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Ruggero Jucker detto Poppy, 36 anni, rampollo della Milano bene, Re della zuppa. Fa a pezzi la fidanzata con un coltello da sushi e lancia i pezzi in giardino. Condannato a 30 anni in primo grado, pena patteggiata in appello scesa a 16, poi ulteriormente ridotta a 13. In carcere lavora nell’amministrazione, partecipa a laboratori di vetro e ceramica, passeggia per il terzo raggio con magliette firmate e usufruisce di 720 giorni di libertà come permessi premio. Scarcerato il 13 febbraio 2013 invece che nel 2032

Milano, 20 Luglio 2002

Ruggero Jucker detto Poppy, 36 anni, rampollo della Milano bene, Re della zuppa. Inizialmente era un delitto passionale compiuto per timore che la fidanzata fosse incinta, poi si è diffusa l’idea che il giovane imprenditore fosse pazzo. Condannato a 30 anni in primo grado, pena patteggiata in appello e scesa a 16 poi ulteriormente ridotta a 13. Usufruendo di permessi premio, Jucker ha già usufruito di 720 giorni di libertà e sarà libero nel giugno 2013. Nel frattempo lavora nell’amministrazione del carcere.


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SuperEva/Carceri – Detto tra noi
La Milano bene si stringe intorno a Ruggero Jucker, l’imprenditore che due anni fa uccise barbaramente la fidanzata. Non c’è compassione per il dolore della madre di Alenya. Un fiume di parole per descrivere il bravo ragazzo vittima di un raptus.
Ma chi era Alenya Bortolotto, quest’ angelo volato in cielo troppo presto?
Il fatto: E’ stata colpita con più di 40 coltellate, vibrate in ogni parte del corpo, sulle braccia, sulla schiena sulle gambe e infine sul ventre. Alenja Bortolotto ha cercato in ogni modo di difendersi dalla furia omicida del fidanzato, Ruggero Jucker. Ha cercato di fuggire, di ripararsi con le mani. Ha visto la morte in faccia per alcuni minuti. Dai primi risultati dell’autopsia, eseguita all’istituto di medicina legale di Milano, è emerso che la ragazza è stata inseguita e colpita per più di 40 volte volte, col coltello da cucina impugnato dall’imprenditore. Una quarantina, probabilmente, i tentativi, a giudicare dai graffi sul corpo e sulle mani, con le quali tentava di difendersi. Fendenti vibrati nel lungo e strenuo tentativo della ragazza di sfuggire alla follia omicida del suo fidanzato, che l’ha rincorsa per l’appartamento, ferendola a braccia, gambe e al corpo prima di infierire sul suo ventre. Una lacerazione tanto devastante quest’ultima che, inizialmente, era parsa conseguenza di un solo colpo.
E’ stato accertato, inoltre, che il cosiddetto ‘evisceramento’ (la fuoriuscita delle viscere dalla ferita) è avvenuto quando la ragazza era ancora viva e questo esclude che Jucker abbia infierito sul corpo della fidanzata ormai privo di vita. Non avrebbe trovato soluzione, invece, il quesito posto dalla procura se Alenja fosse incinta o meno (un quesito abituale in casi di delitti che vedono coinvolte persone in relazione intima fra loro).
E dai verbali d’interrogatorio emerge che Ruggero Jucker, nell’ultimo periodo, si sentiva soffocato dalla presenza della sua fidanzata: “Era possessiva. In quel momento mi dovevo liberare di lei. Mi minacciava. Mi voleva tutto per sé”. comincia così il racconto agli psicologi e davanti agli investigatori. “Era possessiva. E proprio quella sera mi raccontò che sua madre aveva sognato che lei era incinta. Lei mi amava profondamente. Io invece l’amavo solamente per quanto ritenevo fosse giusto fare”, ha raccontato Jucker nell’interrogatorio i cui contenuti sono stati rivelati dal quotidiano ‘La Repubblica’.
