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Khadija Bencheick, 49 anni, badante. Massacrata con un batticarne dal convivente che poi, con una sega circolare, seziona il corpo in 37 pezzi che divide in 4 sacchi e abbandona in un uliveto

Valeggio sul Mincio (Verona), 30 Dicembre 2017


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Verona, identificata LA donna uccisa e fatta a pezzi: è una 46enne marocchina (la Repubblica – 2 gennaio 2018)
Sono ancora poche le certezze nel giallo del cadavere smembrato ritrovato tre giorni fa in un campo a Gardoni Valeggio sul Mincio, nel veronese. Per ora l’unico dato fermo è l’identità della vittima: si chiamava Khadija Bencheikh, era nata nel 1971 in Marocco e risiedeva a Verona. Il nome è stato diffuso dai carabinieri di Villafranca che indagano sulla vicenda. La morte viene fatta risalire a circa 24-48 ore precedenti il ritrovamento. La donna era una immigrata regolare, in Italia da circa 20 anni. Viveva svolgendo lavori saltuari, come badante e addetta alle pulizie. Incensurata, non aveva contatti con ambienti pericolosi o equivoci.
Nel 2009 aveva divorziato dal marito, un connazionale, che gli investigatori sentiranno, ma al momento non avrebbe un ruolo di particolare rilievo nell’indagine; non ci sarebbe in sostanza l’esigenza di interrogarlo. I carabinieri si stanno concentrando invece sulla rete di contatti recenti e degli amici che la 46enne frequentava. Hanno interrogato quello che era il compagno attuale della donna, un extracomunitario dell’area europea, sul quale per ora non c’è alcuna accusa. Il fascicolo d’inchiesta non ha al momento indagati.
All’individuazione della donna – il nome non è stato diffuso – i carabinieri sono giunti grazie all’autopsia e soprattutto alla comparazione delle impronte digitali. Il cadavere, che l’assassino ha sezionato in una decina di pezzi, forse con una sega a motore, ha risparmiato gli arti e la testa, tagliati ma trovati integri nel campo di Corte Gardoni. Sul corpo non c’erano vestiti: la vittima aveva addosso un paio di slip e un paio di calzini da ginnastica. La scoperta dei resti, disposti a semicerchio in un’area di 3-4 metri di diametro, vicino ad un sacco di nylon azzurro, usato per trasportali, era stata fatta da un’allevatrice della zona, che stava portando da mangiare al suo cavallo. Un’area isolata, distante un paio di chilometri dalle prime case.
E’ certo che l’omicidio sia avvenuto altrove: sul terreno non c’erano tracce di sangue. Una zona di vigne e uliveti, di mezza collina, che probabilmente il killer conosceva bene. Non ha cercato di seppellire i pezzi del corpo. Forse perché sapeva che a poche centinaia di metri da lì c’è il sito di una ex base militare, usata ormai come discarica, frequentata da branchi di cinghiali. Se il cadavere non fosse stato scoperto subito, gli animali ne avrebbero fatto scempio, senza lasciare tracce. Serviranno altri accertamenti medico-legali adesso per capire come la donna marocchina sia stata uccisa, perché il primo esame dei resti non ha dato risposte sicure nemmeno su questo.


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