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Come e perché nasce iqd

Era l’estate del 2012. Solo da pochi mesi si era iniziato a parlare in maniera più approfondita di “femminicidio”, si discuteva ancora persino del termine. Le uccisioni di donne in quanto donne raggiungevano già le cifre odierne, ma non se ne aveva la percezione perchè la cronaca non si prodigava troppo sull’argomento. Iniziavano però a comparire le foto delle vittime. In Quanto Donna (IQD) nasce quasi per caso, dall’anteprima di una cartella in cui erano state salvate le storie di femminicidio. La visione di quelle foto, tutte insieme, mai viste fino a quel momento, era impressionante. Non solo quante (le foto raccolte solo negli ultimi sei mesi), ma quanto fossero diverse tra loro le donne uccise: donne di tutte le età, fisicamente molto differenti una dall’altra, di ogni tipo, sorridenti o meno.

Il problema era evidente fin da subito: il femminicidio non è una questione di donne. Non può dipendere dalla donna, da com’è o da come si veste, da come sorride o lavora o da quello che decide di fare della propria vita. Perchè le donne uccise sono tutte diverse e hanno storie diverse.

Tutte hanno solo una cosa in comune: l’essere state uccise da un uomo in quanto donne.

Già. Contrariamente a quanto hanno cercato di farci credere, non esiste alcuna provocazione, nessuna gelosia, nessun comportamento o vestito indossato che possa giustificare un uomo che uccide. Meno che mai un uomo che uccide una donna, proprio quella che avrebbe dovuto amare. Quella donna che di lui si fidava, che gli apriva la porta di casa, che con lui aveva avuto dei figli, che dormiva nel letto al suo fianco.

Ecco. Ma quella donna – oltre essere la sua fidanzata, sua moglie o la sua ex, oltre ad aver litigato con lui o averlo lasciato – esattamente chi era? cosa faceva? che interessi aveva nella sua vita, quante cose aveva fatto, quante ancora ne avrebbe volute fare?

Queste domande, nel 2012 quando inizia la raccolta di IQD, non avevano quasi mai risposta. La donna era descritta quasi esclusivamente come appendice dell’uomo, nessun accenno alle sue qualifiche, al lavoro svolto, talvolta identificata solo come “la moglie” senza neppure il riconoscimento del nome.

Una narrazione che ha lo stesso identico sapore del femminicidio: l’annullamento della figura della donna, la sottovalutazione e lo svilimento del suo ruolo nella società, la totale dipendenza dall’uomo che ne decide vita, morte e perfino l’esistenza in vita. 

Una donna che la narrazione vuole priva di vita ancora prima di morire, in modo che forse anche la sua uccisione sembri meno grave.

Perché la narrazione maschile concede il privilegio dell’attenzione, e della giustificazione, all’uomo, che viene descritto quasi sempre un lavoratore indefesso e un padre esemplare, una persona cordiale che salutava sempre, che spesso la domenica andava a funghi o giocava a tennis. A lui, e a lui soltanto, è concesso il privilegio di una narrazione empatica, tesa a presentarlo nella sua completezza di essere umano, maschio, lavoratore, padre, sportivo, socialmente inserito e spesso benvoluto.

Possiamo ora noi – giuria popolare, dico a voi – condannare un uomo che ha sempre svolto con onore e dignità i propri compiti, un valore aggiunto e una risorsa per la collettività? (Al contrario di quella donna “inutile” che non si sa cosa abbia fatto nella vita!)

Questo è lo scopo di tale narrazione: l’assoluzione popolare, il perdurare indomito di una mentalità patriarcale ormai antiquata anche per il codice penale, e che pure permane con controproducente ostinazione nel substrato culturale dell’intera società, contorcendo sentimenti, distorcendo narrazioni, inquinando financo le sentenze. Una società dove ancora la donna è proprietà dell’uomo, che ne decide vita e morte. 

La narrazione patriarcale del 2012 era supportata dalle immagini che accompagnavano la cronaca. Quasi mai comparivano le foto di donne anziane o di mezza età, mentre c’era grande abbondanza di foto di ragazze giovani e carine, preferibilmente in pose ammiccanti che ne giustificavano – nei cervelli permeati da stereotipi secolari – l’uccisione per gelosia. Nell’immaginario collettivo, le donne uccise erano tutte giovani, carine e “poco serie”. L’intenzione, dolosa o colposa, era in qualche modo quella di far vivere ancora, nella mente collettiva, una sorta di delitto d’onore, già abrogato dalla giurisprudenza nel – seppur relativamente recente – 1981.

E poi gli uomini. Chi uccideva era l’uomo nero: un essere non identificabile, immaginabile evidentemente come un mostro che chiunque – tranne la vittima sventurata – avrebbe riconosciuto ed evitato al primo sguardo. Le foto di questi mariti o fidanzati che uccidevano le donne non comparivano quasi mai. La media delle foto degli assassini era di 1 uomo ogni 5 donne, quasi sempre quando l’uomo si era suicidato o era, letteralmente, un uomo nero ossia straniero.

Non si trattava solo di protezione della privacy dell’uomo (mentre la donna veniva pubblicata anche nuda e cadavere, mutilata o sfigurata), ma anche della necessità di allontanare dalla credenza comune l’ipotesi che l’assassino potesse essere un uomo come tutti gli altri, una figura maschile banale, magari anche con la pancia e i capelli bianchi, vestito in giacca e cravatta, apparentemente innocuo, simile a un parente o un vicino di casa. Come invece le foto dimostrano che è: un uomo qualunque, di ogni tipo, età, apparenza, professione e ceto sociale.

