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Desirè Zumia, 34 anni, impiegata, mamma. Uccisa dal marito a coltellate

Prato, 6 Maggio 2011

 


Titoli & Articoli

Omicidio-suicidio in via Firenze, Desirè ha lottato prima di essere pugnalata a morte dal marito (Notizie di Prato – 7 maggio 2011)
Desirè ha lottato prima di soccombere sotto le coltellate del marito Giuseppe. E’ questo lo scenario che sembra emergere dalle prime ispezioni sui corpi di marito e moglie, morti ieri mattina nel loro bell’appartamento di via Firenze al termine di un litigio, probabilmente provocato dalla decisione della donna di porre fine al matrimonio. E’ stato questo, con tutta probabilità, ad armare la mano di Giuseppe Milazzo, operaio tessile di 38 anni, originario della Sicilia, che poco prima delle 8 di ieri ha accoltellato a morte la moglie Desirè Zumia, 34 anni, anche lei di origine siciliana, per poi togliersi la vita con lo stesso coltello da cucina. Ma prima del tragico epilogo ci sarebbe stata una violenta colluttazione tra i due. Lo dimostrerebbero una serie di tagli superficiali trovati su entrambi i corpi, come se Desirè abbia lottato a lungo con la furia omicida del marito.
Questo, naturalmente, aumenta il dramma della figlia di 4 anni della coppia. Incolpevole testimone del dramma che si è compiuto praticamente davanti ai suoi occhi. Perché anche se la piccola non ha visto il padre uccidere le mamma e poi togliersi la vita, visto che la tragedia è avvenuta al piano rialzato, mentre lei era da basso, di sicuro ha sentito le grida e le urla disperate della madre. Ed è stata proprio la bambina ad aprire la porta ai soccorritori. Adesso la piccola è affidata alle cure dei nonni, così come l’altra figlia adolescente di Desirè, avuta in giovane età da un altro uomo. Lei, ieri mattina, era già uscita per andare a scuola, quando è avvenuta la tragedia. Ma di sicuro anche lei porterà per tutta la  vita i segni di quanto successo al secondo piano di quella bella palazzina a Le Macine.
Intanto, di pari passo con gli acecrtamenti medici, vanno avanti anche le indagini dei carabinieri, coordinati dal pm Roberta Pieri. Al momento la pista pressoché unica è quella legata ai problemi di coppia, con una separazione che sembrava ormai imminente ma che, evidentemente, Giuseppe Milazzo non riusciva ad accettare. Tra gli ogegtti sequestrati ieri nell’appartamento del dramma, c’è anche un foglietto con una dettagliata e minuziosa divisione dei beni in comune, compresi mobili ed elettrodomestici. Segmo evidente che ormai il passo verso la separazione era quasi compiuto.

 

