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Zlatan Vasiljievic, 42 anni, camionista, padre. Pregiudicato per maltrattamenti e minacce, in carcere segue un percorso di recupero, ottiene i domiciliari, scade il divieto di avvicinamento, ottiene l’affido condiviso dei figli e uccide la ex moglie e la nuova compagna. Poi si uccide (strage di Vicenza)

Vicenza, 8 Giugno 2022


Titoli & Articoli

Zlatan Vasiljevic, chi era il killer che ha ucciso due donne a Vicenza e lanciato granate durante la fuga (Corriere del Veneto – 8 giugno 2022)
Aveva 42 anni e viveva in Veneto da tempo: era già stato arrestato per le violenze contro l’ex moglie Lidia Miljkovic. Dopo averla uccisa ha sparato anche contro l’attuale compagna: ha fatto esplodere due granate lungo la tangenziale prima di suicidarsi
Li ritrae insieme una lunga serie di foto: le ultime risalgono al 2018, sulle cime del Kapaonik, le montagne tra Kosovo e Serbia. Lui, lei, i due figli e la neve. Un matrimonio, quello tra Lidia Miljkovic e Zlatan Vasiljevic, 42 anni, che era durato 14 anni. Lei, la vittima (42enne), una cittadina serba minuta e riservata, secondo la descrizione di chi la conosce, lui, il suo assassino, un uomo imponente, alto quasi due metri, di nazionalità bosniaca. Una vita violenta, una vita scandita da minacce, botte e maltrattamenti nei confronti della ex moglie: una vita di brutalità, furia e aggressività che ha visto Zlatan Vasiljevic accanirsi contro due donne, uccidendole: l’ex moglie ma anche l’attuale compagna. Ma anche capace di lanciare due granate durante la sua fuga.
La vita sul camion, l’alcolismo e la disoccupazione.
Zlatan Vasiljevic aveva un lavoro: era camionista. Di recente, però, era rimasto disoccupato. Una situazione che aveva aggravato la sua dipendenza dall’alcol. Un vizio, quello del bere troppo e farlo spesso, che era noto a quanti avevano a che fare con lui. Originario di Doboj, nel territorio della Repubblica Serba della Bosnia Erzegovina, la parte orientale del Paese, viveva in Veneto da molti anni. Era monitorato dalla giustizia: a marzo 2019 Vasiljevic era stato arrestato dai carabinieri di Altavilla, proprio per maltrattamenti contro Lidia. Alle manette era seguito il divieto di avvicinamento: non è stato sufficiente, però, per salvare la donna.
Le violenze nelle mura domestiche contro l’ex moglie. Nonostante la comune origine balcanica si erano conosciuti in Veneto, ad Altavilla Vicentina, dove si erano sposati nel 2005. Poi erano arrivati i figli, il primo nel 2006, il secondo nel 2008. Finché tutto è finito, nello spettro di una lunga serie di aggressione tra le mura domestiche, nel 2019 quando Lidia decide di andarsene e di tornare a vivere dai genitori, a Schio, sempre in provincia di Vicenza. Per rifarsi una vita lontana dall’uomo che riteneva pericoloso. Trovando anche un nuovo compagno di vita, un vicentino. Lidia Miljkovic, 42 anni, poteva contare anche su un lavoro sicuro, alla Food & Co di Vicenza, una realtà specializzata in catering. Anche i colleghi di lavoro conoscevano il suo calvario fatto di paure, denunce e pestaggi: una volta è stata costretta a un lungo periodo di malattie, oltre un mese, a causa delle botte.
Era già stato arrestato per aver picchiato la moglie.
Zlatan Vasiljevic nel 2019 fu già arrestato per avere picchiato la moglie, erano stati i carabinieri di Altavilla, dove la coppia viveva, che lo avevano fermato per i continui maltrattamenti. L’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale era scaturita dopo la denuncia presentata da Lidia ed è un lungo elenco di violenze, perpetrate anche davanti ai figli minori. Una scia di vessazioni che, scrive il giudice, inizia nel 2011. E che era chiaro dove andasse a finire, anche allora: La «perseveranza dimostrata dal Vasiljevic, unitamente all’abuso di alcoli e alla sua incapacità o comunque alla mancanza di volontà di controllarsi pure in presenza dei figli minori, costretti ad assistere alle continue vessazioni ai danni della madre – si legge nell’ordinanza del 2019 – consente di ritenere altamente verosimile il verificarsi di nuovi episodi di violenza, tanto più in ragione dell’allontanamento» della donna «dalla casa familiare e dalle tendenze controllanti e prevaricatorie dimostrate dall’indagato, che potrebbero con ogni probabilità subire un’escalation in termini di gravità e condurre a tragiche conseguenze».
