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Maria Archetta (Mariarca) Mennella, 38 anni, commessa, mamma. Uccisa a coltellate dall’ex marito

Musile di Piave (Venezia), 24 Luglio 2024

 


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Ammazza a coltellate l’ex moglie «Un violento, la terrorizzava. Minacciava di uccidere il figlio, per questo non l’ha denunciato. Costretta per 4 volte a cambiare casa» (Corriere della Sera – 24 luglio 2017)
Il dramma a Musile di Piave (Venezia). L’uomo fa il pizzaiolo a Jesolo: aggredita con un coltello
«Era geloso di lei. Di quello che era riuscita a realizzare. Perché “Mariarca” era una ragazza in gamba, perché aveva un lavoro, era indipendente, e amava i suoi figli. Lei era lassù. E invece la vita di Antonio era rimasta nel posto che meritava: in basso, senza riuscire a costruire mai niente di buono». Anna Mennella parla senza quasi prendere fiato, e ogni tanto lancia un’occhiata alle sue sorelle, come per cercare da loro la forza necessaria a non crollare. Erano in sei. Sono rimaste in cinque. Assunta annuisce, rincara: «Quando erano sposati, lui non pagava l’affitto, la trascurava. Pensava solo a drogarsi».
Sono arrivate tutte insieme da Torre del Greco, appena hanno saputo. Il tempo di parlare con i carabinieri, per capire qualcosa di più. Poi, non sapendo dove andare, si sono ritrovate quasi per caso all’outlet di Noventa di Piave, di fronte alla vetrina del negozio «Ugo Colella» in cui lavorava Maria Archetta Mennella, «Mariarca», come la chiamavano tutti. «Quell’uomo deve pagare per ciò che ha fatto». Lo ripetono come un mantra, le sorelle della commessa di 38 anni che all’alba di domenica è stata ammazzata a coltellate dall’ex marito, il pizzaiolo Antonio Ascione, napoletano di 44 anni.
Lui l’ha colpita nel letto del piccolo appartamento in cui la donna abitava, a Musile di Piave. Poi si è cambiato gli abiti sporchi di sangue e ha chiamato i carabinieri. «Venite a prendermi: ho ucciso la mia ex moglie». Le sorelle raccontano di un passato di maltrattamenti. «Le violenze andavano avanti da anni, lei ha cambiato quattro case ma lui la inseguiva sempre… », spiega Anna. Poi la decisione: Mariarca si era separata, portando con sé i bambini: il più piccolo che oggi ha 9 anni («E ancora non gli abbiamo detto che la mamma è morta »), e la più grande, di 14. I contatti tra i due ex coniugi però non si erano mai interrotti del tutto, neppure quando lei aveva deciso di trasferirsi nel Veneziano, prima a Noventa e, solo da poco, in quell’appartamento al secondo piano di un condominio di Musile.
Ascione non voleva quella rottura, pretendeva che gli rimanesse accanto. E quando anche lui aveva deciso di trasferirsi in Veneto (aveva trovato lavoro in una pizzeria di Jesolo), lei non si era opposta. «Non voleva impedirgli di vedere i suoi figli – spiega Assunta – ma era stata chiara: ti trovi un’occupazione e una casa. Invece le minacce sono ricominciate… ». L’uomo non accettava che la sua ex moglie fosse riuscita a ricostruirsi una vita.
«La scorsa settimana le ha puntato un coltello alla gola», raccontano. Eppure Mariarca non l’aveva mai denunciato. «Per paura», taglia corto Anna. «Aveva minacciato di fare del male al figlio più piccolo. Per questo lei non era andata dai carabinieri: per proteggere il loro bambino »
. Cosa ci facesse Antonio Ascione in quella casa, non se lo sanno spiegare neppure le sorelle della vittima.
Lui ha spiegato ai carabinieri di essere stato ospite dell’ex moglie, lasciando intendere che tra loro ci fosse stato un riavvicinamento. La migliore amica di Mariarca è netta: «È impossibile, non l’avrebbe mai ospitato in casa, perché era terrorizzata». Si chiama Imma Sol e gestisce il punto vendita in cui lavorava la vittima. «Mi parlava di questo suo ex marito come di una persona violenta – spiega – . L’avevo conosciuto: sembrava innocuo, neppure tanto forte fisicamente. E invece era un mostro: non voleva che lavorasse, pretendeva che Mariarca rimanesse sempre a casa, che non incontrasse altre persone. Con il passare dei mesi si faceva sempre più insistente e nelle ultime due settimane la chiamava continuamente in negozio, per minacciarla. Le suonava il cellulare e lei usciva alcuni minuti, cercava di calmarlo, litigavano. Quando tornava, era sempre sconvolta».
L’amica non si dà pace. «Non sono stata in grado di difenderla », ripete. Di certo, c’è che la trentottenne sapeva fino a che punto poteva spingersi la furia di Ascione. «Quindici giorni fa Mariarca mi ha presa in disparte – racconta Imma – e mi ha detto una cosa che non dimenticherò mai: “Se mi accade qualcosa, vai dai carabinieri. Dì loro che sul mio cellulare c’è tutto ciò di cui hanno bisogno, perché io sto registrando quello che Antonio mi dice”. Non l’avevo mai vista così spaventata». La negoziante ha ripetuto la stessa cosa agli investigatori che indagano sul delitto e ora quel telefonino è nelle loro mani. Ma cosa può aver scatenato la furia dell’omicida? «Mariarca non aveva altre relazioni: diceva che gli uomini le facevano paura». E allora, forse, l’unica spiegazione sta in quello che dicono le sorelle della donna: «Antonio è un uomo orribile, egoista, che non accettava di vedere il proprio fallimento riflesso nella felicità della sua ex moglie».
Martedì in carcere a Venezia si svolgerà l’interrogatorio di convalida dell’uomo, arrestato con l’accusa di omicidio volontario.«Mi fanno paura gli uomini che non capiscono che amare una donna vuol dire amare la sua libertà» aveva scritto Maria Archetta Mennella in uno degli ultimi post pubblicati su Facebook. Forse riferendosi proprio all’ex marito, Antonio Ascione. Ed è stato Ascione che domenica l’ha accoltellata nell’appartamento in cui Maria viveva a Musile di Piave (in provincia di Venezia) e poi ha chiamato i carabinieri confessando l’omicidio.