La narrazione dell’uccisione, poi, veniva (e viene tuttora) totalmente lasciata alle parole dell’assassino. Lui poteva e può raccontare che lei lo tradiva, che voleva lasciarlo, che aveva iniziato lei a tentare di ucciderlo e lui si era solo difeso, o addirittura che lei si stava ammazzando da sola e lui aveva persino cercato di salvarla, invano! Racconti del terzo tipo di improbabilità, spesso visibilmente contraddittori anche a un occhio non necessariamente esperto, che pure acquistano una immeritata considerazione mediatica.

Ad esempio, una delle prime storie raccolte da IQD raccontava di una donna uccisa da un collega di lavoro, il quale riferiva di essere l’amante e di averla uccisa per gelosia. L’assassino in questione, dopo aver ucciso la donna, ha avuto oltretutto modo di infangarne la memoria. Difatti, nessuno oltre lui sapeva di quella presunta relazione, e non vi è alcuna prova che fosse reale.

Eppure i media hanno dato credito alle parole di un assassino: ovunque si leggeva che la donna uccisa era la sua amante e che lui l’avrebbe uccisa perché lei non aveva nessuna intenzione di lasciare per lui il marito e la figlia. Cosa rende le parole di un assassino credibili? 

La donna uccisa non può difendersi, non ha modo di contraddire e soprattutto non può aprire nessuna causa legale contro i giornali che la diffamano o pubblicano le sue foto private.  L’assassino, invece, sì.

Accade così che una ragazzina di tredici anni appena rimasta orfana legga sui giornali che la propria mamma è stata uccisa dall’amante di cui non conosceva l’esistenza. Accade così che un marito rimasto vedovo diventi agli occhi di tutti un marito ingenuo e tradito, anche se forse questo non è mai accaduto nella realtà, ma diviene reale attraverso un infondato riverbero mediatico .
Mentre quell’uomo che ha ucciso continua – e gli viene data la possibilità di continuare, addirittura amplificandone le parole – a fare del male a quella donna e a tutti i suoi cari.

Così, della donna uccisa, non solo viene cancellata ogni traccia di vita, ma ne viene anche pubblicamente infangata la memoria, con la complicità di media compiacenti il cui unico interesse è quello di attirare morbose curiosità e ripercorrere ossessivamente gli stereotipi della gelosia, del tradimento, del raptus e di tutto ciò che ripropone il potere di vita, di morte e di giudizio dell’uomo sulla donna.

InQuantoDonna (IQD) nasce per restituire a queste donna la giusta memoria. Per sottolineare e riconoscere gli stereotipi che permettono il ripetersi ossessivo e infinito di questa incivile mattanza quotidiana. Per diffondere la consapevolezza necessaria. Per contraddire e correggere il linguaggio errato della narrazione, perché le parole sono l’espressione della realtà e sono in grado di modificarla. Per riconoscere le responsabilità di tutti. Per dare un contributo utile all’evoluzione di uomini e donne verso nuove e più civili forme di convivenza, rispetto e libertà. 

InQuantoDonna (IQD) è, ad oggi, il primo e unico osservatorio sulla narrazione del femminicidio in Italia, e l’unico sito che pubblichi le foto degli uomini che hanno ucciso le donne in quanto donne. 

Ciò non rappresenta – come taluni vorrebbero far credere – una gogna mediatica né una presunta lesione del diritto all’oblio, ma semplicemente un doveroso diritto di cronaca. Raccontare i fatti per come sono realmente accaduti, includendo ogni aspetto fondamentale, riconoscendo i ruoli dei protagonisti – come appunto l’ineludibile autore del fatto -, è un resoconto storico necessario: indispensabile alla completa comprensione dell’accaduto e alla formazione di un giudizio basato sulla corretta interpretazione dei fatti.

Una base necessaria a formare e diffondere quella coscienza (finora mancante) che possa limitare il ripetersi infinito di un simile evento.

Le foto degli uomini che commettono femminicidio sono necessarie per comprendere che chi uccide non è “l’uomo nero” ma un uomo qualsiasi, spesso un bel ragazzo o un professionista affermato, proprio quello che gli stereotipi vorrebbero come “marito ideale“. Così come accade per le donne uccise, anche tra le foto degli uomini che uccidono potrete ritrovare somiglianze con qualcuno di vostra conoscenza, che sia un parente, un amico o un vicino di casa.

Questo serve a capire che il femminicidio (così come la violenza contro le donne, di cui il femminicidio rappresenta solo il più evidente e incontestabile apice), è qualcosa che riguarda tutti, nessuno escluso, e che potrebbe – direttamente o indirettamente- capitare a ognuno di noi.

Ognuno di noi può contrastare la violenza contro le donne e il femminicidio: imparando a riconoscere e smascherare gli stereotipi, liberandosi dagli archetipi mentali, dalle sovrastrutture indotte, criticando il linguaggio scorretto e la diffusione di immagini o concetti insinuanti, partecipando attivamente a questo cambiamento culturale necessario per tutti.
InQuantoDonna (IQD) nasce per tutto questo.