carrozza, che dal 2010 era in cura presso il Centro Igiene Mentale di Lucera, allo stato attuale è sedato e piantonato nel reparto di chirurgia toracica. Oltre alle lesioni provocate dalla caduta, si è anche ferito con un coltello al torace e il taglio ha interessato anche un polmone. A scoprire l’omicidio era stata la figlia al suo rientro dal lavoro. Trovata la madre morta e il padre poco distante con il coltello in mano ha cercato di disarmarlo ma questi prima si è ferito con il coltello usato per uccidere la moglie e poi si è lanciato dal balcone.

 

Giudice di Carlantino: “Qui ci sono sempre stati, e ci sono ancora, mariti che alzano le mani sulle mogli” (l’Immediato – 12 marzo 2023)
Carlantino sconvolta dopo il femminicidio di Petronilla De Santis, uccisa dal marito Antonio Carozza (in foto) al termine di una lite. Sul caso si è espresso, in una lettera, Antonio Donato Coscia, giudice penale in servizio presso il Tribunale di Bari e residente proprio nella piccola Carlantino.
“L’omicidio della signora De Santis ha scosso me personalmente e tutta la nostra piccola comunità”. Ecco cosa scrive nella sua lettera aperta: “Praticamente a ogni udienza al Tribunale di Bari mi capita un processo per il reato di maltrattamenti in famiglia. Tra tutti i processi sono quelli che celebro con più dispiacere, perché, quale che sia l’esito, rimuginandoci sopra a fine giornata, mentre torno a casa, sento sempre l’amaro in bocca, la sensazione di essere arrivato tardi, quando il danno è fatto, le famiglie disfatte, il dolore irreparabile. Ci sono i processi facili, quelli dei mariti apertamente retrogradi, emotivamente immaturi e violenti, abituati a pensare che la donna non può e non deve autodeterminarsi, ma deve subire le decisioni di vita e di morte dell’uomo che pensa di possederla, per il quale l’eventuale scelta dell’altra parte di porre fine al rapporto è un atto d’insubordinazione che non è ammesso a prescindere e che deve essere punito, anche con le botte.E poi ci sono i processi difficili, in cui quegli stessi mariti, nella società, davanti agli occhi dei parenti, amici e vicini di casa, appaiono come uomini miti, pacati e ragionevoli, magari deboli e con problemi psichici; in cui gli stessi atti di violenza non sono manifesti, non assumono – almeno non subito – la forma delle aggressioni fisiche, ma cominciano con altre vessazioni, con l’ossessione di controllare la vita dell’altro. Sono processi difficili, perché si usa uno strumento, la punizione, dove sarebbe stato meglio usarne un altro molto prima, e cioè l’educazione e la salute.
Educare gli uomini ad abbandonare la cultura della sopraffazione e del possesso, a esprimere in maniera matura i propri sentimenti e malesseri, a piangere e ad accettare un rifiuto, senza che ciò li faccia sentire meno uomini agli occhi della società. Quello che è accaduto a Carlantino mi riempie di dolore, come carlantinese e come giudice. Però non ci possiamo limitare a essere addolorati. Non è giusto. Sappiamo tutti che a Carlantino ci sono sempre stati, e ci sono ancora, mariti che alzano le mani sulle mogli.
Lo fanno perché hanno sempre visto i padri fare la stessa cosa sulle madri, perché pensano che la violenza sia il modo in cui l’uomo deve trattare la donna per essere uomo. Alcuni di noi sanno anche chi sono, questi mariti, ma pensano che siano questioni famigliari private, preferiamo tutti non intrometterci. E invece dobbiamo farlo. Dobbiamo cominciare a riconoscere che, come comunità, abbiamo un problema culturale e lo dobbiamo risolvere. Quando queste donne ci chiedono un consiglio, perché spesso sono stanche e disperate, dobbiamo dire loro di denunciare i mariti, e non di starsene zitte.
Vi posso assicurare che le forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria ci sono e sono sensibili a questi reati: grazie a una legge del 2019, a pochi giorni dalla denuncia, è possibile ottenere l’applicazione di misure cautelari, prima tra tutte l’allontanamento dalla casa famigliare e, quando serve, anche la custodia cautelare in carcere. Abbraccio la famiglia di Petronilla De Santis e il mio pensiero va ai suoi quattro figli, che la comunità e le istituzioni non devono lasciare da soli nel loro dolore”.


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