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Stefano Rossi, 22 anni. Uccide la ragazzina di cui si era invaghito con 470 coltellate e poi ammazza con un colpo di pistola un tassista di passaggio. Condannato all’ergastolo in Cassazione e a due anni di isolamento diurno, si è suicidato in carcere.

Felino (Parma), 28 Marzo 2006


Titoli & Articoli

Duplice omicidio, poi confessa (la Repubblica – 30 marzo 2006)
é pieno di fiorellini azzurri, gli «occhi della Madonna», il prato sul quale Stefano, 22 anni, ha ucciso Maria Virginia, 17 anni. L’ ha ammazzata perché lei gli ha detto no. «Ho accettato di uscire un attimo con te perché non voglio essere sgarbata con nessuno. Ma non voglio diventare la tua ragazza». Stefano ha perso la testa. Troppi no, nella sua vita. Si era illuso, l’ altra sera, quando Maria Virginia gli aveva detto al telefono che sarebbe uscita un attimo di casa. La ragazza più bella di Felino, e forse la più ricca, aveva accettato un invito dal ragazzo che tanti schivavano come la peste, perché era violento, sempre pronto a fare a pugni, e che era già segnato a dito quando andava alle elementari e tutti in paese sapevano che suo padre era morto per overdose sotto un ponte di Parma. Una vita presa a pugni per fare vedere a tutti che lui non aveva paura di nessuno. Ma quando Maria Virginia gli ha detto no, perché voleva essere un’ amica gentile e basta, ha perso la testa. L’ ha strangolata e poi straziata di coltellate, quasi cento. Poi un gesto che i carabinieri ancora cercano di capire. Le ha sfilato i calzettoni (nell’ agonia la ragazza aveva perso le scarpe) e glieli ha messo in mano. Ha messo le braccia della ragazza a forma di croce. Come se la mettesse in una bara. I carabinieri erano già sconvolti dall’ uccisione di Maria Virginia, poco più che bambina, quando il ragazzo ha confessato che, in quella stessa notte fra martedì e mercoledì, aveva ucciso un’ altra persona. «E’ un taxista. Lo troverete in un fosso a San Martino Sinzano. Ho litigato con lui». Sono andati a vedere quasi increduli.
C’ era davvero un uomo ammazzato, nel fosso. Andrea Salvarani, 51 anni, era taxista da sei mesi e ancora non aveva la radio in macchina. Aveva raccolto il passeggero, dopo mezzanotte, alla stazione dei treni. L’ incubo di Parma inizia alle 3,30 alla caserma dei carabinieri di Fiorenzuola. Al maresciallo si presenta un ragazzo con jeans e maglietta, sporco di sangue. Per trovare il coraggio di entrare si è fermato a un bar, a fare come sempre il pieno di birra e vodka. «Sono stato aggredito», dice subito. «Ero con un’ amica, al parco Carlo Collodi di Felino, quando una persona mi ha minacciato e mandato via. Sono tornato e la mia amica era morta». I carabinieri sanno già che una ragazza è scomparsa a Felino.
E’ successo alle 20,50. Maria Virginia Fereoli, terza classe al liceo Ulivi di Parma (i suoi hanno un ristorante famoso, il «Pane e salame» e il salumificio «Nonno Fereoli») riceve una chiamata sul cellulare e dice alla nonna: «Esco un attimo». Non prende nemmeno la borsetta. Alle 23 i suoi genitori chiamano i carabinieri. «Non so chi sia la persona che mi ha aggredito». Pochi minuti e una pattuglia trova il corpo della ragazza, accanto a una panchina del parco. Stefano Rossi cede. «Sì, l’ ho uccisa io, ho perso la testa». I carabinieri cercano di capire come il ragazzo sia arrivato a Fiorenzuola. Trovano un taxi a poche decine di metri dalla caserma. C’ è sangue sui sedili e sulle portiere. Accanto ad un cassonetto, una pistola, una 347 Magnum. «Come ha fatto ad arrivare in taxi? Dov’ è l’ autista?».
Stefano Rossi adesso prova a fare il gradasso. «Vi ho detto che ho ammazzato Maria Virginia. Adesso vi dico che ho ammazzato un taxista. Come, dove e perché scopritelo da soli». Secondo i carabinieri Stefano ha ucciso Maria verso le 23,30. Poi, non si sa come è arrivato a Parma, alla stazione, per fuggire lontano. Aveva in tasca una pistola. A Parma ha cambiato idea ed è salito sul taxi di Andrea Salvarani. «Andiamo verso Colorno». Poi, quella «lite» non spiegata ed il colpo di pistola al taxista, sopra un orecchio. Guida lui, adesso. Si ferma a bere e a pensare cosa può raccontare ai carabinieri.
La zia di Maria Virginia consegna ai cronisti «la foto più bella». «Trattatela bene, la nostra bambina. Sapeva che Stefano era pericoloso, ma lei voleva aiutare tutti». Gli amici dicono che negli ultimi giorni Stefano telefonava a Maria continuamente. «Ti devo vedere, devo parlarti». Qualcuno lo sapeva che Stefano aveva una pistola. Se ne vantava anche, con gli amici. Aveva un’ autorizzazione alla detenzione di arma sportiva e adesso tutti si chiedono perché. «Io, da quel ragazzo – dice Mirco Bernardi, vigile urbano a Felino – sono stato aggredito quando aveva 16 anni. Per sequestrargli il motorino ho dovuto chiamare i colleghi». Ci sono cento storie, sul ragazzo che ha sempre preso a pugni la vita. Una denuncia a 17 anni, perché aveva bruciato con una sigaretta un ragazzino di 14 anni. I vandalismi all’ oratorio. Il parroco don Enzo Salati aveva detto a lui e alla sua banda di andare via, e allora Stefano e gli altri scrissero «Devi morire» sull’ uscio della parrocchia. Una notte lanciò pietre sulle auto che passavano. «E ad uno così lasciano una pistola in tasca». Sul prato con i fiori azzurri ci sono gli amici di Maria Virginia. Uno di loro ha una foto della ragazza nel cellulare. «Era la più bella di tutte», dice. E mostra l’ immagine come una reliquia.

