Vincenza Ribecco, 60 anni, mamma e nonna. Uccisa a colpi di pistola dall’ex marito
San Leonardo di Cutro (Crotone), 8 Marzo 2022
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Uccisa dall’ex, le lacrime del figlio: “Le avevo portato le mimose, mamma era in un lago di sangue” (FanPage – 17 marzo 2022)
I figli di Vincenzina Ribecco, uccisa dall’ex marito nel Crotonese, a “Chi l’ha visto?”: “Lui non deve vivere un secondo senza pensare a quello che ha fatto a mamma, deve pagarla, lui l’ha uccisa di proposito”.
“Lui non deve vivere un secondo senza pensare a quello che ha fatto a mamma, deve pagarla, lui l’ha uccisa di proposito”: è drammatico il racconto dei figli di Vincenzina Ribecco, uccisa dall’ex marito nel Crotonese. Davanti alle telecamere di “Chi l’ha visto?”, i figli della sessantenne ammazzata l’8 marzo a San Leonardo di Cutro hanno raccontato di anni di violenze del padre nei confronti della madre, di botte anche davanti a loro. Hanno parlato di una donna che viveva per la famiglia, per i figli, che nonostante le violenze del marito non lo aveva mai voluto denunciare. “Mamma non sapeva cosa vuol dire vestirsi bene, comprare un paio di scarpe buone, andare al cinema”, hanno raccontato i figli, descrivendo il padre invece come un uomo che andava a lavorare e poi spendeva i suoi soldi al casinò. Di un uomo che non lasciava vivere sua moglie (Vincenza non aveva neppure la patente), convinto che uscendo avrebbe incontrato altri uomini.
“Mamma non faceva mai niente, usciva solo per accompagnare noi e fare la spesa, un giorno papà le ha spaccato una statua sulla schiena”, il racconto dei figli. E ancora: “Per il nostro bene lei non lo ha mai lasciato, mai denunciato, pensava che potesse cambiare, ma lui era geloso e possessivo”. I figli di Vincenzina si erano anche rivolti a un avvocato per proteggere la madre dal padre.
È drammatico il ricordo del figlio del giorno dell’omicidio. Era l’8 marzo e lui aveva comprato delle mimose per una ragazza che doveva incontrare e per sua madre. “Arrivato a casa, avevo le mimose in mano, le avevo anche scritto un bigliettino dicendole che era la donna più importante della mia vita ma poi ho aperto la porta e l’ho trovata a terra piena di sangue”, le parole del ragazzo tra le lacrime. “L’ha ammazzata come un animale – così ancora la sorella – una donna che lo ha servito come un re è stata ammazzata così. Come spieghi anche a una bambina di 3 anni che il nonno ha ammazzato la nonna?”. La testimonianza dei due ragazzi si chiude con un appello a tutte le donne maltrattate come la mamma a denunciare.
La storia di Vincenza Ribecco, uccisa l’8 marzo. Il marito la picchiava e umiliava da sempre (il Fatto Quotidiano – 19 marzo 2022)
“La cosa assurda è che in Italia adesso bisogna occuparsi dei criminali che sono nelle famiglie. Una società, la nostra, che sembrava basata sulla famiglia e, invece, la polizia ora deve combattere la criminalità che deriva da questi uomini che decidono di uccidere le mogli, picchiare le fidanzate”. È una vera e propria emergenza, descritta perfettamente dalla giornalista e conduttrice tv,Federica Sciarelli, quella della violenza contro le donne. Ci sono dei criminali, che sono mariti, compagni, fidanzati. E il problema femminicidio assume la stessa urgenza di contrasto tanto quanto la criminalità organizzata.
Mercoledì scorso lo storico programma dedicato alle persone scomparse Chi l’ha visto? ha acceso i riflettori su uno degli ultimi, purtroppo l’ennesimo, femminicidio che questa volta si è consumato in un paesino calabrese, San Leonardo di Cutro, in provincia diCrotone. La vittima, Vincenza Ribecco, aveva deciso di non aprire la porta di casa al marito, l’uomo che per una vita l’ha picchiata e umiliata e lui, Alfonso Diletto, che probabilmente aveva organizzato già tutto, l’ha uccisa sparando un colpo di pistola dalla porta finestra.
