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L’assassino del bosco. Sevizia, imbavaglia, violenta e uccide con un colpo di pistola alla tempia una ragazza, poi abbandona il corpo nel bosco. Il caso rimane irrisolto e viene archiviato. Vent’anni dopo viene individuato il probabile assassino, ma i reperti sono andati distrutti e non è possibile effettuare il test del Dna

San Martino di Castrozza (Trento), 17 Agosto 1990


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L’assassino del bosco: il terrificante omicidio di Maria Luisa De Cia
Maria Luisa De Cia è una ragazza di 28 anni residente a Cornuda, in provincia di Treviso. Lavora come ragioniera ed è fidanzata con Mauro, un procuratore legale. Reduce da alcune relazioni finite in malo modo, stavolta il rapporto tra i due va molto bene e Maria Luisa ha intenzione di presentare il suo compagno ai genitori. Il 3 Agosto del 1990 arriva a Sovramonte, in provincia di Belluno, per trascorrere una vacanza insieme ai familiari. Maria Luisa è una ragazza solare, affabile e attiva. È molto appassionata di escursioni all’aria aperta. I giorni di ferie trascorrono in maniera piuttosto animata, la giovane non dorme mai nello stesso posto ma trascorre le sue notti alternandosi tra la casa del fidanzato, l’abitazione del fratello e i rifugi di montagna.
16 Agosto. È mattina quando i genitori di Maria Luisa si alzano e notano la presenza di un biglietto lasciato dalla figlia su cui è scritto “Sono andata verso San Martino”. Una passeggiata di montagna che attraverso i sentieri conduce al rifugio del Velo della Madonna, situato a un’altitudine di 2358 metri. Sembrerebbe quindi che la ragazza abbia deciso di passare la giornata dedicandosi alla sua passione per le gite in mezzo alla natura. Purtroppo però questa volta la situazione prenderà una piega inaspettata e terribile.
Un omicidio in montagna. È ormai sera inoltrata e Maria Luisa non ha ancora fatto ritorno a casa. La notte trascorre senza nessuna notizia da parte della giovane e così il mattino seguente il padre decide di andare a cercarla in direzione di San Martino, come riportato sul biglietto trovato il giorno precedente. Arriva al sentiero 713 e nota la macchina della figlia, una Panda rossa, chiusa e parcheggiata. In seguito a questo ritrovamento viene organizzata una squadra di ricerca con il compito di setacciare tutto il territorio circostante. Poco tempo dopo arriverà una scoperta sconcertante.
A 30 metri dal sentiero, in uno spiazzo nel mezzo della vegetazione, giace il corpo senza vita di Maria Luisa. Lo scenario è decisamente inquietante: la vittima è nuda dalla vita in giù ad eccezione dei calzini, indossa una maglietta e le sue gambe sono divaricate. Nelle vicinanze del corpo sono presenti lo zaino, le scarpe, i pantaloni, gli slip e i suoi occhiali, con le aste ripiegate e appoggiati alla base di un albero. Il cadavere ha un nastro adesivo nero girato con forza intorno alla testa e che le passa attraverso la bocca spalancata. È stata uccisa con un colpo di pistola alla tempia, utilizzando un’arma caricata a pallettoni modificata appositamente per essere in grado di uccidere. La vittima ha segni di legature ai polsi e alle caviglie ma le corde sono state portate via dall’assalitore. Ha una clavicola slogata, non ci sono tracce di violenza sessuale ma sul corpo ci sono delle lesioni che sembrano indicare che la ragazza sia stata seviziata.
Un omicidio agghiacciante e inspiegabile, accaduto in un luogo bellissimo immerso nello splendido paesaggio delle Dolomiti.
Le indagini. La posizione di Mauro, il compagno, venne analizzata ed emerse che per il giorno dell’omicidio aveva un alibi di ferro, motivo per cui viene escluso dalla lista dei sospettati.
Gli inquirenti iniziano a ricercare possibili indizi nelle ultime ore di vita della giovane. Effettivamente sembrano arrivare dei campanelli d’allarme in questa direzione. La sera del 15 Agosto Maria Luisa era stata al telefono con il fidanzato per circa 20 minuti, confidandogli di avere dei problemi importanti, senza però scendere in particolari. Lo informa anche che il giorno successivo avrebbe fatto una gita in montagna da sola. A cosa faceva riferimento la ragazza? Sempre la stessa sera ricevette un’altra chiamata. La giovane in quell’occasione utilizzò un tono più distaccato e rispondeva in maniera formale. Durante la telefonata disse “Possiamo anche vederci”. Nessuno ha mai saputo chi ci fosse dall’altro capo del filo né se questo insolito evento avesse una correlazione con quello che sarebbe accaduto il giorno seguente. Nel frattempo giungono delle testimonianze interessanti.
Una donna dichiara di aver avvistato qualcosa di potenzialmente importante la mattina del 16 Agosto alle 9:30 di mattina, a circa 30 chilometri dal luogo del delitto. La testimone aveva notato la presenza di una macchina accostata a lato della strada con a bordo un uomo sui 35 anni, dal volto allungato e una folta capigliatura con un ciuffo di capelli che cadeva sull’occhio sinistro. Il soggetto rimase in attesa per diverso tempo fino a quando sopraggiunse una Panda rossa guidata da una ragazza che si accostò e si mise a parlare con l’uomo. Dopo una breve conversazione i due ripartirono insieme a bordo dei propri veicoli. Anche un taxista dichiara di aver visto la stessa mattina le due auto mentre procedevano a passo lento una dietro l’altra sulla Statale 50. Il testimone li supera e mentre sorpassa nota che all’interno della Panda c’è una donna. Due avvistamenti credibili e convergenti. È possibile che Maria Luisa avesse fissato un appuntamento con qualcuno quel giorno? Poteva essere lei la ragazza a bordo della Panda rossa?
La Polizia realizza anche un identikit dell’uomo che era stato notato dalla testimone. Quel 16 Agosto la montagna era stata visitata da 1500 persone. Tre ragazzi che si trovavano sul sentiero dichiararono di aver sentito intorno alle 15:20 il rumore di uno sparo e di aver visto tre persone che correvano fino a raggiungere una 127 bordeaux per poi salire all’interno di essa e andarsene. Nello stesso arco temporale una coppia riferisce di aver sentito due urla: una più lunga e una più strozzata.
Le indagini furono accurate e scrupolose, gli inquirenti andarono a scandagliare tutte le amicizie e conoscenze della vittima, ma su nessuna di esse emersero elementi rilevanti. Dopo due anni e mezzo l’inchiesta raggiunse un punto morto: sembrava impossibile dare una spiegazione a ciò che era accaduto e rintracciare il colpevole. Il 9 Marzo 1993 l’indagine viene archiviata. Con il passare del tempo la vicenda perse di rilievo e come troppo spesso capita venne inghiottita da una nube di silenzio diventando un caso irrisolto.
Dopo 17 anni, sembra improvvisamente ricominciare a muoversi qualcosa. Nel 2010 l’inchiesta venne riaperta dalla Squadra Mobile di Trento che nel Gennaio 2011 individuò un sospettato. Si trattava di un imprenditore di 60 anni, proprietario di una baita situata a due chilometri dal sentiero in cui venne uccisa la vittima. Dalle indagini sembra che conoscesse Maria Luisa ed era somigliante all’identikit realizzato negli anni ’90. Si trattava di un cacciatore esperto ed era in grado di costruire armi artigianali. Una serie di circostanze che portò gli inquirenti alla convinzione di aver risolto il caso dopo tanto tempo. Tuttavia le speranze svanirono quando il test del DNA su quello che rimaneva dei reperti della scena del crimine, comparato con il DNA del sospettato, dette esito negativo. L’uomo uscì di scena e l’inchiesta venne nuovamente archiviata.

