Wafaa Chrakova, 51 anni, addetta alle pulizie, mamma. Uccisa a coltellate dal marito
Milano, 30 Novembre 2022
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Milano: ammazza la moglie a coltellate, poi chiama il figlio e si ‘consegna’
La discussione, l’ennesima di un rapporto difficile, quasi impossibile, nonostante un matrimonio “vecchio” ormai anni e anni e quattro figli cresciuti insieme. Gli insulti, le parole grosse, le minacce. Le promesse di morte che diventano realtà in un attimo. Poi l’allarme dato proprio a uno dei figli e quella “camminata” di un chilometro e poco più prima della resa, volontaria. È il film del femminicidio andato in scena nella tarda mattinata di mercoledì in via Lope de Vega, alla Barona, a Milano. Case popolari, condomini Aler dalle facciate scrostate, con le parabole sui balconi a fare compagnia a verande improvvisate e vasi con i fiori secchi. Wafaa Charakoua, 51 anni, marocchina, e suo marito Bouchaib Sidki, suo connazionale di otto anni più grande, vivevano al quarto piano del palazzo al civico 1. Quello stesso palazzo in cui Wafaa ha trovato la morte per mano del suo uomo.
L’omicidio, stando a quanto finora ricostruito, si è consumato verso le 12.20. Lei, che lavorava come donna delle pulizie in alcuni uffici, sarebbe tornata a casa e in poco tempo avrebbe cominciato a discutere con il marito. Sarebbe volato qualche insulto e lui avrebbe afferrato un coltello da cucina e si sarebbe accanito su di lei. Soltanto l’autopsia stabilirà con certezza quanti fendenti le ha sferrato, ma sono almeno una decina, quasi tutti al torace.
Lasciando la moglie a terra, ormai morta, Bouchaib – nessun precedente, cittadinanza italiana e al momento senza un lavoro – avrebbe quindi preso il cellulare per dare l’allarme. Il primo a ricevere la sua telefonata sarebbe stato uno dei figli.
Il presunto killer e la vittima ne avevano quattro: una ragazza maggiorenne che risiede all’estero e un 13enne, una 17enne e un 23enne, che vivevano con la coppia proprio nell’appartamento teatro dell’omicidio. Al cellulare con il più grande dei ragazzi, che in quel momento era al lavoro mentre i fratelli erano a scuola, il 59enne avrebbe confessato il femminicidio. Tanto che il giovane avrebbe chiesto a un amico che vive in zona di andare a controllare cosa fosse successo.
Wafaa uccisa con dieci coltellate dal marito, la furia omicida dopo la lite: «Lei era dedicata ai figli, il problema era lui»
Case popolari alla Barona, in via Lope de Vega. L’uomo si consegna ai carabinieri: «Ho ucciso mia moglie, ho rovinato tutto». I vicini: «È un orco»
«Ho ucciso mia moglie, ho rovinato la mia vita». È in lacrime e con i pantaloni di una tuta da casa sporchi di sangue. Bouchaib Sidki, 59enne marocchino, incensurato, da lungo tempo a Milano, tanto da acquisire la cittadinanza italiana, lascia cadere a terra il coltello da cucina con cui ha appena ammazzato la moglie, la 51enne connazionale Wafaa Chrakoua. Prende il telefono e compone il 112: all’operatore della questura confessa l’omicidio. Prima chiama al lavoro il figlio 24enne (il maggiore dei tre che abitavano con la coppia; gli altri due, di 13 e 17 anni erano a scuola, mentre la figlia maggiore vive in Francia) e lo avvisa di tornare subito a casa.
Sarà lui, con un amico, a precipitarsi attorno a mezzogiorno nell’appartamento in via Lope de Vega 1, alla Barona, e a scoprire il corpo a terra in camera da letto. In casa il padre non c’è. È uscito nel frattempo: è sceso in strada indossando un paio di jeans sopra la tuta macchiata di sangue, un giubbotto nero e un berretto scuro, e ha iniziato a vagare per la città senza meta. Percorrerà oltre un chilometro a piedi prima di incrociare in viale Liguria una pattuglia dei carabinieri, richiamarne l’attenzione e consegnarsi: «Ho ucciso mia moglie». Il quadrilocale al quarto piano di questo fatiscente caseggiato Aler ha le serrande abbassate, sul balcone vasetti di piante e una antenna parabolica, una delle tante che puntellano la facciata.
