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Roberta Siragusa, 17 anni, studentessa. Stordita e massacrata dal fidanzato che le ha dato fuoco mentre era ancora viva e l’ha gettata in un burrone

Caccamo (Palermo), 24 Gennaio 2021


Titoli & Articoli

Roberta Siragusa, il suo paese sconvolto dal femminicidio: “Qui episodi così violenti non sono mai accaduti” (il Fatto Quotidiano – 25 gennaio 2021)
“Mia figlia non meritava questo”. Mamma Iana lo ha gridato a ripetizione dopo avere saputo che Roberta, la sua piccola di 17 anni, era stata trovata morta in burrone. “Sono stato da loro appena appresa la notizia, la mamma gridava, il padre era fermo attonito, sotto shock. Sono stati momenti che non avrei mai voluto vivere, che non avrei mai voluto che loro vivessero: tutto questo non doveva accadere”, Nicasio Di Cola, il sindaco di Caccamo (Palermo), dove è avvenuta la tragedia, parla al termine di una lunghissima giornata.
Le troupe che hanno invaso il paesino di poco più di 8mila anime hanno spento i riflettori, e il primo cittadino si concede uno sfogo emotivo: “È stato straziante, mi creda”. Mamma, papà, il primogenito che da poco aveva compiuto 18 anni e la piccola Roberta, nata poco più di un anno dopo, tanto vicina al fratello che quasi sembravano gemelli. Una famiglia travolta dal dolore, ma lo sono un po’ tutti a Caccamo. Il paesino medievale a 40 minuti da Palermo aveva da poco ricevuto il riconoscimento di “borgo autentico d’Italia”: “Mentre oggi siamo sconvolti, nessuno avrebbe mai potuto immaginare una cosa simile: qui episodi così violenti non sono mai accaduti”, sottolinea Di Cola. Che ci tiene a dirlo: “È successo proprio qui dove grazie alla presidente del consiglio comunale tante, Rosa Maria Di Cola, sono state tante le iniziative per sensibilizzare la popolazione sul femminicidio“.
Nella villa comunale del paese, c’è perfino una panchina rossa, in onore delle donne uccise: “Ora c’è il nome di Roberta – continua il sindaco – ma mai avremmo potuto immaginare di doverlo scrivere. Mai.”.
“Addolorati, scioccati”, scuote la testa, invece, Giuseppe Canzone, legale della famiglia della ragazza. Così prova, con un elenco di aggettivi, a restituire l’impatto della tragedia “ma è impossibile. Quel che posso dire – aggiunge – è che i miei assistiti hanno estrema fiducia nel lavoro degli inquirenti”. In stato di fermo con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere, questa è stata la richiesta dei pm, coordinati dal procuratore Ambrogio Cartosio, nei confronti di Pietro Morreale. Kickboxer, come si definisce lui nel profilo Facebook.
Fidanzato con Roberta da un anno e mezzo, spesso infiammato dalla gelosia: le voci sulla sua gelosia si rincorrono. “Ma niente che potesse far pensare a un esito tragico”, esclude il legale dei Siragusa. Quella mattina, domenica 24 gennaio, quando Iana Brancato non vede Roberta nella sua stanza come prima cosa cerca di contattare Pietro, poi anche la madre di Pietro. Poco dopo andrà a sporgere denuncia ai carabinieri di Caccamo perché la figlia minorenne è scomparsa e lei non ha idea di dove sia. Sono ancora le prime luci dell’alba.
Pietro invece lo sa, e poco dopo, alle 9 del mattino, si presenterà con il papà e con l’avvocato Giuseppe Di Cesare in caserma. Sa dove si trova Roberta, li porta sul ciglio di un dirupo, sul versante Porto Rotondo del monte San Calogero. Lì, in fondo, c’è il corpo senza vita della diciassettenne siciliana che sognava di diventare una ballerina, che sintetizzava quel che riteneva più importante sul profilo Facebook, proprio sotto al suo nome: “Amati”.
Pietro ha detto dov’era Roberta, ma agli uomini dell’arma non ha saputo spiegare perché era lì, perché morta, perché in parte ustionata, cosa fosse successo: evidenti contraddizioni nella versione fornita. Questo è uno degli elementi che hanno convinto l’accusa a chiedere il fermo. Di fronte al procuratore, invece, il ragazzo si è avvalso della facoltà di non rispondere. Quel che si sa di quella notte sono solo frammenti. Sabato sera Roberta era andata a casa di amici, forse per il diciottesimo compleanno di un’amica. Erano pochi, 5 o 6, c’era pure Pietro col quale sembra sia andata via. “E non è tornata più”, dice la nonna paterna ai microfoni del Tg3. Qualcosa racconterà ancora il suo corpo oggi. All’Istituto di Medicina legale verrà fatta una tac total body per vedere se ci sono fratture, lesioni interne. Sempre oggi verrà sentito di nuovo Pietro per l’interrogatorio di garanzia. E chissà se dopo aver letto cosa hanno scritto i pm nella richiesta di fermo, sarà il momento di dire qualcosa in più su quella terribile notte.