Le botte, le minacce e la violenza contro Lidia Vasiljevic. Esattamente quello che è accaduto. Il giudice elenca alcuni episodi di violenza: a febbraio del 2019, quando Vasiljevic «afferrava per il collo» la moglie, «la spingeva contro il frigorifero della cucina e la minacciava con un coltello» che le infilava in bocca; un mese dopo quando, rientrato ubriaco, l’ha aggredita a letto stringendole il collo «come per strangolarla» e urlando: «ti uccido, ti cavo gli occhi»; ancora, sempre a marzo, quando le diede un colpo al volto «con violenza tale da farla cadere al suolo». Vasiljevic finì in carcere, ma ci rimase poco, tanto che già a dicembre 2019 arrivò un ordine di non avvicinamento: lo emise l’autorità giudiziaria su richiesta dei carabinieri di Schio, dove Lidia si era trasferita con i bambini dopo la separazione.

L’agghiacciante sequenza: Zlatan ha ucciso prima la compagna e poi l’ex moglie. La trappola prima della strage (il Gazzettino – 9 giugno 2022)
Ad essere uccisa per prima da Zlatan Vasiljevic, il bosniaco che ieri, 8 giugno, ha sparato a Vicenza all’ex moglie e all’ex compagna prima di rivolgere la pistola contro di sè, è stata proprio Gabriela Serrano, la donna con la quale aveva interrotto da poco una relazione dopo la separazione da Lidia Miljkovic. È quanto emerge dalla ricostruzione degli investigatori.
Zlatan Vasiljevic ieri ha chiamato di primo mattino l’ex compagna Gabriela Serrano, con la quale aveva interrotto la relazione da alcuni mesi, l’ha spinta a raggiungerlo da Rubano (Padova) a Vicenza con la sua auto.Dopo essere salito sulla vettura l’uomo si è diretto verso il quartiere Vigogna di Vicenza e qui ha ucciso Gabriela con un solo colpo alla nuca. Con il corpo della donna nell’auto è arrivato in via Vigolo e ha atteso l’arrivo dell’ex moglie. Quando ha visto Lidia Miljkovic non ha avuto esitazioni: l’ha uccisa a colpi di pistola. Compiuta la doppia mattanza si è diretto verso la tangenziale di Vicenza e si è suicidato con la stessa pistola, detenuta illegalmente.
L’autopsia. Sarà fatta un’autopsia sui corpi delle vittime del doppio femminicidio di Vicenza. L’esame sarà eseguito anche sul corpo dell’uomo. Sarà effettuata con molta probabilità già nelle prossime ore a Vicenza l’autopsia sui corpi di Zlatan Vasiljevic, suicida e responsabile del duplice omicidio dell’ex moglie Lidia Miljkovic e dell’attuale compagna Gabriela Serrano. Con l’esame, gli investigatori vogliono chiarire l’esatta dinamica dei fatti e mettere un punto a questa tragedia. Da chiarire se Lidia sia stata uccisa a colpi di pistola prima o dopo la morte di Gabriela, il cui cadavere è stato trovato nell’auto insieme a quello dell’omicida.
Il presidente del tribunale Alberto Rizzo. La storia giudiziaria di Zlatan Vasiljevic, insegna che «ci vuole una rete di protezione con una filiera virtuosa». Lo dice  il presidente del Tribunale di Vicenza, Alberto Rizzo, ricostruendo l’iter nelle aule di giustizia che ha portato al doppio femminicidio di ieri e al suicidio dell’autore del massacro delle due donne. Rizzo ripercorre le denunce ripetute di maltrattamenti fatte dall’ex moglie dell’assassino, che avevano dato luogo a due procedimenti giudiziari. «È tutto ancora in corso di accertamento perché ci manca qualche elemento però quello che emerge in questo momento – sottolinea – è che lui è stato raggiunto da due procedimenti penali, uno definito con una condanna in primo grado ad un anno e sei mesi, ridotta in Appello. Il Tribunale ha applicato una misura cautelare, coercitiva, attenuata poi nel corso del procedimento perché questa persona ha seguito un percorso di recupero».
«Mi dicono che in Corte d’Appello la misura dell’allontanamento è stata revocata. La misura cautelare ha una durata definita – spiega – oltre la quale cessano naturalmente i suoi effetti». Rizzo dice «che la pena in Corte d’Appello è stata sospesa, non so per quale motivo. In ogni caso la sospensione della pena determina il venir meno dell’esigenza cautelare».