Nel ricostruire la notte dell’omicidio di Alenja, il gip Piero Gamacchio scrive: “Risultano poco tranquillizzanti le spiegazioni fornite da Jucker in merito alle ragioni dell’omicidio, avendo egli fatto riferimento a problemi lavorativi e in particolare a una prospettiva professionale nel catering che molto lo innervosiva. Alenja – rivela il gip – aveva accettato di passare la notte con Ruggero pur avendo saputo, non da lui, che, pochi giorni prima, il suo compagno aveva confidato alla madre di ritenere di essere omosessuale e sieropositivo. Confidenze confermate successivamente anche dalla mamma”.
In questo quadro matura la tragedia. Alenja venerdì sera è seduta sul divano, Jucker quel giorno aveva assunto del litio prescrittogli da un medico omeopatico. “Nel corso della notte Ruggero viene assalito da una crescente ed incontrollabile agitazione. Si alza più volte dal letto, gira per casa. nonostante gli inviti alla calma di Alenja”.  Lui comincia ad urlare e lei prova a chiamare aiuto al telefono. Allora scatta la follia omicida. Jucker prende un coltello in cucina e raggiunge Alenja in bagno. “Il fermato – conclude il gip – pur ricordando perfettamente quanto praticato su quel corpo non ha avuto il coraggio di riferirlo”
Ruggero Jucker, ricco imprenditore e proprietario di una grossa attività di catering, noto dai ristoratori come il Re della Zuppa è stato condannato a trent’anni per l’omicidio della fidanzata ed è attualmente recluso nel carcere milanese San Vittore.
L’opinione della guida: Niente favoritismi per Ruggero Jucker: è un detenuto come un altro.
Nel carcere di San Vittore sono detenuti uomini e donne provenienti da famiglie semplici ed extracomunitari che si sono macchiati di reati irrilevanti se messi a confronto all’omicidio di una ragazza di 26 anni.(ricordiamo che il reato è aggravato dall’ agonia della vittima, e dalle modalità con cui è stata uccisa, più di quaranta coltellate) Detenuti che non possono permettesi un assistenza legale a pagamento, perchè troppo costosa e che si affidano all’assistenza che offre il gratuito patrocinio dello Stato. Uomini che trascorrono giornate in cella, poichè non hanno l’opportunità di lavorare all’interno del carcere.
A Jucker, nonostante abbia una famiglia in grado di poter soddisfare le sue necessità all’interno dell’istituto (quali sigarette, libri, abiti, eccetera), il carcere San Vittore ha offerto, subito dopo l’arresto un’opportunità lavorativa: un’impiego all’interno del carcere, che si addice ad un ragazzo di buona famiglia,si occupa infatti della contabilità. Mansioni d’ufficio per il rampollo della Milano bene: non potevamo metterlo mica a pulire i bagni, a far lo scopino, o lo spesino. Non paga la direzione ha deciso nei mesi consegutivi all’arresto che a Jucker facesse bene socializzare nonostante tutti i reclusi hanno l’opportunità di incontrare i compagni di pena ed i volontari in determinate fasce orarie. Così il detenuto “modello ha iniziato a frequentare alcuni laboratori, nelle ore pomeridiane, interessandosi (si fa per dire, perchè l’ho visto poco dedicarsi alle lavorazioni artigianali. E’ un modo come un’altro per uscire dall’isolamento della sua cella e trascorrere il pomeriggio in compagnia) alla lavorazione di vetro e cera.
Di Jucker e di sua madre si è parlato troppo.. I giornali hanno descritto minuziosamente la vita del colpevole: il suo amore per la cucina, per il suo lavoro, per l’arte, il legame simbiotico( e senz’altro morboso) con la madre: Lalla Jucker.

