Carla Barghini, 73 anni, mamma e nonna. Strangolata con un laccio da scarpe dal marito, dopo anni di maltrattamenti
Colline (Livorno), 31 Marzo 2014
Per tutti erano una coppia normalissima. Invece lei aveva vissuto una vita d’inferno e diceva “prima o poi mi ammazza”. Per questo, nonostante l’età, aveva deciso di separarsi, ma non ha fatto in tempo.
Mauro Signorini, 82 anni, autista di autobus e poi elettricista in pensione, padre e nonno. Aveva paura di vivere senza di lei.
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Il delitto di Colline, incredulità e dolore: chi lo dirà ai tre nipotini?
“Una famiglia specchiata. Gente per bene. Li conosciamo da molti anni. Mai avremmo immaginato che potesse accadere una tragedia simile. Carla aveva avuto problemi di salute, qualche anno fa al seno e più recentemente era stata operata all’anca. Mauro è stato da giovane autista degli autobus alla vecchia Lazzi, una persona seria. Il figlio ha fatto carriera a Roma. E’ufficiale di Marina. Avranno litigato come accade in tutte le famiglie...”
Così i vicini di casa di Carla Barghini, 71 anni, uccisa domenica sera dal marito Mauro Signorini, 82 anni, commentano la tragedia vissuta in via Lorenzini, nel cuore del quartiere Colline. I coniugi Signorini vivevano al quinto piano del numero civico 21 in un grosso complesso popolare dove abitano 126 famiglie. Ieri le finestre del balcone sono rimaste chiuse, gli avvolgibili abbassati. “Pensare che hanno tre splendidi nipoti è davvero incredibile, siamo tutti molto addolorati”, commenta la coppia che abita al piano terra, ancora visibilmente scossa.
Livorno, strangola moglie con un laccio per scarpe: 82enne arrestato
Dopo lʼomicidio, lʼuomo stava per suicidarsi. A bloccarlo lʼarrivo dei carabinieri, allertati dal figlio. Ai militari lʼanziano ha subito confessato tutto. Temeva di restare solo la separazione
Ha ucciso nella notte la moglie, una donna di 71 anni, e ha confessato tutto ai carabinieri. Protagonista Mauro Signorini, 82 anni, di Livorno, che ha strangolato la donna, Carla Barghini, con un laccio per le scarpe al termine di una furiosa lite. Ai militari, accorsi sul posto, l’uomo ha indicato il corpo della moglie ed è stato portato in caserma e arrestato per omicidio. Inutili i soccorsi: l’anziana era già morta.
La donna è stata trovata sul letto priva di vita, con i segni dello strangolamento sul collo. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, la coppia era in fase di separazione. Le forze dell’ordine sono state avvisate dal figlio della coppia, che abita a Roma, e che aveva ricevuto a sua volta una telefonata dal padre.
L’uomo gli aveva detto di aver litigato con la moglie, aggiungendo che la donna si era poi sentita male. Il figlio successivamente non era più riuscito a mettersi in contatto con il padre e ha così chiamato i carabinieri che sono intervenuti arrestando l’uomo.
L’anziano voleva suicidarsi – Dopo aver strangolato la moglie, Signorini avrebbe voluto suicidarsi, ma il gesto è stato impedito proprio dall’arrivo dei militari. Sono stati gli stessi infatti ad accertare che l’anziano aveva predisposto un cappio, collegato a un avvolgibile di una finestra dell’abitazione, per impiccarsi. All’origine del delitto sembra ci sia la paura dell’uomo di restare solo dopo la separazione dalla moglie.
Strangolò la moglie, condannato a 8 anni: tra le attenuanti c’è anche la provocazione
C’è anche la provocazione tra le tre attenuanti che il giudice ha riconosciuto a Mauro Signorini, 84 anni, marito assassino, condannato con rito abbreviato a otto anni di reclusione per l’omicidio della moglie Carla Barghini, 73. Si è chiuso così – in un clima di tensione dove l’imputato è uscito dal Tribunale protetto dal figlio – il processo per il delitto di via Lorenzini, quartiere Colline.