 

Roberta Siragusa, i genitori: “Stava sempre con noi, ho nutrito l’assassino della mia bambina” (Il Meridiano News – 26 gennaio 2021)
I due fidanzatini avevano tanti progetti insieme, volevano riprendere a studiare insieme
Stava sempre con noi Pietro. Da un anno e mezzo, uno di famiglia. Spesso qui a tavola. Lo conoscevamo bene. E in paese ci conosciamo tutti, come ripeto all’avvocato, anche lui di Caccamo, chiedendogli se davvero abbiamo nutrito l’assassino della nostra bambina…”, queste le parole di Iana, mamma di Roberta Siracusa al Corriere della Sera, la 17enne uccisa e trovata senza vita in fondo a un burrone, nelle campagne di Caccamo.
Dall’altra pare la mamma di Pietro, il 19enne accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Il 19enne avrebbe ucciso intenzionalmente Roberta e avrebbe poi tentato di far sparire le tracce poi dando fuoco al corpo e forse non da solo. Mamma Antonella, al Corriere della Sera, ha dichiarato: “Si sono fermate anche le nostre vite. Come mamma vorrei abbracciare Iana che conosco bene. Lo so che è difficile. Ma, se potessi, vorrei confortarla e prendermi tutto il suo dolore. Abbiamo il cuore spaccato. Cos’è successo a questi due ragazzi che stavano sempre insieme? Anche la domenica, qui a tavola. Più spesso era Pietro ad andare da loro, ma saperlo con Roberta era una gioia. Non ci credo. Dovrebbe venire qualcuno dal Cielo a dirmelo, se fosse vero. Lui nega. Mamma non sono stato io, mi ha ripetuto il mio Pietro. Non ho fatto niente a Roberta, mi ha giurato. E gli ho creduto”.
I due fidanzatini avevano tanti progetti insieme, volevano riprendere a studiare insieme. Cosa confermata anche da mamma Antonella: “Anche con le lezioni a distanza, Pietro a giugno doveva, dovrebbe prendere il diploma. E se non studiava lavorava con suo padre che, tornando dall’Acquedotto, lo impegnava. Tante piccole occupazioni. Per un mese a tagliare legna per il camino. Quando si raccoglievano le olive, settimane in campagna. Sempre pronto…”

 

Roberta Siragusa, cosa succedeva in casa della 17enne uccisa dal fidanzato (Viaggi News – 31 gennaio 2021)
Liti, percosse, lividi terribili:
questo l’inferno di Roberta Siragusa, la 17enne brutalmente uccisa dal suo fidanzato a Caccamo.
Una storia tragica quella di Roberta Siragusa, uccisa ad appena 17 anni dal suo fidanzato Pietro a Caccamo, lo scorso 23 gennaio. Una storia tragica di gelosia, liti continue, percosse fino al gesto omicida, che l’assassino ha cercato di giustificare in tutti i modi. Ecco tutto quello che è successo nella vita della giovanissima, prima della sua orribile morte. Una storia d’amore senza amore, in cui l’uomo vuole possedere la donna e avere un controllo assoluto su di lei, vista come un oggetto. E’ quello che accade ogni giorno, ogni minuto in migliaia di coppie in tutto il mondo. E’ quello che è successo a Roberta Siragusa, 17 anni, di Caccamo. Un anno fa ha incontrato Pietro Morreale e ha pensato di aver trovato l’amore.
Tantissimi i segni della natura violenta di Pietro: continui litigi, percosse, urla, gelosia e possessività nei confronti della sua fidanzata Roberta. Gesti che sono stati minimizzati e non presi come avrebbero dovuto essere visti: indizi di una natura violenta e possessiva, non in grado di dare amore. Roberta è stata brutalmente uccisa e arsa dal suo ragazzo, che ha avuto il coraggio di dichiarare che “si è data fuoco da sola”. I segnali non erano stati colti da nessuno, nemmeno dalla mamma di Roberta che vedeva i loro litigi come normali e fisiologici, in una coppia. Niente di più sbagliato e tossico. Pietro aveva isolato la povera Roberta e aveva fatto terra bruciata intorno a lei, per tessere meglio la sua tela di controllo, che è sfociata nel massacro.