A trovarla senza vita, in una pozza di sangue, è stato il figlio della vittima. Un ragazzo che nel pomeriggio dell’8 marzo, il giorno in cui si celebra la giornata internazionale della donna, aveva comprato un mazzo di mimose e scritto un bigliettino “alla donna più importante della mia vita”. La sua mamma. È difficile immaginare cosa abbia provato quel giorno, quando con quel mazzo di mimose in mano, ha visto sua mamma a terra, in una pozza di sangue. Ed è difficile capire tutt’ora cosa provano lui e sua sorella, sapendo che l’orco che gli ha portato via la donna più importante della loro vita, è stato l’uomo che li ha messi al mondo. Quello che però si può fare, a partire da questo caso, e grazie al coraggio che stanno dimostrando questi figli, è un esercizio di memoria.
La vita di Vincenza è stata un incubo, un inferno. “Mi ricordo che mia mamma ci portava al parco giochi e ogni volta che tornavamo a casa poi mio padre gli faceva le storie, perché le diceva che non doveva uscire. Qualche volta l’ha picchiata”. Ora i figli vogliono che l’uomo paghi, ricordano ogni singolo momento in cui hanno visto la loro mamma soffrire, per le sue scenate. Quando usciva con gli occhiali scuri per nascondere gli occhi gonfi dalle botte. Quell’uomo, raccontano i figli, si faceva stirare la camicia dalla moglie per andare in discoteca nel fine settimana, mentre la donna rimaneva in silenzio a casa, cercando di tenere insieme la famiglia.
“Io spero che lui mi guardi – ha detto la figlia ai microfoni dell’inviato di Chi l’ha visto? – perché io l’ho sempre preservato. Ho sempre cercato di evitare, tenere buoni i rapporti, perché era sempre mio padre. Nonostante tutti gli anni di merda che ci aveva fatto passare. La pestava davanti a noi. E mia madre per il bene nostro non l’ha mai lasciato. Lui è sempre stato malato di gelosia. Geloso, ossessivo, possessivo. Mia mamma si è sempre ammazzata di lavoro e non ha mai speso un centesimo. Era una che non aveva neanche la patente. Usciva per andare da sua madre e lui pensava che si vedesse con gli uomini. Solo quando andava a lavorare, a fare le pulizie nelle case, a lui stava bene. In quel caso non era geloso, perché lui non faceva niente. Era servito e riverito”.
La scorsa estate la donna si era finalmente rivolta a un avvocato, il quale ha scritto in Questura per sollecitare un provvedimento di ammonimento. Ma, oltre all’ammonimento, per allontanare l’uomo dai luoghi frequentati dai familiari, serviva una prova.
“Ora l’ha fatta qualcosa – conclude la figlia – ha ammazzato mia madre, lui ora la deve pagare. Lui l’ha fatto di proposito. Non aveva problemi, era sano. Lui l’ha fatto perché lo voleva. Che non si dica che era matto”.
Questo ennesimo caso ci dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, che viviamo una vera e propria guerra. L’unico modo per venirne fuori è denunciare subito. Le vittime non devono né giustificare né cercare di proteggere il carnefice. Questa storia insegna che non si uccidono le donne solo perché si viene lasciati, che non si uccidono solo perché gli uomini si sentono traditi. Si uccidono e basta, perché una scusa c’è sempre per certi uomini. L’unico modo per evitare di arrivare al punto estremo è denunciare subito, allontanare l’orco, cercare aiuto e non voltarsi indietro mai quando si prende una decisione. Perché dopo le botte ci sono i proiettili.
Ha ucciso l’ex moglie a Cutro, i figli chiedono di cambiare cognome (Gazzetta del Sud – 4 aprile 2022)
«Ci vergogniamo del nostro cognome. Vogliamo cambiarlo con quello di nostra madre»: Lo hanno detto Rosaria e Domenico Diletto, figli di Alfonso, il 69enne che l’8 marzo scorso a Cutro, nel crotonese, ha ucciso con alcuni colpi di pistola l’ex moglie, Vincenza Ribecco, di 61, detta «Cecè». L’istanza per il cambio di cognome é stata presentata al prefetto di Mantova perché i due giovani sono nati nella città lombarda, dove i genitori si erano trasferiti per motivi di lavoro facendo poi rientro, a distanza di alcuni anni, a Cutro.
