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Mario Signorini, 82 anni, autista di autobus ed elettricista in pensione, padre e nonno. Strangola la moglie con un laccio da scarpe. Condannato a 8 anni di carcere gli viene riconosciuta l’attenuante della provocazione

Colline (Livorno), 31 Marzo 2014


Titoli & Articoli

Il delitto di Colline, incredulità e dolore: chi lo dirà ai tre nipotini? (La Nazione – 31 marzo 2014)
Una famiglia specchiata. Gente per bene. Li conosciamo da molti anni. Mai avremmo immaginato che potesse accadere una tragedia simile. Carla aveva avuto problemi di salute, qualche anno fa al seno e più recentemente era stata operata all’anca. Mauro è stato da giovane autista degli autobus alla vecchia Lazzi, una persona seria. Il figlio ha fatto carriera a Roma. E’ufficiale di Marina. Avranno litigato come accade in tutte le famiglie...”
Così i vicini di casa di Carla Barghini, 71 anni, uccisa domenica sera dal marito Mauro Signorini, 82 anni, commentano la tragedia vissuta in via Lorenzini, nel cuore del quartiere Colline. I coniugi Signorini vivevano al quinto piano del numero civico 21 in un grosso complesso popolare dove abitano 126 famiglie. Ieri le finestre del balcone sono rimaste chiuse, gli avvolgibili abbassati. “Pensare che hanno tre splendidi nipoti è davvero incredibile, siamo tutti molto addolorati”, commenta la coppia che abita al piano terra, ancora visibilmente scossa.

Livorno, strangola moglie con un laccio per scarpe: 82enne arrestato (TgCom – 31 marzo 2014)
Dopo lʼomicidio, lʼuomo stava per suicidarsi. A bloccarlo lʼarrivo dei carabinieri, allertati dal figlio. Ai militari lʼanziano ha subito confessato tutto. Temeva di restare solo la separazione
Ha ucciso nella notte la moglie, una donna di 71 anni, e ha confessato tutto ai carabinieri. Protagonista Mauro Signorini, 82 anni, di Livorno, che ha strangolato la donna, Carla Barghini, con un laccio per le scarpe al termine di una furiosa lite. Ai militari, accorsi sul posto, l’uomo ha indicato il corpo della moglie ed è stato portato in caserma e arrestato per omicidio. Inutili i soccorsi: l’anziana era già morta.
La donna è stata trovata sul letto priva di vita, con i segni dello strangolamento sul collo. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, la coppia era in fase di separazione. Le forze dell’ordine sono state avvisate dal figlio della coppia, che abita a Roma, e che aveva ricevuto a sua volta una telefonata dal padre.
L’uomo gli aveva detto di aver litigato con la moglie, aggiungendo che la donna si era poi sentita male. Il figlio successivamente non era più riuscito a mettersi in contatto con il padre e ha così chiamato i carabinieri che sono intervenuti arrestando l’uomo.
L’anziano voleva suicidarsi – Dopo aver strangolato la moglie, Signorini avrebbe voluto suicidarsi, ma il gesto è stato impedito proprio dall’arrivo dei militari. Sono stati gli stessi infatti ad accertare che l’anziano aveva predisposto un cappio, collegato a un avvolgibile di una finestra dell’abitazione, per impiccarsi. All’origine del delitto sembra ci sia la paura dell’uomo di restare solo dopo la separazione dalla moglie.

 

