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Teresa Raposon, 56 anni, mamma. Massacrata a colpi di mazzetta da muratore dal marito, che aveva appena sgozzato il figlio

Refrontolo (Treviso), 3 Dicembre 2014

20141202_85057_teresa_reposonUna persona tranquilla, gentile, che girava per Refrontolo in sella al suo motorino con cui andava a fare la spesa e a trovare le amiche. O in ospedale per le cure necessarie dopo il trapianto.

 

 

 

 

sistoCristian, 24 anni, studente. Voleva fare l’enologo.

 

 

 

 

 

Refrontolo_-_Sisto_De_MartinSisto De Martin, 62 anni, gelataio e camionista in pensione, padre. Aveva una jaguar. Sembrava a tutti una persona normale.

 

 

 


Titoli & Articoli

Prepara la tavola per la colazione, poi sgozza moglie e figlio nel sonno
Si alza dal letto, prepara la tavola per la colazione. Poi il raptus. Sgozza il figlio a letto, uccide la moglie a martellate in bagno e la fa finita impiccandosi. Una strage per ora senza movente né spiegazioni. Il teatro la villetta di famiglia a Refrontolo. Il raptus domenica mattina ma i corpi sono stati trovati solo martedì pomeriggio.
Indole riservata, carattere burbero, severo: Sisto De Martin, 62enne di Refrontolo, sembrava a tutti una persona normale. La sua severità non ha mai fatto intuire a nessuno che, sotto, potesse nascondersi una furia capace di sterminare la sua famiglia e di togliersi la vita mettendo fine a tutto. La follia omicida spesso si nasconde dietro le sembianze della normalità. E la famiglia De Martin era il ritratto della famiglia felice dove ogni cosa è sempre al proprio posto.
Sisto amava i vigneti e i grandi classici della letteratura. Aveva anche regalato dei volumi alla piccola biblioteca aperta dall’associazione Arcobaleno. Diplomato ragioniere era emigrato in Germania dove ha lavorato come gelataio. E qui ha conosciuto Teresa Raposon, origini filippine, poi diventata sua moglie. Tornato a Refrontolo per mettere su casa, ha anche lavorato per un certo periodo come camionista. In paese girava sempre con un vecchio Apecar ma nel garage della sua villetta ristrutturata da poco, custodiva una Jaguar scintillante.
A fare da contraltare al carattere chiuso del marito era Teresa Raposon, 56 anni. Casalinga e madre a tempo pieno. Una persona tranquilla, gentile, che girava per Refrontolo in sella al suo motorino con cui andava a fare la spesa e a trovare le amiche. Cristian, 24 anni, era l’unico figlio della coppia. Studiava Scienze e Tecnologie viticole ed enologiche. Il suo sogno era diventare enologo e continuare a lavorare tra le viti.