A distanza di tredici anni altre due vittime nella “casa maledetta” (il Tirreno – 7 maggio 2011)
Gli abitanti del quartiere la chiamano “casa maledetta”. Se lo fanno, c’è un motivo. C’è una storia triste che si nasconde in quelle mura domestiche macchiate di sangue in via Firenze 123. Un destino che, senza scomodare troppo la superstizione, sembra volere male a chi mette piede in quella palazzina già balzata agli onori della cronaca il primo settembre 1998. La maledizione stavolta ha colpito la coppia Desiré Zumia e Giuseppe Milazzo, vittime di un omicidio-suicidio dal movente probabilmente passionale. E due morti si contarono anche 13 anni fa: niente lame di coltelli infilzati, ma un mucchio di macerie per l’esplosione dello stesso edificio. Allora il crollo costò la vita nel sonno a Roberto Bonaiuti che abitava al primo piano e a Domenico Iannetta, l’attentatore che appiccò il fuoco alla “Latteria Rosa” del piano terra.  Fu un colpo violentissimo che svegliò mezza Prato: un piccolo giallo che si risolse in un batter d’occhio quando si capì subito che in realtà il molisano Iannetta, esecutore materiale dell’attentato, aveva orchestrato tutto con il giovane titolare della latteria, Raffael Persechino, nel tentativo di truffare l’assicurazione. La famiglia infatti navigava in brutte acque dal punto di vista economico: tant’è vero che nel 1999 Cariprato chiederà al condannato Persechino 35 milioni di lire per debiti contratti verso l’istituto di credito. Ma qualcosa del piano non avrebbe funzionato e Iannetta non avrebbe fatto in tempo ad innescare la miccia. La vicenda ebbe numerosi echi dal punto di vista giudiziario. Iniziamente la pena per i due responsabili dell’incendio doloso di via Firenze, Raffael Persechino e Fernando Notte (un altro complice), doveva essere di 10 anni e 4 mesi e 6 anni e 8 mesi di reclusione. Sentenza annullata dalla Corte di Cassazione e alla fine la condanna fu portata a 18 anni per Persechino e 12 per Notte. La palazzina incendiata venne ricostruita successivamente e lì prese poi casa la coppia siciliana. Una curiosità: nonostante i guai con le banche, Persechino era riuscito a comprarsi un’Harley Davidson da 40 milioni di lire. Sembra che anche Giuseppe Milazzo, l’omicida-suicida di Desiré, avesse un debole per lo stesso modello di motocicletta.

 

“Era molto geloso Ma chi immaginava un dramma così” (La Nazione – 8 maggio 2011)
Fra gli ultimi post sulla bacheca di Facebook, Desiré Zumia, la 34enne palermitana massacrata di coltellate dal marito, Giuseppe Milazzo, 38 anni, aveva inserito una canzone dei Modà. La musica era una delle sue passioni: tutto spazzato via in un venerdì di inimmaginabile follia nella casa acquistata in via Firenze. Lo ricorda la sorella maggiore, che insieme ai genitori, uno zio ed altri parenti si è precipitata a Prato, dopo aver appreso la terribile e incredibile notizia; alloggiano in un hotel della città.
“L’abbiamo vista ieri e io le ho dato un bacio sulla fronte. Aveva un’escoriazione — dice fra le lacrime la sorella maggiore che vive e lavora a Gallarate — Di Desirè abbiamo deciso di donare le cornee“. Un gesto di grande generosità da parte di una famiglia straziata da un dolore indicibile e indescrivibile che la dice lunga su una famiglia, quella di Desirè, molto unita, ricca di valori umani e capace di sopportare con dignità ammirabile una ferita insanabile. Una ferita che cambia la vita. Inevitabilmente. “Quando ho ricevuto la telefonata, ho pensato in un primo momento a mio padre..ero in ufficio e mi è crollato il mondo addosso”, ricorda la sorella.
La madre di Desirè è seduta su un divano. Piange al telefono con un’amica: le sue parole gridate di sofferenza per la morte violenta della figlia toccano le corde più profonde di chi le sta accanto. Ricorda la bellezza di sua figlia. E Desirè lo era davvero. “Sì, assomigliava a Carla Bruni e Simona Ventura. Al suo matrimonio celebrato lo scorso anno era bellissima”. Ma era anche una donna con la testa sulle spalle: “Determinata, precisa, era un’ariete — aggiunge la sorella — che nella sua vita ne ha passate tante, ma che ha sempre saputo andare avanti”.
Una donna forte nonostante la fragilità fisica di una taglia 40, una ragazza che salita dalla Sicilia ha saputo adattarsi ad andare a lavorare in fabbrica, in filatura. Poi sono iniziati i primi contratti a progetto alla gioielleria ‘Stroili Oro’ ai Gigli (lei aveva già lavorato in un negozio di gioielli a Palermo) fino a diventare una figura di riferimento del negozio. I familiari confermano che Desirè e Giuseppe avevano avviato una fase di separazione, a un anno dalle nozze e dopo una decina di convivenza. “Ma niente ci faceva presagire che potesse succedere una disgrazia di questo genere — dice un parente — Non ci sono mai state discussioni, mai liti, mai denunce..quello che abbiamo appreso lo abbiamo letto dai giornali”.
Un fulmine a ciel sereno per la famiglia di Desirè. “Il marito era molto geloso di mia sorella, ma Desirè era responsabile e sempre insieme alle figlie. Noi non sappiamo come è andata, cosa sia successo…”. Eppure la coppia, come riferiscono i parenti, aveva deciso di avere un figlio. Gravidanza cercata, voluta, ma finita male, perché Desiré ha perso il piccolo al quarto mese di attesa, nel mese di settembre. Su Giuseppe non una parola di più se non è che è uguale alla figlia piccola, nata dall’unione con Desiré. I parenti attendono che il medico legale esegua l’autopsia sulla salma del giovane caduta sotto i fendenti di quello che riteneva l’ ‘uomo della sua vita’ per poi seppellirla a Palermo o nella tomba di famiglia a Piazza Armerina.