«C’era un altro procedimento in corso di celebrazione ed era stato aggiornato per una modifica del capo di imputazione. Quindi i procedimenti penali erano due, uno definito con misura cautelare – riassume – e uno in corso».
In questo momento dunque Vasiljevic «non aveva alcun obbligo di non avvicinamento alla moglie perché aveva definito un procedimento, con una condanna passata il giudicato con pena sospesa dalla Corte d’Appello, e per quanto riguarda noi – precisa – c’era un procedimento penale ordinario, a dibattimento». Quindi, «non c’erano misure cautelari nei confronti del bosniaco: quando sono state richieste – rileva Rizzo – sono state applicate». Quanto accaduto porta il Presidente del Tribunale di Vicenza ad una riflessione più generale.
«Può il sistema penale o quello giudiziario impedire in assoluto il verificarsi di fenomeni drammatici come quello accaduto? – si chiede – O si deve intervenire, come io penso, in termini di prevenzione, con il coinvolgimento contributivo di diversi soggetti che devono parlarsi e fare rete anche nel settore del codice rosso?». Per Rizzo «la sola misura penale o parapenale, penso all’ordine di protezione che viene adottato con il 441 bis del codice civile che io applico spesso quando la parte ricorrente nell’ambito di una separazione mi rappresenta di essere oggetto di vessazioni o minacce, è solo un ordine di allontanamento e di non avvicinamento. Ma se poi l’ordine non viene rispettato vuol dire che la misura di per sé contiene il rischio ma non lo neutralizza». La sintesi, per il presidente del Tribunale è che «purtroppo non possiamo pensare a misure cautelare permanenti, il sistema deve dare una risposta di ampio respiro e che coinvolga diversi interlocutori, l’autorità giudiziaria, il coordinamento dei prefetti, l’autorità di pubblica sicurezza, le forze di Polizia, i comuni e i servizi sociali». «Pensare che sia l’autorità giudiziaria, da sola, a neutralizzare il rischio – conclude – è una illusione».

Zlatan Vasiljevic, chi era l’uomo che ha ucciso l’ex moglie e la compagna: «Colpa dei giudici se era libero» (Open Online – 9 giugno 2022)
L’ordinanza del 2019 racconta i maltrattamenti nei confronti di Lidia Miljkovic. L’attuale compagno: «Addebitati a lei 15 mila euro di spese legali» Zlatan Vasiljevic, ex camionista di 42 anni con cittadinanza bosniaca, ieri ha raggiunto l’ex moglie Lidia Miljkovic in via Vigolo nel quartiere Gogna di Vicenza. Lei doveva andare a servizio in una delle villette della zona, dopo aver accompagnato la figlia 13enne a scuola. Lui ha atteso che scendesse dalla sua auto e l’ha colpita con numerosi colpi di pistola, forse sei, lasciandola agonizzate sull’asfalto. Alcuni abitanti hanno sentito i colpi, ma anche un paio di esplosioni, mentre una vettura si allontanava di corsa. Dopo averla uccisa è fuggito nella sua Audi A3 nera con la compagna, Gabriela Serrano, 36enne residente a Rubano in provincia di Padova. Intorno alle 16 una pattuglia ha notato un’automobile ferma in una piazzola di sosta lungo la Tangenziale Ovest della città, parallela alla A4, in zona Campedello, a pochi chilometri dal luogo del primo delitto.
Il duplice femminicidio di Vicenza. Dentro c’erano due cadaveri. uno era quello di Zlatan. L’altro era di Gabriela. La vettura era piena di valigie: forse i due volevano fuggire. L’ipotesi più probabile è che l’omicida abbia sparato alla nuova convivente e poi alla fine abbia rivolto l’arma contro se stesso. Le ‘teste di cuoio’ hanno rotto i finestrini per controllare l’interno e hanno visto alcune granate, probabilmente come le due fatte esplodere da Vasiljevic durante la fuga dal primo delitto. L’arteria stradale, trafficatissima nelle ore pomeridiane, è stata subito chiusa così come la corsia in direzione di Milano della A4 per consentire le operazioni di rimozione delle bombe e la messa in sicurezza dell’area. Serrano è stata uccisa con un colpo alla nuca. Nell’auto c’era anche un’altra piccola pistola.