Buio sul movente, “ma Sisto era geloso di Teresa”
Refrontolo, parla la sorella della donna: «Mio cognato si teneva tutto dentro»
TREVISO «Mio cognato era geloso di mia sorella. Non troppo, ma un po’ sì. Per esempio quando lei gli diceva che veniva a Conegliano da me e mio fratello, lui si ingelosiva e le diceva: “Ma devi proprio andarci?” Però poi non c’erano difficoltà, sono sicura che Sisto amava Teresa e anche Cristian. Forse il problema era il suo carattere un po’ chiuso, era un uomo che si teneva tutto dentro». La soluzione al mistero del duplice omicidio e suicidio di Refrontolo forse si può forse trovare in queste parole di Jocelin Raposon, la sorella di Teresa uccisa domenica mattina a colpi di mazzetta da muratore insieme al figlio Cristian, 24 anni sgozzato, dal marito Sisto De Martin, 62 anni. In quel carattere solitario e schivo, aggettivi con cui lo descrivono tutti, e in quella gelosia per la moglie che voleva sempre accanto a sé quando andava da qualche parte e che preferiva rimanesse nella villetta di via Vittoria. Ma un movente chiaro ancora non c’è. Gli inquirenti stanno lavorando per chiarire i contorni di una tragedia che sembra spiegarsi solo con un momento di pura follia. Ma che forse non è stato in tutto e per tutto un delitto d’impeto come la dinamica sembra raccontare. Perché Sisto, ha detto una frase che oggi suona premonitrice. «Co’ more mi, ghe restea a chi ‘a me tera, eo chi che la lavora?». («Quando muoio io, a chi resta la mia terra, chi è che la lavora?»).
È lunedì 24 novembre, quando il 62enne rivolge quest’inaspettata domanda a Francesco Zanet, da vent’anni suo vicino di vigneto in Borgo Frare a San Pietro di Feletto. È lui stesso a rivelarlo: «Gli ho risposto: “La lasci a tuo figlio, no?”. Ma lui ha taciuto». Quel giorno mancavano sei giorni alla strage. E a risentirlo adesso, è decisamente inquietante.
Ma un tragico presentimento Zanet l’aveva maturato subito, ripensando a quelle improvvise parole di morte: «Ho continuato a fare le mie cose, ma fra me e me mi domandavo: ma che domande mi fa? Ho pensato che stesse male». Sulla base dei riscontri medici, gli investigatori tenderebbero a escludere che il 62enne fosse malato. Ma chissà quale male si era annidato in lui, che inaspettatamente quest’anno aveva lasciato indietro la potatura delle viti di prosecco. «La sua vigna è piuttosto grande – spiega Zanet – ma finora aveva tagliato solo tre piante, poche per la stagione. Anche per questo ho pensato si fosse ammalato ». Ma se non aveva problemi di salute, forse stava comunque pensando alla fine sua e dei suoi cari. Li ha uccisi perché geloso? O perché era vittima di una depressione non diagnosticata? Per ora l’unica certezza è la brutalità con cui Sisto De Martin ha deciso di porre fine alla vita dei suoi cari. L’ispezione cadaverica eseguita ieri, ha aggiunto nuovi dettagli a una dinamica già agghiacciante. Cristian infatti, era steso sul letto a pancia in giù, quando è stato sorpreso dal padre che, dopo averlo colpito alla testa con la mazzetta, gli ha tagliato la gola. Con la stessa mazzetta ha poi ucciso Teresa, con così tanti colpi (sarebbero circa una decina) da devastarle il cranio. Ma perché tanta violenza? Un interrogativo che forse non avrà mai risposte.

Non era la famiglia perfetta Sisto alzava spesso le mani
Le testimonianze raccolte dai carabinieri raccontano un quadro diverso dai primi ritratti. Si indaga anche sulle ultime frequentazioni dell’uomo
REFRONTOLO. Le tensioni in famiglia c’erano. E, qualche volta, sfociavano in percosse. Le testimonianze raccolte dai carabinieri del reparto operativo e della compagnia di Vittorio Veneto, in questi giorni, stanno delineando un quadro diverso da quello inizialmente prospettato di una famiglia tranquilla, praticamente perfetta. I militari dell’Arma hanno sentito diversi testimoni, pescati nella cerchia dei parenti, conoscenti e compaesani della famiglia di Sisto De Martin. E qualcuno ha confermato che all’interno della famiglia non mancavano i momenti di tensione.
Durante le liti più accese, Sisto alzava le mani sulla moglie filippina Teresa Raposon. L’affiatamento della coppia s’era affievolito al punto che Sisto non accompagnava nemmeno la moglie all’ospedale per le cure
dopo un delicato trapianto di reni. La lasciava andare da sola in scooter a curarsi. Certo, non si trattavano di maltrattamenti pesanti. Ma l’armonia familiare nella coppia non mancava di essere spezzata da accesi litigi tra marito e moglie. L’autopsia, disposta dalla procura della Repubblica sui cadaveri trovati all’interno della villetta di via Vittoria a Refrontolo, non servirà agli investigatori soltanto per confermare la dinamica della strage familiare, chiara fin dal primo momento, ma potrebbe anche aiutare a scavare di più sulle cause della strage.
Jocelin Raposon, la sorella di Teresa, parla di un marito geloso. Ma Sisto De Martin non era un tipo che dimostrava i suoi sentimenti. Era una persona chiusa ed introversa, che nel corso del tempo, ha tenuto dentro di sè emozioni e preoccupazioni. Un uomo che potrebbe aver maturato uno stato di depressione latente emerso all’improvviso con l’assassinio di moglie e figlio ed il suo suicidio. Le letture stesse sulle quali si concentrava nei periodi di riposo non erano semplici romanzi ma biografie, come quella di Nietzsche il filosofo che non credeva in nulla, e che affermava: «Dio è morto».
I militari dell’Arma continuano a raccogliere testimonianze sulla famiglia De Martin. La loro attenzione è naturalmente concentrata sulla personalità e sulle frequentazioni del pensionato con un passato di gelatiere e camionista. Ma, oltre alle voci raccolte in paese, la difficoltà degli investigatori è anche quella di trovare persone disposte a raccontare la loro testimonianza e a firmare alla fine i verbali.

 


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