Ma chi era Alenya Bortolotto? Di lei si sa poco è niente, apparte il fatto che lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento firmato, che all’epoca del delitto aveva solo 26 anni e che apparteneva anche lei ad una famiglia agiata di Milano. Si è sminuito la tragedia e la barbaria dell’omicidio, le sevizie che la ragazza ha dovuto subire con il troppe volte ripetuto “è stato solo un raptus, Poppy (così lo chiama la madre) è sempre stato un bravo ragazzo” Ed il ricordo di Alenya sfuma, il dolore della madre è troppo dignitoso e passa inosservato. Siamo stati costretti a leggere su un quotidiano nazionale (Libero) che “lo sventramento di Alenya è stato interpretato anche come una sorta di performance artistica che doveva uguagliare il corpo della ragazza ad uno dei quadri di arte contemporanea che Jucker amava collezionare”

“Alenya era possessiva, mi amava troppo … dovevo elimarla” questo è quanto Ruggero ha dichiarato durante l’interrogatorio e che ha continuato a ripetere anche dopo il suo arresto. E non venitemi a parlare di raptus…(sapete che significa “raptus” o vi appropiate semplicemente del termine?) Ho trascorso un’estate presso il carcere San Vittore, dove Ruggero Jucker, è recluso ed ho avuto occasione di stare molto tempo con lui e di conoscerlo a fondo. Con sincerità, ammetto che vedo la pena come una strada da compiere per raggiungere il traguardo della riabilitazione dell’individuo e che mi batto ogni giorno per i diritti umani dei reclusi, per migliorare le loro condizioni di vita all’interno degli istituti attraverso campagne di sensibilizzazione, incontri e dibattiti.
Sono assolutamente contraria alla pena di morte ed alla tortura in qualsiasi forma. Con altrettanta sincerità ammetto che il trattamento di Jucker e la vicenda in sè mi ha dato la nausea. Il “buon Pagano” come molti lo definiscono, direttore per quindici anni del Carcere San Vittore, e da pochi mesi provveditore regionale è stato senza ombra di dubbio colui che ha dato al carcere un volto umano, alla detenzione un senso, all’individuo recluso una dignità. Per oltre quindici anni ha incentivato la creazione di attività lavorative, la promozione di eventi sociali e culturali..ma .ultimamente, il buon Pagano è stato trascinato dal vortice del “trash” collettivo…anche se probabilmente il termine trash è inadatto per definire una tragedia (ma è consono per definire i mezzi con cui in molti si sono accostati al dramma di una famiglia che ha perso un figlio) Attenti a non cadere nell’eccesso, a non schierarci troppo dalla parte del colpevole, ignorando la vittima e i familiari.
Ho conosciuto un Poppy coccolato e vezzeggiato dalle operatrici volontarie che abitualmente frequentano il carcere milanese. Signore della Milano bene, che spesso sono totalmente imprepatrate e poco formate ad affrontare un volontariato difficile come può essere quello svolto nelle carceri. Trascorrono giornate in compagnia dei detenuti per sentirsi utili e per lavarsi la coscenza, senza preoccuparsi minimamente del contributo che realmente possono apportare, con i mezzi che hanno, al reiserimento di queste persone nella società. Ho visto un Jucker, uomo di 38 anni, trattato come un bambino, protetto in tutti i modi dal carcere, quale mondo ostile nei riguardi di un ricco imprenditore che è abituato a frequentare altri ambienti, diversi dalla galera.

Ma signori miei, se Poppy fosse un extracomunitario, un disoccupato, un’anonimo cittadino milanese e non il Re delle Zuppe? Il caso sarebbe senz’altro chiuso. L’omicida non avrebbe i libri, i cioccolatini della suora che lo và a visitare ogni giorno, i dolcetti di fine pasticceria che gli porta la madre (e che tante volte mi ha fatto assaggiare) il computer portatile in cella, e le magliette firmate da sfoggiare mentre passeggia nel corridoio del terzo raggio; definito dall’ex direttore Luigi Pagano il reparto d’eccellenza (da www.ildue.it alla domanda della giornalista del Manifesto, l’attuale provveditore risponde infatti così:.”Dott.Pagano può citare qualche cambiamento significativo a San Vittore?”Il ridimensionamento del terzo raggio che ora, dopo sette anni, può considerarsi un reparto d’eccellenza, detto con pudore, perché un carcere è sempre un carcere.” E dove poteva essere sistemato Ruggero Jucker,mi permetto di commentare io, se non in un “reparto d’eccellenza?”) Lasciandomi i cancelli e le porte del carcere San Vittore alle spalle non c’è sera in cui, almeno per un minuto non abbia pensato ad Alenya, che non ho mai conosciuto … ed alla madre. Quanto grande può essere l’amore per un figlio?( io che figli non ne ho, me lo chiedo spesso) E quanto straziante deve essere la scomparsa di un figlio? E Milano non fa altro che infierire, torturando la famiglia della vittima a forza di puntare i riflettori sull’omicidia.
(Noemi Novelli)