 

Dramma di via Firenze Le figlie restano insieme (La Nazione – 10 maggio 2011)
Il tribunale dei minori di Firenze ha già avviato la pratica per l’affido definitivo delle due figlie di Desiré Zumia, la donna di 34 anni morta venerdì mattina nella palazzina di via Firenze dove ha perso la vita anche il marito Giuseppe Milazzo in quello che ormai è da considerarsi un omicidio-suicidio anche per gli inquirenti. Di dubbi, in realtà, non ce ne sono mai stati molti; ora anche l’autopsia, effettuata domenica mattina dal medico legale Brunero Begliomini, sembra confermare l’ipotesi prevalente e cioè che Milazzo abbia ucciso a coltellate la moglie primam di rivolgere la lama contro di sé e uccidersi con un colpo che dall’addome ha raggiunto il cuore.
Molteplici, invece, i colpi inferti a Desiré, anche se la Procura mantiene il riserbo sul numero esatto di fendenti che l’hanno raggiunta.
Tornando alle figlie, la più piccola di tre anni e mezzo e la maggiore di sedici, sembra che per loro la strada sia tracciata: non pare ci siano motivi contrari al loro affidamento ai nonni, che vivono in Sicilia. Per il momento, però, la maggiore dovrebbe rimanere in città per concludere l’anno scolastico al liceo Copernico, considerato che mancano poche settimane alla conclusione. Sarà il giudice a decidere dopo aver ascoltato la stessa ragazza, ma la decisione sembra ormai scontata. Ed è soprattutto per loro che la Procura, con le indagini condotte dal magistrato Roberta Pieri, vuole la certezza della ricostruzione del fatto.
La dinamica della morte dei loro genitori, infatti, incide in maniera determinante sul capitolo ereditario, complicato anche dal fatto che la minore è figlia di Desiré e Giuseppe, mentre la sedicenne è nata da una precedente unione della donna con un uomo di Palermo che ha conosciuto per la prima volta proprio nel giorno della tragedia.
Se — come sembra ormai certo — è stata Desiré a morire per prima, tutte e due le figlie hanno diritto alla successione in parti uguali, mentre se fosse stato Milazzo a morire per primo solo la bambina più piccola sarebbe stata l’erede diretta. Una semplificazione di un capitolo comunque molto complesso. Intanto i parenti di Desiré alloggiano ancora in un hotel della città, in attesa di definire meglio le varie questioni aperte. La sorella Cinzia non vuole più parlare, chiusa nel suo dolore. A lei e agli altri parenti compete la decisione sulla sorte dei defunti: per la Procura le salme sono da considerarsi libere, poiché l’autopsia è conclusa. Del servizio funebre è stata incaricata la Misericordia di Prato, che era già intervenuta nell’immediatezza del fatto. Al nostro giornale la stessa sorella manifestò sabato scorso l’intenzione di seppellire Desiré nella cappella di famiglia a Piazza Armerina o a Palermo.Pare difficile che venga celebrata una funzione anche a Prato; probabilmente l’impresa funebre riceverà l’ordine di portare i corpi in Sicilia, dove si terranno i funerali e le sepolture.


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