 

Le lacrime al funerale “Roberta, eri la bellezza”. Il fidanzato brucia la cella (il Giornale – 5 febbraio 2021)
Commozione all’addio della 17enne uccisa Il 19enne sotto accusa ha tentato il suicidio
Il corteo, un lungo applauso e le campane. Ad attendere per l’ultimo saluto nella Chiesa della Santissima Annunziata a Caccamo (Palermo) il feretro bianco di Roberta Siragusa, la 17enne uccisa a Caccamo nella notte tra il 23 e il 24 gennaio secondo la procura di Palermo dal fidanzato Pietro Morreale, 19 anni, accusato anche di occultamento di cadavere, c’era un intero paese listato a lutto, tra saracinesche abbassate e manifesti funebri.
«Non esiste separazione finché esiste il ricordo» campeggiava su un lenzuolo, perché non si può dimenticare una ragazza bella come Roberta «che aveva il compito di fare crescere la bellezza nel mondo», ha detto nell’omelia l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice – né si può scordare l’atrocità con cui è stata strappata alla vita. «Una vita che ci è stata rubata ha detto il presule – Una vita distrutta e rubata troppo presto, in modo oltremodo crudele». E poi la domanda che oggi si pongono tutti: «Perché?». Per un amore che non è amore, altrimenti le «avrebbe rubato il cuore e non la vita», come era impresso su un altro lenzuolo.

 

Roberta Siragusa 4 giorni prima dell’omicidio diceva a un amico: “So che Pietro mi ammazzerà” (Palermo Today – 22 marzo 2023)
Le chat disperate emergono dalle motivazioni della sentenza con cui il fidanzato della diciassettenne di Caccamo, uccisa a gennaio 2021, è stato condannato all’ergastolo. In un anno per ben 33 volte la ragazza avrebbe riferito di violenze subite ed inviato anche le foto di lesioni e segni sul corpo: “Se lo lascio mi ucciderà…”
Era consapevole che sarebbe stata uccisa e si sarebbe ritrovata in un vicolo cieco, dove restare assieme alla persona che infligge violenza diventa paradossalmente – agli occhi di che le subisce e non sa come chiedere aiuto e difendersi – più sicuro che lasciarla
. Roberta Siragusa, la diciassettenne uccisa a Caccamo nella notte tra il 23 e il 24 gennaio del 2021, appena 4 giorni prima di morire scriveva ad un amico a proposito di quello era il suo fidanzato, Pietro Morreale: “E’ un bastardo, ho paura, non lo lascerò mai, mi ammazzerà”.
Parole terribili che emergono nelle 138 pagine con cui la seconda sezione della Corte d’Assise, presieduta da Vincenzo Terranova (a latere Mauro Terranova) motiva la condanna all’ergastolo proprio di Morreale, unico imputato per il delitto della giovane. Come ricostruiscono i giudici, la ragazza avrebbe subito diverse violenze da parte del giovane e proprio il 20 gennaio 2021 raccontava: “Voleva ammazzarmi, ha aperto il cofano e ha preso una corda e degli attrezzi e mi veniva contro, mi sento male…”. Aggiungendo che “per farlo calmare gli ho dovuto dire che lo amo, che non lo lascerò mai, mi sono sentita morire… E’ un bastardo, ho paura, non lo lascerò mai, mi ammazzerà…”
L’amico dal canto suo avrebbe cercato di farle capire che quella situazione era pericolosa, ma nonostante tutto la vittima ripeteva, evidentemente terrorizzata: “Mi ammazza, me lo sento, mi ha messo la corda al collo, stava per stringere, mi sono fatta male anche alla dita per toglierla…”. La soluzione più semplice sarebbe stata quella di lasciare Morreale, ma per Roberta Siragusa sarebbe stata impraticabile: “Se lo lascio non posso fare neanche più una passeggiata da sola, mi ammazzerà… Se devo lasciarlo devo farlo davanti ai miei, perché se lo faccio quando siamo soli mi ammazza davvero…”. Ed è proprio quello che, secondo i giudici, Morreale avrebbe effettivamente fatto qualche giorno dopo.
Analizzando i cellulari è emerso poi che almeno “33 volte nell’arco di un anno vi sono messaggi – scrive la Corte d’Assise nelle motivazioni della sentenza – in cui Roberta racconta di violenze subite all’amico” e spesso avrebbe inviato anche delle fotografie per documentare le lesioni patite: “Il 5 agosto 2020 aveva mandato un occhio nero, il 27 settembre successivo faceva vedere segni sul corpo, il 3 ottobre raccontava di essere stata afferrata per il collo e picchiata e aveva mandato altre foto, l’11 ottobre altre foto con segni sul corpo“.
Nel processo la famiglia si è costituita parte civile con l’assistenza degli avvocati Giovanni Castronovo, Maria La Verde, Sergio Burgio, Giuseppe Canzone. Parte civile anche il Comune di Caccamo, difeso dall’avvocato Maria Beatrice Scimeca, e alcune associazioni contro la violenza di genere.