Il rampollo milanese che uccise e squartò la fidanzata: la storia di Ruggero Jucker
La notte del 19 luglio 2002, Ruggero Juncker, rampollo della famiglia di imprenditori svizzero-tedesca uccide e squarta la sua fidanzata, Alenya Bortolotto. Pezzi del fegato della ragazza vengono trovati nel giardino davanti alla casa di Milano dove si è consumato il massacro. Nel 2013 è tornato libero, dopo aver scontato dieci anni di detenzione.
La storia di Ruggero Jucker è l’esempio di come, a volte, la coscienza possa varcare incomprensibilmente i limiti dell’umano e trascendere nell’inumano. Trentasei anni, Ruggero, detto ‘Poppy’ era conosciuto a Milano come rampollo della famiglia di imprenditori svizzero-tedesca e come ‘il figlio di Lalla’, la signora del catering di lusso milanese. Imprenditrice grintosa e dura aveva messo su una fiorente attività dalla sua cucina e aveva voluto accanto a sé Ruggero. Lo aveva aiutato a trovare una strada dopo che aveva abbandonato gli studi e il lavoro nell’azienda di impianti idraulici del papà. Lo aveva mandato a studiare cucina a New York, dove Ruggero aveva imparato ad apprezzare l’arte contemporanea

Chi è Ruggero Jucker
Tornato a Milano, il primogenito dei Jucker aveva aperto un suo locale in via Pasquale Sottocorno lo aveva chiamato ‘Zup’ e vi serviva le migliori zuppe della capitale meneghina, preparate, ovviamente dalla signora Lalla: l’imprenditrice di famiglia era chiaramene lei. All’ombra di questa figura carismatica, ‘Poppy’ coltiva relazioni effimere, sembra non trovare la compagna adatta, finché, nel 2000, non incontra Alenya Bortolotto. Ventisei anni, studentessa di Scienze Politiche e commessa part time al WP Store, dove la famiglia Jucker faceva acquisti. Anche lei giovane donna della Milano bene, figlia del manager Roberto Bortolotto, che vanta tra amicizie importanti in Forza Italia, come quella con Marcello Dell’Utri, e di Patrizia Rota, assicuratrice di successo.
Il loft in via Sottocorno
I due si vedono per un anno e mezzo, periodo in cui Alenya vorrebbe passare più tempo con il suo Ruggero, di quello che il ristoratore le concede. Sono spesso a casa di lui, nel loft con le pareti gialle di via Corridoni, dove lei resta a dormire di tanto in tanto. Quella, finché il nuovo appartamento in corso di ristrutturazione non sarà pronto, sarà la tana di Ruggero: 45 metri quadri pieni di libri di fotografi nipponici che immortalano le torture sulle donne, di affilati e preziosi coltelli da sushi. Alle pareti c’è anche una foto di lui con divisa da chef e guanti in lattice. A luglio del 2002, Alenya comincia a dare piccoli segni di malcontento per la poca attenzione che il fidanzato le dedica e per la mancanza di progetti futuri. Lui dal canto suo si trincera dietro il lavoro.
Il massacro
