Simone Cantaridi, 25 anni. Uccide a coltellate la moglie, la figlioletta di 4 anni e la sorella. Poi fa esplodere l’appartamento. Condannato in primo grado a 20 anni, con il riconoscimento di vizio parziale di mente, ridotti in appello a 16 anni di detenzione e 5 di OPG, dopo 10 è fuori, laureato e con un lavoro in un supermercato. Ma nella 21ma ricorrenza della strage si schianta con la macchina contro un albero e muore (strage di Piombino)
Piombino (Livorno), 14 Aprile 1999
Titoli & Articoli
Corriere della Sera – 18 aprile 1999
Cantaridi fuori dal carcere dopo 10 anni (il Tirreno – 10 dicembre 2009)
Doveva uscire nel 2015. Ha goduto dei benefici legati a indulto e buona condotta. Simone Cantaridi, condannato a sedici anni di carcere per aver sterminato il 14 aprile 1999 la sua famiglia, è uscito dalla casa penitenziaria, lavora in un supermercato a Prato e studia teologia. Attualmente è in libertà vigilata
Ogni peccatore ha un futuro. Quello di Simone Cantaridi, condannato a sedici anni di carcere per aver sterminato il 14 aprile 1999 la sua famiglia, è tra le corsie di un supermercato. Non a Piombino, ma a Prato. Lontano dalla sua città, da via Landi. Lontano da quella strada rimasta macchiata di sangue. Del sangue della piccola Vanessa, sua figlia, del sangue di Sabrina, sua moglie. Del sangue di Claudia. Sua sorella.
Cantaridi, che oggi ha 35 anni, ha scontato 10 anni di carcere. E alla fine della pena avrebbe dovuto essere rinchiuso per cinque anni in un ospedale psichiatrico giudiziario come pena accessoria. Il magistrato di sorveglianza ha deciso che quella pena poteva essere evitata all’uomo che ha ucciso a coltellate la figlioletta di 4 anni, la moglie e la sorella, per far poi saltare in aria il palazzo dove viveva. Sotto le macerie di quella casa c’era rimasto anche lui. Sotto le macerie di una vita difficile che piano piano, giorno dopo giorno in dieci anni di carcere, ha cercato di ricostruire. Sebbene i pezzi di quella vita, come quelli della palazzina di via Landi, non possano tornare al loro posto.
UN’ALTRA VITA A ottobre Cantaridi è uscito dal carcere di Prato. Nella città laniera Cantaridi ha scontato la sua pena, rinchiuso nell’ottava sezione, quella dove vivono i detenuti che studiano all’Università. Ha scelto teologia. Ha fatto un percorso di studio, ma anche un percorso di vita. A luglio, quando ormai mancavano pochi mesi alla fine della pena che doveva scontare, Cantaridi è stato assegnato allo spaccio del carcere. Un lavoro, una prospettiva diversa. Fino a ottobre, quando l’avvocato Elena Augustin che da quattro anni segue la vicenda giudiziaria dell’uomo di via Landi, ha ottenuto la libertà vigilata. Cantaridi ora lavora in un supermercato pratese. Continua a studiare. Vive nella casa del cappellano del carcere.
ESPIAZIONE Chi lo ha seguito durante tutto questo percorso parla di Cantaridi come di un uomo che, sebbene non abbia mai rivelato il movente di quella nottata di follia, ha cercato con tutte le forze di riprendere in mano il filo di quel destino spezzato. Spezzato da quelle morti, spezzato dal crollo della palazzina, fatta esplodere per nascondere quegli omicidi. Ha scelto teologia. Ha scelto di studiare quella scienza che lo poteva avvicinare a Dio. Fino alla scarcerazione, fino alla libertà vigilata. Quella libertà conquistata, dopo dieci anni di detenzione, grazie allo sconto di tre anni sulla pena per l’indulto. E grazie anche alla buona condotta che ha regalato a Cantaridi un mese e mezzo di libertà ogni sei mesi trascorsi in carcere. Dieci anni, in tutto. Ora è un uomo semilibero con un futuro. Un futuro che però, continuerà a tenerlo lontano da Piombino. Dove per ora non può tornare.
“Non lo perdoneremo mai” (il Tirreno – 11 dicembre 2009)
La decisione del tribunale di sorveglianza di concedere la libertà vigilata a Simone Cantaridi è arrivata ieri come un fulmine a ciel sereno a Campiglia. Dove da dieci anni Miranda Cordini e Silvano Martinelli, gli ex suoceri di Cantaridi, vivono. O meglio, dove si trascinano in giornate scandite ormai da un appuntamento fisso. Quello al cimitero di Piombino, dove sono sepolte Sabrina e la piccola Vanessa.
«Ma ce l’hanno questi giudici una coscienza? Hanno dei figli o dei nipoti da guardare in faccia quando tornano a casa?».
Miranda Cordini, stretta nel suo cappotto nero, si ripete questa domanda decine di volte. Una domanda che si incrocia, subito dopo, con un altro mantra. «Perdonarlo? Non se ne parla». Va avanti così. Il cuore rivolto a quella figlia che non c’è più. A quella nipote che fino a pochi giorni prima della strage di via Landi era a casa sua. Ma anche a Claudia, la sorella di Simone. Sepolta dai calcinacci nel crollo della palazzina. Uccisa anche lei. Accoltellata.
