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Soufyane El Khedar, 36 anni, manovale. Insieme ad un altro uomo, uccide un’amica comune massacrandola di botte

Baja Sardinia, Arzachena (Sassari), 23 Luglio 2018


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La Corte d’assise d’appello ha confermato la condanna in primo grado La 34enne vittima di un brutale pestaggio da parte di due connazionali
La Corte d’assise d’appello di Sassari ha confermato la sentenza di primo grado che condannava a 21 anni di carcere per omicidio volontario in concorso Jalal Hassissou, 41 anni, e Soufyane El Khedar, 37 anni, i due marocchini accusati dell’uccisione della connazionale Zeneb Badir, di 34, morta dopo essere stata massacrata di botte in uno stazzo a Baja Sardinia.
Ieri a mezzogiorno in punto la lettura del dispositivo, a cui i due imputati hanno assistito in collegamento in videoconferenza dal carcere di Bancali e da quello di Oristano, dove sono detenuti. La Corte presieduta da Salvatore Marinaro ha accolto le richieste della procuratrice generale Maria Gabriella Pintus che aveva chiesto la conferma della condanna di primo grado per entrambi, ritenendoli responsabili allo stesso modo dell’atroce fine della donna, madre di tre figlie, morta all’ospedale di Olbia dopo ore di agonia per il violento pestaggio subito. Sentenza confermata integralmente: 21 anni di reclusione ciascuno e un risarcimento di 250mila euro per ogni figlia della vittima (di 9, 12 e 16 anni), tutte e tre costituite parte civile con l’avvocato Damaso Ragnedda. Particolarmente combattuto dalle parti il processo di secondo grado. Il difensore di Soufyane El Khedar, l’avvocato Agostinangelo Marras, aveva chiesto per il suo assistito l’assoluzione “per non aver commesso il fatto”, rimarcando che non avesse partecipato al pestaggio della donna e che fosse, anzi, intervenuto per fermare il suo amico. Per l’avvocato Cristina Cherchi, difensore dell’altro imputato, non c’era stata alcuna volontà di uccidere Zeneb Badir da parte di Jalal Hassissou. Non era stato, insomma, omicidio volontario ma preteritenzionale. Ma le argomentazioni difensive non hanno trovato d’accordo la Corte d’assise d’appello che ha confermato la condanna.

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