I giudici: “Roberta Siragusa uccisa con modalità atroci, si è finta morta per sfuggire all’assassino” (Palermo Today – 22 marzo 2023)
Le motivazioni della sentenza per l’omicidio della diciassettenne di Caccamo con cui è stato condannato Pietro Morreale. Ricostruito minuto per minuto l’orrore di quella notte: “Lei rifiutò di fare sesso, l’imputato, che aveva premeditato il delitto con freddezza, la aggredì brutalmente, poi le diede fuoco provocandole un’agonia di 2-5 minuti”
Il 17 gennaio 2020, cioè un anno prima di essere ammazzata, Roberta Siragusa ipotizzava addirittura di uccidersi con delle pillole perché, scriveva, “sono stanca di fare questa vita di m…” ed era proprio Pietro Morreale, il suo fidanzato, che è anche colui che è stato condannato all’ergastolo per il delitto, ad incoraggiarla: “Non devi dire queste cose, voglio stare con te io”.
Come ricostruisce la seconda sezione della Corte d’Assise nelle motivazioni della sentenza, sono state “pienamente provata la forte gelosia e possessività dell’imputato nei confronti di Roberta Siragusa” e “di frequente tali pulsioni si traducevano in aggressioni fisiche come dalla stessa vittima descrittein più conversazioni con un amico”. Quell’omicidio, inoltre, Morreale, lo avrebbe premeditato “freddamente” e l’avrebbe compiuto con crudeltà “optando per la modalità più atroce, provocando ‘profonda angoscia ed intensissimo dolore'” nella vittima “che si sono protratti in una fase di agonia di circa 2-5 minuti”. Non solo: l’imputato “ha assistito impassibile all’abbruciamento”, con una “assoluta mancanza di qualsivoglia sentimento di umanità”.
E’ un film dell’orrore quello ricostruito meticolosamente dalla Corte presieduta da Vincenzo Terranova (a latere Maura Terranova), in relazione all’uccisione della diciassettenne di Caccamo, nella notte tra il 23 e il 24 gennaio del 2021, arrivando ad ipotizzare che ad un certo punto la giovane si sia finta morta o svenuta “per sfuggire alla furia omicida”.
E ciò che emerge chiaramente è che i giudici non hanno neanche lontanamente creduto alle tesi difensive – l’imputato ha sempre negato di aver ucciso la fidanzata, sostenendo che la ragazza si fosse suicidata – più volte definite nelle motivazioni della sentenza come prive di riscontro e poco plausibili. Accolte, oltre alle tesi della Procura di Termini Imerese, guidata dal procuratore Ambrogio Cartosio, anche quelle delle parti civili, ovvero la famiglia della vittima, assistita dagli avvocati Giovanni Castronovo, Maria La Verde, Sergio Burgio e Giuseppe Canzone (nella foto sotto), nonché il Comune di Caccamo, difeso dall’avvocato Maria Beatrice Scimeca, ed alcune associazioni.
“Dai video non è chiaro chi appiccò il fuoco” La Corte attraverso i messaggi ricavati dai cellulari, i movimenti registrati dai Gps e dalle telecamere di sorveglianza, dalle testimonianze, dalle perizie e consulenze è riuscita a ripercorrere minuto per minuto cosa accadde esattamente quella notte e ha definito un schema preciso e analitico. In relazione a uno dei video fondamentali nel processo, cioè quello ripreso al campo sportivo di Caccamo, dove la ragazza sarebbe stata uccisa (il suo corpo era stato però trasportato lungo il Monte San Calogero e gettato in un dirupo), i giudici dicono che “non è possibile stabilire la dinamica dell’accensione del fuoco, non si può affermare che il fuoco sia stato appiccato dalla stessa vittima né tanto meno che vi sia stato l’intervento di un altro soggetto”, ma anche che “se la visione del video non permette di accertare la presenza dell’imputato, è anche vero che non la esclude”. Per la Corte, Morreale “ha utilizzato una miccia composta da una traccia di benzina versata sulla stradella fino al corpo tramortito di Roberta già cosparso di liquido infiammabile, che ha consentito all’imputato di tenersi a distanza di sicurezza dall’esplosione della sfera di fuoco”.