«Maria viveva nel terrore. Lui era troppo geloso» (La Nuova di Venezia e Mestre – 25 luglio 2017)
Le colleghe di lavoro dell’Outlet e le sorelle della vittima non sanno darsi pace: «Due ragazzi senza madre, deve stare in carcere». «Non sopportava di perderla»
«Maria viveva nel terrore». Parlano le sorelle e le colleghe di lavoro di Maria Archetta Mennella all’indomani del femminicidio di via Dante a Musile. Ricordano le ultime settimane, la gelosia crescente dell’ex marito che non sopportava più l’idea di perderla. Ieri mattina, le sorelle sono arrivate a San Donà alla caserma dei carabinieri. Sono ospiti da alcuni parenti di Verona. Volevano vedere la salma di Maria, ma non hanno potuto perché è ancora sotto sequestro in attesa dell’autopsia. Si occuperanno del trasferimento a Torre del Greco, loro città di origine, dove saranno celebrate le esequie. «Ha lasciato due figli senza una madre», hanno detto le sorelle, «merita di marcire in carcere, non lo perdoneremo mai per quello che ha fatto».
Parla Anna, poi Assunta, due delle cinque sorelle, cui si aggiunge un fratello, in questa numerosa famiglia che adesso sta ospitando i due figli di 14 e 9 anni che erano scesi dai nonni a Torre del Greco per le vacanze estive. I familiari stanno cercando un legale per tutelarsi e pare si rivolgeranno a un professionista della loro città.
«Maria», ricordano, «aveva una nuova vita, il lavoro, aveva spiccato il volo. Antonio era il padre dei suoi figli che erano tanto attaccati a lui. Si era trasferita a Noventa in una piccola mansarda, poi aveva scelto di trasferirsi a Musile perché era più comoda in un appartamento. Non ci risulta che lui la vedesse sempre, poi non lo faceva entrare in casa a dormire, ma solo per vedere i figli. Soltanto negli ultimi tempi era diventato troppo geloso». Antonio dunque, secondo le sorelle, non dormiva da Maria, ma la vedeva ancora spesso per mantenere i rapporti con i figli. Forse quella notte era andato a parlarle, forse le aveva chiesto di ospitarlo e lei aveva accettato senza dire nulla. Le aveva anche regalato un’auto, per aiutarla e in qualche modo riconquistarla, lei che non viveva nell’oro.
«Ma era terrorizzata», dicono le colleghe al negozio “Ugo Colella” all’Outlet di Noventa, «E ce lo aveva detto più volte. Era bella, solare, bravissima nel suo lavoro». «Qui da noi», ricorda Concetta Sol, «era arrivata circa un anno fa da Marcianise dove aveva lavorato. Una maternità e ha avuto l’occasione di trasferirsi. Era iniziata una nuova vita per lei che era separata da un paio d’anni. Ma lui tornava sempre da “Arca”, per vedere i bambini e perché non si rassegnava di perderla. Lei però ammetteva che era un bravissimo papà e non voleva certo vietargli di vedere i ragazzi. Adesso ci ha tolto un pezzo di cuore questo assassino. Abbiamo acceso una candela davanti a casa nella notte, in suo ricordo. Io sono stata la prima ad arrivare a casa. C’erano le sue scarpe per terra, poi il corpo in camera, ma i carabinieri mi hanno fermata. “Arca” ci mancherà per sempre e adesso penseremo ai bambini, cercheremo di aiutarli. Se ci avesse detto di più della sua vita privata forse avremmo potuto fare qualcosa per aiutarla, perché l’azienda era per lei come un’altra famiglia».


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