«Il cognome di una persona – ha detto ancoraRosaria Diletto – deriva dal fatto di avere lo stesso sangue, e quindi lo stesso cuore, del padre. Ma io e mio fratello non abbiamo nulla in comune con quell’uomo e tutto ciò che siamo lo dobbiamo soltanto a nostra madre. Che non si dica – ha detto ancora Rosaria – che Alfonso Diletto ha due figli ed una nipote. Il suo cognome non deve andare avanti. Mio fratello non deve essere costretto a dare lo stesso cognome ai suoi figli. Tutti devono sapere che siamo figli di un’unica persona, nostra madre».
Cutro, il femminicidio dell’8 marzo: i figli di Vincenza parte civile contro il padre (Quotidiano del Sud – 4 novembre 2022)
In aula, dinanzi alla Corte d’Assise di Catanzaro, alla prima udienza del processo col rito immediato per il femminicidio dello scorso 8 marzo, dove, nella frazione San Leonardo, piccolo borgo di meno di mille anime, in una casetta in pieno centro, in via dei Gesuiti, fu uccisa Vincenza Ribecco, ci sono i figli della donna. Rosaria e Domenico sono lì per costituirsi parte civile contro il loro padre, Alfonso Diletto, ex marito della vittima, il quale deve rispondere anche di atteggiamenti persecutori.
In aula c’è anche Diletto, impassibile, anche quando il figlio gli urla contro qualcosa. Si sono costituiti parte civile, Rosaria e Domenico, che quel cognome non vogliono più portarlo. Si sono costituiti insieme ad altri familiari, assistiti dagli avvocati Luigi Falcone, Tiziano Saporito, Antonella Cannistrà e Carmine Borelli. Parte civile si è costituita anche l’associazione “Al posto tuo”, con sede a Torino. Il processo si celebra nelle forme del rito immediato essendo stata accolta dal gip del Tribunale di Crotone la richiesta del sostituto procuratore Andrea Corvino che riteneva di avere in mano prove evidenti per poter bypassare l’udienza preliminare.
Prove evidenti contro quell’uomo che, come ha confermato nel corso dell’inchiesta anche la dottoressa di famiglia Giovanna Vitaliano, la ossessionava con la sua gelosia morbosa. Il difensore, l’avvocato Luigi Colacino, ha formulato un’eccezione di legittimità costituzionale sull’inapplicabilità del rito abbreviato ai delitti puniti con l’ergastolo e i giudici si sono riservati.
Riprenderà il prossimo 24 gennaio il processo per fare luce sulla morte di quella donna che temeva di ritrovarsi nei pressi di casa il suo ex e che questi potesse ucciderla. Così è stato, alla fine. Diletto, secondo la ricostruzione accusatoria, il pomeriggio dell’8 marzo si presentò a casa dell’ex moglie con in tasca una pistola calibro 7.65 illegalmente detenuta e sparò appena fuori dalla porta-finestra un colpo che trapassò il vetro raggiungendo al cuore la vittima.
Al pm Corvino, durante l’interrogatorio in cui a un certo punto crollò dopo aver prima negato di sapere che l’ex moglie fosse morta, Diletto aveva detto di essersi armato perché temeva di trovare a casa il presunto – più che mai – amante di lei.
Soltanto una volta messo alle strette, dopo che i carabinieri gli fecero sapere di essere al corrente del fatto che a suo fratello, che vive nel Mantovano, subito dopo il delitto aveva detto di aver «perso la testa» commettendo qualcosa di “brutto” riferito all’ex moglie, Diletto ammise di aver sparato. Quindi fece ritrovare l’arma, di cui s’era liberato al rientro, da San Leonardo a Cutro, gettandola in un dirupo.
Ma vengono contestati anche gli atti persecutori, tant’è che i timori della vittima erano risaputi dai suoi parenti, anzi, da tutta la piccola comunità di San Leonardo. Forse, “Cecè”, come era chiamata la donna in paese, si sarebbe potuta salvare.