Era la sera del 30 marzo di un anno fa, quando l’ex elettricista in pensione – in preda all’ira – sfilò il laccio di una scarpa e all’apice dell’ennesima lite strangolò la donna con la quale era sposato da 54 anni nella loro camera da letto. Dopodiché chiamò proprio il figlio che abita a Roma per dare l’allarme prima di tentare di togliersi la vita, senza però riuscirci. Nel dispositivo letto dopo oltre tre ore di camera di consiglio dal giudice Ottavio Mosti, oltre alle attenuanti generiche, non si fa riferimento a nessuna misura cautelare interdittiva nei confronti dell’imputato, come ad esempio il trasferimento in un ospedale psichiatrico. Dunque l’84enne, in attesa di un eventuale appello, resterà nella sua casa dove ha l’obbligo di dimora.
Adesso per capire meglio e più a fondo il senso della scelta dell’attenuante della provocazione e comprenderne la base giuridica, sarà necessario aspettare 90 giorni, quando saranno depositate le motivazioni della sentenza. Ecco perché, al momento, è solo possibili fare delle congetture sulla costruzione della sentenza. Soprattutto ripercorrendo sia il delitto, che le motivazioni che furono date dall’uomo durante il lungo interrogatorio con i carabinieri dopo il ritrovamento del cadavere. Ma anche attraverso i risultati delle perizie psichiatriche a cui è stato sottoposto l’anziano, e le sette udienze che hanno preceduto la sentenza.
Gelosia assassina. All’indomani del delitto, il primo a parlare di un omicidio legato alla gelosia fu il nipote della vittima. «Lo aveva detto chiaro e tondo – raccontò Nicola Barghini riferendosi a una conversazione di pochi giorni prima – voleva venire via da quella casa e da quel marito perché “lui prima o poi mi ammazza”. Purtroppo la zia aveva ragione…». Dal racconto del nipote emerse un rapporto talmente burrascoso da diventare un inferno dal quale fuggire. «Era andata in un centro che si occupa di violenza sulle donne – raccontò ancora – Le avevano assegnato un’assistente e consigliato un avvocato, una donna, con cui aveva avviato le pratiche per la separazione. Ormai era decisa, non ne poteva più. Voleva separarsi dal marito, vendere l’appartamento di Livorno e tornare a Piombino per vivere in pace il resto della sua vita. Ma non ce l’ha fatta».
Quell’appuntamento preso con l’avvocato per chiedere la separazione sarebbe dovuto avvenire proprio il giorno successivo all’omicidio. Forse – è anche la certezza degli investigatori – proprio questa paura avrebbe innescato la furia del marito che evidentemente dopo oltre mezzo secolo di matrimonio non aveva nessuna intenzione di accettare la separazione.
«Si era confidata, sfogata dopo una vita d’inferno. Noi non immaginavamo. Per tutti lei e mio zio erano una coppia normalissima, anzi una coppia modello. Invece il marito, lo abbiamo saputo dopo, era accecato dalla gelosia. Soltanto ora mi spiego per quale motivo non avessero amici e non frequentassero nessuno all’infuori della ristretta cerchia familiare».
Perizie su perizie. Quello che si è chiuso mercoledì 20 maggio è stato un processo fatto soprattutto di perizie. Nell’ultima, chiesta dal giudice, è emerso che Mauro Borghini: «è parzialmente capace di intendere e volere e l’omicidio della moglie è stato un delitto d’impeto, non premeditato. In ogni caso è imputabile». Nell’udienza successiva, andata in scena a metà aprile, il pubblico ministero Daniele Rosa aveva chiesto per l’imputato una pena complessiva a dieci anni di reclusione. Il pm pochi minuti dopo la lettura del dispositivo spiega come «si dovrà aspettare le motivazioni per valutare la scelta del giudice, soprattutto per quello che riguarda l’attenuante della provocazione l’interpretazione dell’infermità». Molto probabilmente con le motivazioni in mano la Procura deciderà e se fare appello, anche se l’idea sembra quella di non impugnare la sentenza. Nessun commento, invece, da parte degli avvocati difensori dell’imputato e nemmeno dai suoi familiari. Così l’ultima immagine di questa vicenda è quella di un gruppetto di persone che si allontana dal tribunale in silenzio e di un anziano che si guarda alle spalle.