 

L’omicidio di Virgy “Abietto e ripugnante” (la Repubblica)
Le motivazioni della sentenza con cui Stefano Rossi è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Maria Virginia Fereoli e di Andrea Salvarani
“Motivazioni abiette e ripugnanti” dietro l’omicidio di Maria Virginia Fereoli, una ragazza che “guardava al futuro con occhi sereni e colmi di progetti da realizzare ed era l’astro intorno al quale gravitava tutto il suo piccolo universo familiare” e di Andrea Salvarani, un uomo “che si prendeva amorevolmente cura” della sua anziana madre. In 168 pagine il giudice Gennaro Mastroberardino ha depositato le motivazioni della sentenza con cui Stefano Rossi è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise presieduta da Eleonora Fiengo il 23 aprile scorso. Prima un ritratto delle vittime e poi, pagina dopo pagina, gli elementi che ricostruiscono gli omicidi e la premeditazione.
Rossi non lo si può certo considerare come un ragazzo incapace di intendere e di volere, era, senza dubbio, affetto da gravi disturbi della personalità, “ma non tali da intaccare in maniera significativa le facoltà intellettive e volitive al momento della consumazione dei gravissimi reati”.
La morte del padre per overdose, non è stata considerato un elemento che può giustificare l’ “infanzia difficile” del ragazzo, dal momento che “la perdita prematura di un genitore è un evento tutt’altro che eccezionale, legato com’è alla precarietà della condizione umana, e quindi fa parte dell’esperienza di vita di una moltitudine di persone che non ne ricavano alcuna spinta al delitto, ma si comportano come onesti cittadini per tutta l’e sistenza, senza rovesciare contro il prossimo tutto il loro dolore”. Per di più Rossi ha “potuto godere sul calore e sull’affettuosa attenzione di una sorta di famiglia allargata”, la madre, il suo compagno, i nonni, grazie ai quali si è potuto “concedere il lusso di rinunciare volontariamente a un posto di lavoro stabile proprio perché poteva contare sull’indulgente sostengo, anche economico, della famiglia allargata”.
La sera del 28 marzo 2006 Rossi è, probabilmente, uscito di casa “ con quell’armamentario da reparto d’assalto” con il solo intento di uccidere Maria Virginia Fereoli. “Armato fino ai denti… con un revolver, una robusta provvista di munizioni, un pezzo di filo elettrico trasformato in un laccio strangolatore, un nunchaku e un grosso coltellato da cucina sicuramente funzionale all’opera di vera e propria macelleria purtroppo compiuta dall’imputato sul corpo della sventurata Maria Virginia”.
Il movente sembra essere stato passionale, lui amava lei, ma lei lo respingeva e per questo motivo è stata barbaramente uccisa. Uccisa da un “ribollente e implacabile rancore, germogliato dalla frustrazione e dalla profonda ferita narcisistica” causati da un rifiuto. Nessuna pietà per le due vittime, ma azioni “ mostruosamente abiette e ripugnanti”, commessi con modalità “ straordinariamente efferate”, con una ferocia a dir poco ferina.