Nel 2019 Zlatan Vasiljevic è stato arrestato per avere picchiato la moglie. Erano stati i carabinieri di Altavilla, dove la coppia viveva, che lo avevano fermato per i continui maltrattamenti proprio verso Lidia Miljkovic. L’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale racconta una scia di vessazioni che, scrive il giudice, inizia nel 2011. E che era chiaro dove andasse a finire, anche allora: «La perseveranza dimostrata dal Vasiljevic, unitamente all’abuso di alcoli e alla sua incapacità o comunque alla mancanza di volontà di controllarsi pure in presenza dei figli minori, costretti ad assistere alle continue vessazioni ai danni della madre – si legge nell’ordinanza del 2019 – consente di ritenere altamente verosimile il verificarsi di nuovi episodi di violenza, tanto più in ragione dell’allontanamento» della donna «dalla casa familiare e dalle tendenze controllanti e prevaricatorie dimostrate dall’indagato, che potrebbero con ogni probabilità subire un’escalation in termini di gravità e condurre a tragiche conseguenze».
Lidia Miljkovic e Gabriela Serrano. Il giudice ha segnalato nell’ordinanza gli episodi di violenza nei confronti di Lidia
. A febbraio del 2019 Vasiljevic «afferrava per il collo» la moglie, «la spingeva contro il frigorifero della cucina e la minacciava con un coltello» che le infilava in bocca. Un mese dopo, rientrato ubriaco, la aggrediva a letto stringendole il collo «come per strangolarla». Urlando: «ti uccido, ti cavo gli occhi». A marzo le dava un colpo al volto «con violenza tale da farla cadere al suolo». Vasiljevic è finito in carcere. A dicembre 2019 arrivava un ordine di non avvicinamento su richiesta dei Carabinieri di Schio, dove Lidia si era trasferita con i bambini dopo la separazione.
Daniele Mondello, nuovo compagno di Lidia, in un’intervista rilasciata oggi a Repubblica se la prende con i giudici: «Tre settimane fa è stata emessa la sentenza di separazione. Sa cosa stabiliva? La cessazione dell’affido esclusivo dei figli di 13 e 16 a Lidia. Per ogni cosa bisognava mediare con il padre: scuola, tempo libero, medicine». Zlatan non ha mai pagato gli alimenti all’ex moglie ed era decaduto nel frattempo anche il divieto di avvicinamento: «Negli ultimi mesi aveva fatto tre incidenti stradali e gli avevano ritirato la patente solo dopo l’ultimo. Però continuavano a dire che si era sistemato, che era in un percorso di riabilitazione». Infine, la beffa: «Il giudice Marcello Colasanto di Vicenza ha addebitato a Lidia le spese legali che Zlatan non pagava: 15 mila euro. Ovviamente, poi, lei avrebbe dovuto rivalersi su di lui. Come si chiama questo? Non significa spingere progressivamente una persona verso la morte? Eppure non mancavano i precedenti, le denunce, le segnalazioni. Nessuno ha mosso un dito per tenere distante quella persona. Vediamo chi troverà il coraggio di guardare in faccia quei due orfani».

“Vieni con la tua auto”: tutte le trappole del killer di Vicenza (il Giornale – 10 giugno 2022)
Le vittime, Gabriela Serrano e Lidija Milikovic, avevano denunciato entrambe Zlatan Vasiljevic per violenze. Il killer aveva a disposizione un arsenale.
C’è un filo rosso che unisce il tragico destino diGabriela Serrano e Lidija Milikovic, uccise a colpi di pistola dall’ex. Entrambe avevano denunciato Zlatan Vasiljevic per le ripetute botte e violenze, ignare del fatto che il 42enne si sarebbe tramutato in uno spietato killer. A due giorni dal massacro emergono nuovi, inquietanti dettagli sulla dinamica del duplice omicidio: l’assassino possedeva un vero e proprio arsenale di guerra. Due delle granate che aveva a disposizione le ha lanciate sull’autostrada A4; gli altri ordigni e proiettili sarebbero serviti – ipotizzano gli inquirenti – per mettere a segno una strage familiare che, forse, non avrebbe risparmiato neanche i suoi figli, un ragazzo di 16 anni e la secondogenita di 13.