La sera del 19 luglio Ruggero va a prenderla per andare insieme nel loft in via Sottocorno. Insieme fumano uno spinello, poi Alenya si fa una doccia e vanno a letto. Da giorni la mente di Ruggero è inquieta: è preoccupato per le sorti della zupperia, sotto pressione per le richieste di maggiore attenzione di Alenya. Guarda e riguarda in tv il film Hannibal, uscito un anno prima e ha cominciato a leggere tutti i romanzi di Thomas Harris, autore della saga sul cannibale. I demoni si agitano dentro di lui, fin quando non ne può più: alle tre comincia a urlare disperato e idrofobo, Alenya si spaventa, va verso il telefono ma lui la blocca. La ragazza, allora, fugge in bagno, ma è in trappola: Ruggero l’ha inseguita con un affilato coltello da sushi, estratto poco prima dalla confezione in cui era custodito, ancora nuovo. Sferra la prima coltellata, poi, ancora una e un’altra ancora, fino a contarne quaranta.
L’arresto Con Alenya ancora viva, riversa davanti alla lavatrice, infierisce così forte da far schizzare pezzi di organi ovunque. La eviscera come un pezzo di carne, il suo fegato vola nel giardinetto privato adiacente al bagno. Poi la furia, scattata senza un motivo si esaurisce e Ruggero torna a essere l’uomo fragile che è sempre stato. Mette gli abiti intrisi di sangue in lavatrice. In preda al panico, ci butta dentro anche il barattolo con la marijuana e avvia il lavaggio. Alle 4 e mezza si precipita fuori, nudo e urlante. I vicini chiamano la polizia che lo trascina via mentre pronuncia frasi senza senso: “Sono Osama Bin Laden”, “Sono Satana” dice.
Il movente In sede di interrogatorio sembra recuperare lucidità: “Alenya, poverina, lei non c’entra nulla” dice. È più calmo e freddamente ammette che, però, che la sua fidanzata era “possessiva”. Quella sera, poi, Alenya gli aveva raccontato di un sogno fatto da mamma Patrizia, il sogno di Alenya incinta di lui. Forse, nella condizione di estrema fragilità in cui Juncker si trovava – e che lo aveva spinto a dire alla madre, il giorno prima, di essere gay e sieropositivo – quell’episodio aveva scatenato una furia ai limiti della follia.
La sentenza Ai limiti, appunto. Perché dagli esami tossicologici non emergono allucinogeni – eccetto lo spinello – né ci sono prove che il 36enne fosse nel mezzo di una crisi psicotica, come la difesa suggerisce. Il processo di primo grado viene celebrato dal giudice Guido Salvini, il magistrato delle stragi degli anni di Piombo, di piazza Fontana, un uomo che aveva visto i momenti più bui della storia d’Italia e che rimane dolorosamente scioccato da quel delitto assurdo, inumano, imperdonabile. Lo condanna a 30 anni, ribaltati dall’accordo raggiunto al processo d’Appello: aggravanti e attenuanti vengono portate allo stesso livello, abbassando la pena a 16 anni, con la promessa degli avvocati di non presentare ricorso in Cassazione.
L’epilogo. Nonostante la mitezza della condanna i giudici scrivono nella sentenza: “Nella notte tra il 19 e il 20 luglio 2002 si è consumato qualcosa che è percepibile come la rappresentazione di ciò che è più vicino, nella sua essenza, all’ omicidio inteso come distruzione, nel corpo e nell’immagine, di una persona”.
Ruggero Jucker è stato affidato in carcere alle cure di uno psichiatra scelto dalla madre. Nel 2013 è tornato libero, dopo aver scontato dieci anni di detenzione.

