Raisa: «Guarda figlia mia, io ti voglio chiedere solo una cosa. Quando è successo questo e mamma stava per terra e c’era il fuoco, Dyma non c’era a casa?».
Zina: «C’era».
Raisa: «Sicuro? Sicuro? E quando ha visto mamma che era a terra non si è messo a buttare un po’ d’acqua? Che cosa ha fatto?».
Zina: «Lui stava al tablet».
Raisa: «Questo il giorno….».
Zina: «E’ da due giorni che sta con il tablet».
Raisa: «Ascolta figlia mia, quando è successo tutto questo e tu hai sentito il fumo, ma perché Dyma non si è messo a correre?».
Zina: «Lui è sempre stato seduto al computer, io mi sono messa a correre per prima… lui è stato con auricolare».
Raisa: «Ah, è stato con auricolare? E quando tu hai visto il fuoco e hai cominciato a correre, lui non si è alzato?».
Zina: «Io sono entrata nella stanza, ho tolto auricolare e ho cominciato a correre, l’ho accompagnato verso la cucina. Lui ha visto, però era indifferente».
Pochi minuti dopo Dyma manda un messaggio a Raisa: ho bruciato Anastasiia, puoi comprare fiori per il suo funerale.
Il boato e il fumo. Sono le 14.35 del 10 marzo quando ai vigili del fuoco arrivano diverse chiamate per un incendio scoppiato in vico I San’Antonio Abate, al secondo piano. Nove minuti dopo i vigili sono lì, ma per Anastasiia è tardi: le fiamme l’hanno bruciata. E’ scampata all’incendio la figlia di cinque anni, che chiameremo Zina. L’ha afferrata e trascinata fuori la coinquilina russa Olena Donchak, di 60 anni. «Zina – ha raccontato la donna ai carabinieri – è salita su da me (la stanza di Olena era su un soppalco, ndr) urlando: nonna Olena, salva mia mamma! Io le chiedevo nella sua lingua, perché parlo anche ucraino: che cosa sta succedendo? E lei continuava a urlare: corri, corri, salva mia mamma! Le ho detto: aspetta, scendo subito. Così ho preso il telefonino e mentre stavo scendendo, tenendo Zina per la mano, ho sentito un boato e dopo due secondi è diventato tutto nero dal fumo, così ho girato il telefonino per fare luce».
Salvata dalla coinquilina russa. A questo punto la testimonianza diventa drammatica: «Dopo il botto, mentre stavo ancora scendendo le scale del soppalco,ho sentito Anastasiia urlare: apritemi, apritemi, apritemi per favore». La ragazza, infatti, era rimasta imprigionata nel bagno, dove stava facendo la doccia, e non è riuscita ad uscire dall’appartamento. Olena però non riesce ad aiutarla: «Mi sono avvicinata, sempre tenendo la bambina per mano, agli scalini della cucina e ho visto il tappeto della cucina in fiamme e il fuoco alto». All’inizio i carabinieri pensano a un incidente: dietro il frigorifero c’è una presa multipla, di quelle comunemente chiamate ciabatte, il cui uso è vietato dalla legge perché può crearsi un pericoloso sovraccarico di corrente. L’ipotesi è che l’incendio sia scoppiato lì. Solo nei giorni successivi i vigili del fuoco grazie alle loro apparecchiature rilevano nell’appartamento una concentrazione anomala di idrocarburi, in particolare su resti di legno (forse cassetti) e su un tappetino di stoffa: è la prova che l’incendio è stato appiccato da qualcuno.
Le indagini. Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone, imboccano subito una pista precisa: Anastasiia, arrivata in Italia dall’Ucraina da pochi mesi, ha un compagno: è Dyma. Non ha un lavoro fisso, è solito bere e il padre, che ha interrotto i rapporti con lui, lo descrive così ai carabinieri: «Mio figlio Dyma ha un carattere freddo, superficiale, menefreghista».
Dyma fugge mentre le fiamme divorano l’appartamento, ma una vicina lo vede e lo riconosce, nonostante abbia il cappuccio della felpa calato sul volto. Viene rintracciato diversi giorni dopo ad Acerra (motivo per cui la convalida del fermo è stata fatta dal gip di Nola Sebastiano Napolitano) e sulle prime nega: non solo di avere ucciso Anastasiia, ma anche di essere il suo compagno e addirittura di avere avuto rapporti con lei. Ma viene fuori che lui era geloso e litigava spesso con la compagna. Lo incastrano numerosissime testimonianze, i messaggi trovati sul telefonino di lei (c’è anche la foto di due anelli intrecciati a significare che le aveva chiesto di sposarlo) e soprattutto il racconto della bambina.