Strangolò la moglie, condannato a 8 anni: tra le attenuanti c’è anche la provocazione (il Tirreno – 20 maggio 2015)
C’è anche la provocazione tra le tre attenuanti
che il giudice ha riconosciuto a Mauro Signorini, 84 anni, marito assassino, condannato con rito abbreviato a otto anni di reclusione per l’omicidio della moglie Carla Barghini, 73. Si è chiuso così – in un clima di tensione dove l’imputato è uscito dal Tribunale protetto dal figlio – il processo per il delitto di via Lorenzini, quartiere Colline.
Era la sera del 30 marzo di un anno fa, quando l’ex elettricista in pensione – in preda all’ira – sfilò il laccio di una scarpa e all’apice dell’ennesima lite strangolò la donna con la quale era sposato da 54 anni nella loro camera da letto. Dopodiché chiamò proprio il figlio che abita a Roma per dare l’allarme prima di tentare di togliersi la vita, senza però riuscirci. Nel dispositivo letto dopo oltre tre ore di camera di consiglio dal giudice Ottavio Mosti, oltre alle attenuanti generiche, non si fa riferimento a nessuna misura cautelare interdittiva nei confronti dell’imputato, come ad esempio il trasferimento in un ospedale psichiatrico. Dunque l’84enne, in attesa di un eventuale appello, resterà nella sua casa dove ha l’obbligo di dimora.
Adesso per capire meglio e più a fondo il senso della scelta dell’attenuante della provocazione e  comprenderne la base giuridica, sarà necessario aspettare 90 giorni, quando saranno depositate le motivazioni della sentenza.  Ecco perché, al momento, è solo possibili fare delle congetture sulla costruzione della sentenza. Soprattutto ripercorrendo sia il delitto, che le motivazioni che furono date dall’uomo durante il lungo interrogatorio con i carabinieri dopo il ritrovamento del cadavere. Ma anche attraverso i risultati delle perizie psichiatriche a cui è stato sottoposto l’anziano, e le sette udienze che hanno preceduto la sentenza.
Gelosia assassina. All’indomani del delitto, il primo a parlare di un omicidio legato alla gelosia fu il nipote della vittima. «Lo aveva detto chiaro e tondo – raccontò Nicola Barghini riferendosi a una conversazione di pochi giorni prima – voleva venire via da quella casa e da quel marito perché “lui prima o poi mi ammazza”. Purtroppo la zia aveva ragione…».  Dal racconto del nipote emerse un rapporto talmente burrascoso da diventare un inferno dal quale fuggire. «Era andata in un centro che si occupa di violenza sulle donne – raccontò ancora – Le avevano assegnato un’assistente e consigliato un avvocato, una donna, con cui aveva avviato le pratiche per la separazione. Ormai era decisa, non ne poteva più. Voleva separarsi dal marito, vendere l’appartamento di Livorno e tornare a Piombino per vivere in pace il resto della sua vita. Ma non ce l’ha fatta».
Quell’appuntamento preso con l’avvocato per chiedere la separazione sarebbe dovuto avvenire proprio il giorno successivo all’omicidio.
Forse – è anche la certezza degli investigatori – proprio questa paura avrebbe innescato la furia del marito che evidentemente dopo oltre mezzo secolo di matrimonio non aveva nessuna intenzione di accettare la separazione.
«Si era confidata, sfogata dopo una vita d’inferno. Noi non immaginavamo. Per tutti lei e mio zio erano una coppia normalissima, anzi una coppia modello. Invece il marito, lo abbiamo saputo dopo, era accecato dalla gelosia. Soltanto ora mi spiego per quale motivo non avessero amici e non frequentassero nessuno all’infuori della ristretta cerchia familiare».
Perizie su perizie. Quello che si è chiuso mercoledì 20 maggio è stato un processo fatto soprattutto di perizie. Nell’ultima, chiesta dal giudice, è emerso che Mauro Borghini: «è parzialmente capace di intendere e volere e l’omicidio della moglie è stato un delitto d’impeto, non premeditato. In ogni caso è imputabile». Nell’udienza successiva, andata in scena a metà aprile, il pubblico ministero Daniele Rosa aveva chiesto per l’imputato una pena complessiva a dieci anni di reclusione. Il pm pochi minuti dopo la lettura del dispositivo spiega come «si dovrà aspettare le motivazioni per valutare la scelta del giudice, soprattutto per quello che riguarda l’attenuante della provocazione l’interpretazione dell’infermità». Molto probabilmente con le motivazioni in mano la Procura deciderà e se fare appello, anche se l’idea sembra quella di non impugnare la sentenza. Nessun commento, invece, da parte degli avvocati difensori dell’imputato e nemmeno dai suoi familiari. Così l’ultima immagine di questa vicenda è quella di un gruppetto di persone che si allontana dal tribunale in silenzio e di un anziano che si guarda alle spalle.

Uccise la moglie, sentenza confermata: va in carcere a 86 anni (il Tirreno – 8 settembre 2018)
La mattina di giovedì 6 settembre quando i carabinieri si sono presentati a casa di Mauro Signorini, l’ex elettricista che ha la sera del 30 maggio 2014 uccise la moglie strangolandola con il laccio di una scarpa, l’ottantaseienne è rimasto sorpreso. «Prepari la borsa perché la dobbiamo portare in carcere», hanno spiegato i militari. In mano il provvedimento con il quale il pubblico ministero richiedeva l’applicazione della sentenza definitiva con cui la Cassazione nei giorni scorsi ha confermato la condanna di primo e secondo grado a otto anni di reclusione per omicidio volontario con l’attenuante della provocazione nei confronti della moglie Carla Barghini.
L’anziano, arrestato la notte del delitto avvenuto nella zona di Colline al termine dell’ennesimo litigio per gelosia tra i coniugi (la vittima voleva separarsi), ha già scontato una piccola parte della condanna. Tanto che – spiegano dal comando provinciale dei carabinieri – questa si è ridotta a sette anni, un mese e dieci giorni di reclusione. Possibile visto che si tratta di una persona di quasi 90 anni che resti in carcere così a lungo? In via teorica potrebbe accadere, anche perché in giro per le carceri italiani ci sono diversi ultraottantenni detenuti. Il motivo? L’omicidio, come altri reati, è esclusi da quelli che evitano agli ultrasettantenni – così recita il codice – di entrare in carcere nonostante sentenze definitive.
Ma gli avvocati dell’anziano, dopo l’applicazione del provvedimento, si sono messi al lavoro per far sì che l’uomo – soprattutto viste le condizioni di salute – venga trasferito al più presto ai domiciliari. Difficile dire quanti giorni ci vorranno e se la richiesta sarà accettata poiché si tratta di tempi tecnici. «Il difensore – spiega chi ha seguito il caso – deve presentare un’istanza al pubblico ministero che a sua volta deve dare il proprio parere». L’ultima decisione spetta al giudice del tribunale di sorveglianza che dovrà valutare se esistono o meno ostacoli al trasferimento dell’anziano ai domiciliari. Decisione che potrebbe arrivare anche all’inizio della prossima settimana. Nel frattempo Signorini ha già trascorso le prime due notti nel carcere delle Sughere.


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