Condannato l’amico di Rossi due anni e mezzo per favoreggiamento
Marco Ghirardi è stato condannato questa mattina a 2 anni e 6 mesi per favoreggiamento. Una sua chiamata ai carabinieri avrebbe forse evitato la morte di Andrea Salvarani. Ghirardi ha appreso dell’o micidio di Maria Virginia Fereoli direttamente da Stefano Rossi, l’omicida, pochi minuti dopo il fatto mentre i due erano in auto diretti da Felino a Parma. Durante quel tragitto Ghirardi avrebbe consigliato a Rossi di gettare via il cellulare di Maria Virginia Fereoli forse per non essere rintracciato dalla polizia.
“La realtà è cruda – afferma il pm Giorgio Grandinetti in aula – come crudissimo è stato questo episodio e nello stesso modo si è comportato Ghirardi”. L’imputato però ha sempre sostenuto di non aver creduto a quello che Rossi gli ha detto e per questo motivo non ne ha fatto parola né con la ex fidanzata, che incontrerà poco dopo aver visto l’omicida, e tanto meno con il padre che saluta solamente quando rientra a casa. Pur dopo il racconto di un omicidio da parte dell’amico, Ghirardi se ne va a letto come se nulla fosse.
Stefano Rossi, a quanto raccontato in aula, è uno che beve, ha spesso la bottiglia di vodka in mano e arriva a berne anche due, da solo senza mostrare grossi problemi. Sono buoni amici e hanno vissuto insieme molti momenti, Ghirardi ha già visto Rossi in preda ai fumi dell’alcool. La sera del 28 marzo 2006 il giovane chiama l’a mico, imputato di favoreggiamento, mentre è a casa con il padre a vedere la partita e gli propone di uscire. Prima, verso le 19.15, Ghirardi e Rossi si incontrano in piazza a Felino vicino al bar Mercury, parlano brevemente per qualche minuto e Ghirardi gli propone un’uscita in serata ma la risposta è secca: “Ho da fare stasera, se mi libero ti chiamo io”.
I tabulati telefonici parlano chiaro e raccontano di alcune telefonate fra i due: nella prima, durata 57 secondi, alle 21.33 del 28 marzo Rossi chiama l’amico e si accorda per vedersi, per uscire insieme. Ghirardi si attarda a vedere la moviola e le sintesi della partita e dopo qualche minuto, alle 21.47 dello stesso giorno, riceve un’altra chiamata della durata di soli 6 secondi. Poco dopo Ghirardi contatta l’amico per rassicurarlo del suo arrivo al parco Natura e Vita dove Maria Virginia Fereoli ha perso la vita.
Il 22enne vede arrivare Rossi nello specchietto retrovisore, non barcolla ma ha una bottiglia di vodka in mano. Quando sale si nota che è ubriaco, la bottiglia che ha con sé è vuota, e dal fianco destro spunta il calcio della pistola. Ghirardi imbocca la strada per Parma, vi abita la zia dove Rossi dice di voler andare, dopo qualche minuto Rossi gli dice: “Ho ucciso Maria Virginia a coltellate”.
Ghirardi rimane di ghiaccio, riferisce in aula, prova a parlare con Rossi che però non reagisce, guarda avanti, fissa il vuoto e non parla. “Ma sei impazzito?” direbbe Ghirardi secondo i verbali d’i nterrogatorio davanti al pm mentre Rossi gli risponde: “Lo volevo fare”. “Ero intimorito da quella pistola – riferisce Ghirardi in aula – non gli chiesi nulla” credendo che il giorno successivo Rossi volesse andare a sparare al poligono. I verbali degli interrogatori di fronte al pm Grandinetti però riportano un’altra frase che Ghirardi si sente rivolgere dall’omicida: “Hai paura che ammazzi anche te? “.
Un momento difficile da gestire, con la tensione che in quel momento era palpabile, Ghirardi non vede l’ora di far scendere dall’auto l’amico a cui però, come riferisce più volte in aula, non crede. Ha le mani pulite, dice di aver ucciso una ragazza a coltellate e non ha nessuna traccia evidente di sangue sui vestiti. Stefano Rossi scende dall’auto in viale Fratti alla prima laterale a destra dopo Blockbuster dicendo che voleva andare dalla zia che abita in via della Repubblica e, come altre volte in precedenza, gli bastava scendere nei paraggi e che da lì sarebbe andato a piedi.
Ghirardi non sa di legami fra Maria Virginia e Stefano Rossi, si sono conosciuti a inizio 2006 ma erano amici, conoscenti di paese e non altro. Solo in un occasione Rossi e un amico chiesero a Ghirardi di accompagnare Virgy e un’amica a Parma in discoteca e che sarebbero poi tornate con i genitori. La pubblica accusa è però critica durante le fasi conclusive della requisitoria: “Se anche Ghirardi non crede alla storia, Rossi è armato. Che fa? Lo lascia in giro per strada in quelle condizioni?” e chiude l’intervento chiedendo al giudice Marco Vittoria una pena di 3 anni e 6 mesi con l’ulteriore richiesta che non vengano concesse le attenuanti generiche.

 


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