Omicidio De Cia, richiesta archiviazione
La squadra mobile di Trento è sicura di aver individuato il colpevole, ma la mancanza di prove farà sì che tutto finisca in nulla, complice anche la distruzione dei reperti.
Si tratta di un omicidio di 21 anni fa, quello di Maria Luisa De Cia, trovata uccisa tra i boschi del Primiero il 16 agosto 1990. La donna, originaria di Sovramonte e residente a Cornuda, aveva allora 28 anni. Il caso era già stato archiviato nel 1993. Era stato riaperto l’autunno scorso ma ora si va verso una nuova archiviazione, chiesta dal pubblico ministero Davide Ognibene perché «non sono emerse fonti di prova sufficienti per sostenere l’azione penale». E questo nonostante la squadra mobile sia convinta di aver individuato il presunto responsabile. Ma manca una prova da portare in tribunale a sostenere l’accusa, mancano i reperti su cui ora sarebbe possibile effettuare la prova del dna, perché sono stati distrutti.
Ma chi sarebbe? Secondo la squadra mobile di Trento tutto porterebbe ad un montebellunese, allora quarantenne, proprietario di una baita vicina al luogo del delitto. Oggi ha 61 anni, probabilmente anche lui toccato dalla crisi economica e quindi non più sulla cresta dell’onda. Hanno perquisito baita e casa, alla ricerca di un pezzo di nastro adesivo uguale a quello messo sulla bocca della povera ragazza quell’agosto di 21 anni fa, ma non è stato trovato alcunché.
Ma perché gli inquirenti della squadra mobile si sono indirizzati su di lui? La descrizione che ne viene fatta è di una persona sensibile alle grazie femminili, abile nella manualità, tanto da fabbricarsi armi e pallottole, proprietario di quella baita vicina al sentiero dove era passata la De Cia, spesso nei boschi a cacciare. E poi montebellunese e come tale, anche se lui ha negato quando è stato sentito, poteva conoscere la donna.
Anche l’arma utilizzata ha indirizzato i sospetti verso di lui: il cranio della De Cia era stato trapassato da un proiettile calibro 9 Flobert di fabbricazione artigianale sparato a bruciapelo e in casa dell’imprenditore era stato trovato un pentolino dove forgiare le ogive.  Ma alle convinzione degli inquirenti manca l’appoggio di una prova sostenibile in tribunale e quindi il pm ha chiesto l’archiviazione.
Maria Luisa De Cia, che lavorava a Cornuda, era andata in quei giorni nella casa dei suoi a Sorriva. Il 16 agosto era uscita di casa, aveva lasciato ai genitori un biglietto dove spiegava che andava verso San Martino e sarebbe tornata verso le 17. Invece non tornò più. Il giorno dopo aveva trovato il suo corpo un cantoniere, dietro uno sperone di roccia, l’assassino l’aveva lasciata seminuda, la testa dentro un sacchetto di plastica, la bocca chiusa da nastro adesivo. Un omicidio agghiacciante.


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