Lidija e Gabriela. Alle 9 di mercoledì mattina Vasiljevic ha freddato con 7 colpi d’arma da fuoco l’ex moglie, Lidija Milikovic, dopo averla raggiunta al quartiere Gogna di Vicenza. Quel che non è chiaro, invece, è la dinamica dell’omicidio di Gabriela Serrano, commessa venezuelana di 36 anni, con la quale il killer aveva intrattenuto una relazione sentimentale durata circa 9 mesi. Poi la donna aveva deciso di troncare definitivamente il rapporto denunciando il 42enne per violenze, proprio come aveva fatto Lidja: due destini drammaticamente incrociati. Anche la 36enne, prima di conoscere Vasiljevic, era stata sposata con un connazionale, tal Alezandro Falet Naja, con cui aveva avuto due figlie. Il matrimonio avrebbe poi imboccato un tunnel senza via d’uscita, tra presunti maltrattamenti e vessazioni. Era stato proprio il 42enne bosniaco a suggerire alla nuova compagna di tutelarsi dall’ex marito proponendole di rivolgersi al suo legale, l’avvocato Alessandra Neri, per avviare l’iter della separazione. “Non riesco a capire perché i due si trovassero insieme su quell’auto – spiega l’avvocato Neri a Repubblica – la loro relazione era finita e non si frequentavano più. Alezandro Falet Naja, interrogato dagli inquirenti, conferma la pericolosità di Vasiljevic: “È un’esecuzione annunciata, io stesso avevo telefonato a Zlatan intimandogli di lasciare in pace Gabriela“.
Il “giallo” dell’omicidio di Gabriela. Se c’è un aspetto da chiarire in questa storia drammatica di sangue e vendetta è proprio quello relativo all’omicidio di Gabriela. Non è chiaro, infatti, se il killer abbia ucciso dapprima la 36enne venezuelana e poi Lidija o viceversa. Per certo, mercoledì mattina, ha convinto l’ex fidanzata a raggiungerlo con la propria auto – una Madza di colore grigio – a Dueville, dove viveva. Forse ha accampato una scusa qualunque oppure l’ha costretta con minacce insistenti. Sicuramente Vasiljevic, al quale qualche mese fa era stata ritirata la patente per guida in stato di ebbrezza, aveva bisogno di un mezzo per la fuga dopo l’omicidio. Potrebbe averla dovuta uccidere subito – dice il questore Paolo Sartori – per agevolare l’agguato contro l’ex moglie. Oppure subito dopo, per neutralizzare la sua reazione, o per eliminarla in quanto testimone“. Gabriela è stata giustiziata con un solo proiettile, i carabinieri l’hanno trovata accasciata dietro il sedile del guidatore, con il suo assassino, suicida, accanto.
L’arsenale di Vasiljevic. Che la strage fosse stata pianificata nei dettagli non c’è dubbio di alcuna sorta. Vasiljevic aveva preparato i bagagli per la fuga e si sarebbe persino premurato di sbrigare le ultime questioni relative al rogito della casa che, in tempi non sospetti, aveva acquistato con Lidija. Forse è stata quella – ipotizzano gli inquirenti – la goccia che ha fatto traboccare: il momento in cui il killer ha realizzato di aver perso tutto. Dopo aver ucciso Lidija, il 42enne ha lanciato due granate sull’autostrada A4 per Vicenza. Difficile, se non impossibile, spiegare le ragioni del folle gesto. Per Certo Vasiljevic aveva a disposizione un arsenale: due pistole calibro 22, numerosi proiettili e tre vecchie bombe a mano anti-uomo M52, di fabbricazione slava. Per gli artificieri sono reperti bellici dell’ex Jugoslavia, l’assissino se li sarebbe procurati nel Paese natale meditando, forse, una strage familiare.

Duplice femminicidio, nei report medici Zlatan risultava «recuperato» (l’Arena – 18 giugno 2022)Nei confronti di Zlatan Vasiljevic, autore di un duplice femminicidio prima di togliersi la vita, era stata emessa una «prognosi favorevole circa la futura astensione dalla commissione di altri reati», per cui aveva goduto di uno sconto di pena e la sospensione condizionale.
Lo aveva scritto la Corte d’Appello di Venezia, nella motivazione della sentenza di secondo grado del processo per maltrattamenti e lesioni aggravate nei confronti del duplice femminicida di Vicenza.Lo rimarca oggi il Procuratore Capo di Vicenza, Lino Giorgio Bruno, ripercorrendo la vicenda processuale di Vasiljevic. La decisione si è basata su una relazione del Servizio dipendenze dell’Ulss 8 di Vicenza, al termine di un periodo di trattamento terapeutico e rieducativo di Vasiljevic presso l’associazione ’Ares’, tra il 2019 e il 2020. «La valutazione finale è positiva – attestano i giudici d’appello – evidenziandosi una condizione di astinenza iniziata almeno un anno prima, senza ausilio di terapia farmacologica».


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