Nel palazzo, anche tra i coetanei dei figli, c’è chi dice che era una famiglia «tranquilla, come tante, senza particolari problemi». C’è però chi ricorda invece le tante volte in cui le pareti sottili non erano state in grado di attutire le urla: «Le sentivamo spesso, ma nell’ultimo periodo i litigi si erano intensificati, ma lei non denunciava, minimizzava, diceva che era il padre che stava sgridando i figli». «Lei lavorava (faceva le pulizie in alcuni uffici, ndr) e stava chiusa in casa. Pensava sempre ai figli. Il problema era lui: un orco, un uomo violento sia con lei, sia con i ragazzi», è la descrizione della coppia fatta da Virginia Testoni, una vicina. Agli investigatori della squadra mobile, guidati da Marco Calì e coordinati dal pm di turno Sara Arduini, risultano tre interventi: il primo è del 2015, gli altri due l’anno scorso, sempre per liti accese.
Negli ultimi tempi il fatto che il marito fosse rimasto senza impiego aveva però aumentato gli attriti. E sarebbe stato proprio un rimprovero della donna, ieri, a scatenare l’ira del 59enne. È tarda mattina. Wafaa Chrakoua fa rientro dal lavoro e trova il marito a casa. Si scatena l’ennesima discussione, i toni si alzano, lei lo accusa di non far nulla, di non aiutare a mandare avanti la famiglia.
«Mi ha insultato», avrebbe spiegato più tardi Sidki Bouchaib in lacrime agli agenti. È in questa fase che lui afferra un coltello da cucina, la raggiunge in camera da letto e le sferra una decina di pugnalate: la lama ferisce le braccia e le mani della donna, alzate come estremo tentativo di difesa, e affonda più volte nel torace. La moglie crolla e si accascia senza vita sul letto. A pochi passi, dalle mani del 59enne cade a terra il coltello insanguinato. Lui prende il telefono: avverte il figlio che lavora poco distante, si autodenuncia alla polizia («Andate in via Lope de Vega 1») e s’incammina in lacrime: «Ho fatto una cosa stupida, non era cattiva, era una brava donna».
Wafaa Chrakoua – Oltre la violenza
Uccisa a coltellate dal marito. Wafaa, di origini marocchine, è stata colpita con dieci fendenti al torace e agli arti superiori dall’uomo che avrebbe dovuto amarla e proteggerla, Bouachib Sidki, 59 anni, cittadino italiano ma anche lui, come Wafaa di origini marocchine. Dopo l’aggressione è stato l’assassino, incensurato, a chiamare il 112: «Venite, ho ucciso mia moglie». Poi si è allontanato da casa, ha vagato per un po’ nei paraggi finché non ha incrociato un’auto dei carabinieri ai quali si è consegnato. Il delitto, secondo una prima ricostruzione, sarebbe avvenuto al culmine di una violentissima lite tra i coniugi scatenata forse da un rimprovero di Wafaa al marito, al momento disoccupato, una volta rientrata a casa dal lavoro. «Mi ha insultato» si sarebbe giustificato Sidki con gli uomini dell’Arma. Così ha preso un coltello dal cassetto della cucina, ha raggiunto la moglie in camera da letto e ha iniziato a colpirla. Wafaa ha provato a difendersi facendosi scudo con mani e braccia. Poi si è accasciata sul letto senza vita. L’omicida ha preso il telefono, ha avvisato il figlio più grande, che era a lavoro, e poi si è autodenunciato ai carabinieri. Il ragazzo è tornato a casa insieme a un amico, trovando l’orrore. Il padre è sceso di casa e ha iniziato a vagare senza meta. Dopo circa un chilometro ha incrociato la volante a cui di è consegnato. La coppia, senza apparenti problemi di integrazione, tre figli maschi di 24, 17 e 13 anni, la figlia maggiore, 24, in Francia, conduceva una vita dignitosa e viveva in un caseggiato di otto piani in un quartiere popolare della zona Barona, nella periferia sud-ovest della metropoli, un quartiere multietnico in passato noto per spaccio e degrado ma oggi residenziale.
“L’ho uccisa perché mi ha spento la tv”, Sidki confessa l’omicidio della moglie
Bouchaib Sidki, in carcere con l’accusa di aver ucciso a coltellate la moglie di 51 anni Wafaa Chrakoua, agli inquirenti ha spiegato il movente dell’omicidio.
Svela il movente dell’omicidio il cinquantanovenne marocchino Bouchaib Sidki, in carcere con l’accusa di aver ucciso a coltellate la moglie di 51 anni Wafaa Chrakoua al termine di una lite nell’appartamento di via Lope de Vega 1, nel quartiere Barona a Milano.