“Non voglio fare nulla, non voglio bombare”. “Devono escludersi le ipotesi di suicidio o accidente prospettate dalla difesa”, scrive chiaramente la Corte, che fornisce l’esatta dinamica dei fatti per come emersi durante il dibattimento: “E’ stata pienamente provata la forte gelosia e possessività dell’imputato nei confronti di Roberta Siragusa”. Quella sera i due sarebbero stati a casa di lei, che non avrebbe avuto alcuna intenzione di uscire. Morreale attraverso dei messaggi l’avrebbe però sollecitata: “Cosa devi fare tu? Vestirti e truccarti? Ho dimenticato… e depilarti…” e lei rispondeva: “Amo, non mi depilo, non voglio fare nulla”, ma l’imputato insisteva: “Depilati”, finché la vittima scriveva alle 21.22: “Non voglio bombare”, cioè avere rapporti sessuali. Morreale però non mollava: “Sempre illusioni… depilati al posto di parlare con altri”.
“Ha rifiutato di fare sesso e lui l’ha aggredita”. Dopo essere usciti ed andati a casa di un’amica, i due si erano allontanati ed avevano raggiunto il campo sportivo. Proprio qui “al campo sportivo – scrivono i giudici – in seguito al rifiuto ad avere un rapporto sessuale con Pietro, rifiuto che già la ragazza aveva peraltro espresso tramite messaggi, e dopo che questi ha scoperto che durante la serata Roberta si era scambiata messaggi con l’amico, è altamente probabile che tra Roberta e Pietro sia scoppiato un litigio, sfociato nell’aggressione anche fisica”. Tanto che “nell’auto sono state rinvenute tracce ematiche di Pietro Morreale e Roberta Siragusa” e che “alcune delle ferite riportate sul volto di Roberta Siragusa (in particolare quella sull’arcata sopraccigliare sinistra) sono compatibili con una colluttazione avvenuta nell’auto”.
“Per sfuggire alla furia omicida ha finto di essere morta o svenuta”. “Ed è proprio dalle violente lesioni traumatiche riportate dalla vittima – prosegue la Corte – il cui volto è stato massacrato certamente in un momento in cui la ragazza era ancora in viva, che si consuma l’azione omicidiaria dell’imputato (…) Sebbene non si possa affermare con certezza che le lesioni abbiano provocato un vero e proprio ko, tuttavia erano certamente di una gravità tale da tramortire la vittima o, ancora, è possibile che Roberta, in preda al terrore per la violenza dei colpi subiti, abbia finto di essere morta o svenuta per sfuggire alla furia omicida dell’imputato, così rimanendo immobile distesa al suolo”
“Le ha versato addosso la benzina e ha creato la miccia”.
I giudici spiegano poi che “questa posizione” della vittima, immobile e distesa al suolo, “ha favorito l’azione di Morreale che, al fine di ucciderla, ha potuto così versarle addosso la benzina senza che la ragazza avesse alcuna possibilità di fuggire per poi creare la miccia versando lungo la strada la restante benzina che gli ha consentito di restare a distanza di sicurezza dalle fiamme che avrebbero avvolto il corpo di Roberta. A quel punto la ragazza si è portata istintivamente le mani al volto (…) e sotto la spinta del dolore provocato dalle fiamme, è riuscita nell’arco di circa 2 secondi ad alzarsi iniziando istintivamente a correre in preda ad una fortissima angoscia”.
“Ha depistato le indagini”. Poi l’imputato, dopo che ormai le fiamme erano spente, secondo la Corte avrebbe nuovamente appiccato le fiamme al corpo nel tentativo di giustificare la versione che avrebbe fornito dei fatti, ovvero che la ragazza si sarebbe data fuoco da sola, dopo essersi cosparsa di benzina, e che lui avrebbe persino tentato di soccorrerla, ma inutilmente. E’ stato accertato durante il processo, inoltre, che proprio nei minuti in cui l’auto di Morreale era ferma davanti al campo sportivo, poco prima del rogo, lui avrebbe contattato un amico per poter andare a giocare con la Playstation. Non solo: aveva mandato anche messaggi alla stessa Roberta, chiedendole dove fosse, nel preciso intento di “depistare le indagini”.



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