«Claudia era una ragazza molto buona – racconta Miranda – era come una sorella per Sabrina. E so che la sera della strage ha cercato di difendere mia figlia e la mia nipotina. Era un angioletto, non si era nemmeno affacciata alla vita e quel mostro l’ha ammazzata».
Sopravvivere a una figlia è un dolore troppo grande. È una di quelle condizioni dell’anima che quasi mai riescono ad accettare compromessi. «Quando abbiamo saputo che era libero e aveva anche un lavoro – dice la donna – ci siamo sentiti crollare il mondo addosso. Lo avevano condannato a 16 anni, doveva farne altri cinque all’ospedale psichiatrico. Doveva scontarli tutti quegli anni, già che erano stati comunque clementi».
Miranda Cordini è mamma di una ragazza che oggi ha 26 anni. «Sta cercando lavoro – dice – e non riesce a trovarlo. E invece, un assassino è libero ed ha anche un bel lavoro. È come se avesse ucciso mia figlia e mia nipote una seconda volta». A Campiglia, ma anche in città, ieri non si parlava d’altro. E Miranda come ogni giorno ha percorso la strada fino al camposanto di Piombino. Per pregare sulla tomba di sua figlia, di sua nipote e anche di Claudia. Come ogni giorno da dieci anni a questa parte. «È bene che non me lo ritrovi davanti – dice – perché non saprei davvero cosa potrei fare. Dire non direi niente. Ma qualcosa farei, e non sarebbero cose belle». In via Landi, Miranda Cordini ci ha vissuto da giovanissima, appena arrivata dalla Sardegna. E ora, ogni giorno, quando sale sull’autobus che la riporta a Campiglia dopo essere stata al cimitero, è costretta a ripassare davanti alla casa che non esiste più. A quella casa nella quale ha perso tutto quello che aveva. Con Simone, che aveva accolto come un figlio, non parla se non con odio e dolore. «Non avrei mai potuto immaginare che potesse fare una cosa del genere – dice – Qualche anno fa ci ha scritto una lettera per chiedere il nostro perdono. Quel perdono non l’avrà mai. Stamani quando ho visto la foto sul giornale, di lui che teneva in collo la mia nipotina ho preso una penna e l’ho scarabocchiato. Quel volto, non voglio vederlo mai più».
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In memoria di
Prato, si schianta in auto e muore alla vigilia dell’anniversario in cui 21 anni fa sterminò la famiglia (la Repubblica – 14 aprile 2020)
Il nome di Simone Cantaridi è legato a una tragedia avvenuta a Piombino il 14 aprile 1999, quando uccise la moglie, la figlioletta di appena 4 anni e la sorella. Nel pomeriggio di Pasquetta la sua Panda contro un albero
Si è schiantato con la sua auto contro un albero, alla vigilia dell’anniversario dei suoi omicidi, della strage di famiglia di cui era stato protagonista ventuno anni fa. Una tragica fatalità nel pomeriggio di Pasquetta, in via Firenze a Prato, di fronte allo stadio Lungobisenzio. Simone Cantaridi, 46 anni, ha perso la vita così, contro un albero. Non era ubriaco, non aveva fatto uso di sostanze stupefacenti. Forse si è schiantato a causa dell’alta velocità. Il suo nome è legato a una tragedia avvenuta a Piombino il 14 aprile 1999, oggi sono ventuno anni esatti.
Cantaridi aveva 25 anni quando uccise a coltellate la moglie, la figlioletta di appena 4 anni e la sorella. Poi fece esplodere la casa. Confessò il triplice omicidio su un letto in ospedale, sopravvissuto all’esplosione. L’uomo aveva sterminato la sua famiglia a coltellate e poi aperto il gas e fatto esplodere il suo appartamento di via Landi a Piombino, restando gravemente ferito. Inizialmente la tragedia sembrava di natura accidentale, ma poi un vigile del fuoco ritrovò tra le macerie della casa un coltello insanguinato e, successivamente, l’autopsia confermò che la moglie Sabrina Martinelli, all’epoca 24enne, la figlia Vanessa di 4 anni e la sorella Claudia di 27 erano state accoltellate a morte prima dell’esplosione.
Cantaridi confessò il triplice delitto senza però mai dare una spiegazione del tragico gesto. Condannato in primo grado a 20 anni con il riconoscimento di un parziale vizio di mente, si era visto ridurre la pena in Appello a 16 anni e mezzo. Nel 2009, dopo dieci anni trascorsi nel carcere della Dogaia, era stato scarcerato grazie a sconti di pena per buona condotta e all’indulto. Nel frattempo aveva preso una laurea in Teologia.
Da quel momento era rimasto a vivere a Prato fino a ieri, vigilia della tragedia che aveva segnato la sua vita. Un incidente sulla cui dinamica stanno lavorando gli agenti della polizia municipale e che, al momento, non ha una spiegazione se non l’alta velocità tenuta dalla Panda.