La confessione del presunto omicida
Agli inquirenti l’uomo confessa: “Mi trovavo in casa – le dichiarazioni del marito sono stati riprese da Il Giorno – e stavo guardando la televisione in soggiorno. Ero seduto sul divano, quando mia moglie è rientrata dal lavoro e mi ha spento la tv. Poi ha iniziato a rimproverarmi che stavo tutto il tempo sul divano invece che andare a cercarmi un lavoro“.
Poi continua a raccontare cosa è accaduto quel giorno: “Mia moglie ha continuato a urlarmi contro nei minuti successivi dicendomi che avrei dovuto lasciare la casa a lei e ai nostri figli. Poi quando è andata in camera da letto, io sono andato in cucina e ho impugnato il coltello che di solito usiamo per la carne. L’ho trovato che era sul tavolo vicino al forno”.
La donna ha chiesto scusa
L’uomo ha così raggiunto la donna che alla vista del coltello, terrorizzata, ha continuato a chiederle scusa. Ma inutilmente: il 59enne ha iniziato a colpirla più volte con il coltello. “Non mi ricordo quanti colpi le ho dato, posso dire però che mi sono accorto che a un certo punto era morta in quanto non urlava più”. Pochi minuti dopo l’uomo è pronto a confessare tutto al 112: compone il numero e si dirige verso il vicino Commissariato. Prima chiama il figlio e racconta tutto a lui.
L’uomo dopo ha deciso di costituirsi
Non fa in tempo ad arrivare dagli agenti di polizia che vede una pattuglia dei carabinieri passare vicino a lui così la ferma. Racconta tutto: i militari così iniziano a perquisirlo e lo riportano nel suo appartamento di via Lope de Vega. Qui sul posto erano arrivati già anche i poliziotti della Volante dell’Ufficio prevenzione generale. Davanti alla casa, l’uomo dice di non voler scendere dall’auto perché si vergognava di vedere in faccia il figlio che aveva chiamato poco prima. L’uomo ora si trova in carcere: il pubblico ministero Sara Arduini, che coordina l’inchiesta affidata alla polizia, deve ancora decidere sulla convalida dell’arresto e la misura cautelare del carcere per il marocchino. Dai primi accertamenti l’uomo maltrattava da tempo la moglie. La donna non aveva mai denunciato.
Omicidio Wafaa Chrakoua. Dieci coltellate mortali. Il marito al gip: “Uno scatto di rabbia”.
Bouchaib Sidki, 59 anni, originario del Marocco, disoccupato, è calmo quando racconta alla gip Stefania Donadeo, nell’interrogatorio di convalida dell’arresto, di quello “scatto d’ira“ che nella sua testa quasi giustifica le dieci coltellate mortali alla moglie Wafaa Chrakoua, di 51 anni, madre dei suoi quattro figli.
Nell’interrogatorio Sidki, difeso dall’avvocato Mario Petta, ha risposto alle domande della giudice ribadendo in sostanza quando aveva già detto alla pm Sara Arduini e agli investigatori della sezione Omicidi, diretti da Marco Calì.
“L’ho uccisa per uno scatto di rabbia. Perché ero seduto sul divano, lei è entrata in casa e quando mi ha visto ha ricominciato con le solite cose, che dovevo trovarmi un lavoro, che non facevo niente, che lei era stanca e mi ha insultato. Così mi sono alzato dal divano, sono andato in cucina e ho preso un coltello…”
Dopo aver ucciso, Sidki ha percorso più di un chilometro dal civico 1 di via Lope de Vega, zona Famagosta, periferia difficile di Milano, prima di fermare in viale Liguria una pattuglia dei Carabinieri. “Ho ucciso mia moglie“, ha detto subito ai militari. Con loro è tornato nell’appartamento al quarto piano del caseggiato popolare dove nel frattempo erano già arrivati i soccorritori del 118 e della polizia, chiamati dal figlio e dai vicini.
Non era la prima volta che dall’appartamento provenivano delle urla. Anzi, i litigi erano quotidiani, ma la donna non aveva mai voluto denunciare e a chi tentava di aiutarla raccontava che il marito si arrabbiava qualche volta con i figli, non con lei, che era tutto a posto. Nei registri delle forze dell’ordine c’è un solo intervento in via Lope de Vega al civico 1, quarto piano. È del luglio scorso: in quell’occasione il 59enne pare che avesse colpito la moglie con pugni e calci. L’allarme era partito dai vicini. Gli agenti erano arrivati nell’abitazione per prestarle soccorso. Alla fine, però, lei, anche in quell’occasione non aveva voluto denunciare: “tutto a posto“.