Ruggero Jucker è libero
Da ieri Ruggero Jucker è libero. È stato l’artefice di un omicidio insensato e crudele. Era il 20 luglio 2002 quando nella sua casa del centro di Milano uccise la sua fidanzata di 26 anni, Alenya Bortolotto. Lo fece con un coltello da sushi, si accanì sul suo corpo. In primo grado venne condannato a 30 anni di carcere. Divennero 16 in appello. Poi c’è stato l’indulto: via tre anni di pena. E per buona condotta via altri 90 giorni per ogni anno trascorso in carcere. I 16 anni sono diventati meno di 11.
Jucker a Milano lo conoscevano in tanti
. È il figlio di una famiglia della borghesia solida e ricca, quella delle grandi famiglie dalle vedute aperte. La buona borghesia milanese. Gli Jucker a Milano sono imprenditori importanti: il patriarca, Carlo, fondò il cotonificio Cantoni di Legnano, poi passato ai figli e quindi ai nipoti. La famiglia ha anche donato alla città una collezione d’arte notevole: quadri di Boccioni, Carrà, Picasso, Matisse.
Prima della notte del 20 luglio 2002, Ruggero dava una mano alla mamma: lei fu la prima tra le signore eleganti a capire che la sua passione per la cucina si poteva trasformare in un’attività. Lo fece più di 25 anni fa, la chiamavano Signora del catering. Ad aiutarla, per “i diciottesimi” più importanti chiamava Ruggero e i suoi amici. Poi lui aprì un posto tutto suo in via Sottocorno, un locale dove cucinava zuppe, zuppe di ogni tipo, buonissime. Aveva preso l’idea a New York, dove la famiglia l’aveva mandato a cercare ispirazione, alla ricerca di qualcosa adatto a lui. Zupp si chiamava il posto: molti giornali se ne occuparono, Jucker ottenne un buon successo. Certo, i clienti non erano molti, però il nome girava, le cose funzionavano. Ruggero stava allora insieme a una ragazza, Alenya Bortolotto: lei lavorava in centro, in un negozio famoso di corso Europa, WP Store. Poi qualcosa, nella mente e nell’anima di Ruggero Jucker, esplose.
Era una notte di piena estate: via Corridoni è a due passi dal Conservatorio e dall’Umanitaria. I pochi che non erano via per il weekend furono svegliati da urla spaventose. Ruggero Jucker era nudo in mezzo alla strada. Piangeva e gridava: «Io sono Osama Bin Laden. Sono Satana, sono tutto il male che c’è al mondo. Sono la gatta Jucker». E poi: «Un, due, tre, buonanotte». Una scena grottesca, incongrua, come avvolta da una nebbia di follia totale. Urlava e borbottava, camminava avanti e indietro. Era imbrattato di sangue. Quella scena, per chi l’ha vista, deve essere stata un cortocircuito, qualcosa di irreale eppure vivido. Ruggero Jucker aveva fatto a pezzi Alenya. Non è un modo di dire: l’aveva davvero fatta davvero a pezzi, colpita ovunque con un coltello da sushi. Lei aveva provato a difendersi. Decine di coltellate. La Scientifica ritrovò un pezzo del fegato della ragazza in cortile.
Parlarono tanto di droghe, qualche giornale scrisse che Jucker aveva fumato un “superspinello”. Proprio così, un superspinello.
Ai funerali di Alenya c’era un sacco di gente: la cerimonia si aprì con la voce di Battiato che recitava “Ti invito al viaggio, in quel paese che ti assomiglia tanto. I soli languidi dei suoi cieli annebbiati… Laggiù tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà”. La bara uscì dalla cappella e Jobin cantava “La ragazza di Ipanema”.
Il giudice Guido Salvini condannò Ruggero Jucker a 30 anni con il rito abbreviato. Riconobbe la semi infermità mentale ma anche la grave crudeltà nell’agire. Ruggero è sempre stato a San Vittore, fin dall’arresto. Lì, regolarmente, è stato seguito da uno psichiatra: tre visite alla settimana pagate dalla famiglia. Al processo d’Appello la pena scese a 16 anni. Ora, dal punto di vista giudiziario, la fine della storia.

Massacro’ la fidanzata. Torna libero dopo dieci anni per buona condotta.

MILANO – Nel 2002 ha ucciso e fatto a pezzi la fidanzata 26enne Alenya Bortolotto. Oggi, dopo dieci anni e mezzo di carcere, Ruggero Jucker è libero per buona condotta. Grazie al rito abbreviato, in primo grado evitò l’ergastolo per una condanna a 30 anni, poi ridotta a 16.
Il killer che sconvolse Milano quando si avventò sulla ragazza gridando “sono Bin Laden” e colpendola con un coltello da sushi, il fegato lanciato in giardino, è libero dal 21 gennaio e non dovrà neanche essere ricoverato, come prevedeva la sentenza, in una casa di cura e custodia per tre anni. Curato il carcere per il disturbo bipolare di cui soffriva, ora dovrà firmare periodicamente un registro dalle forze dell’ordine.
Per non dimenticare
L’omicidio alle 4,30 della notte. La vittima aveva 26 anni
L’uomo, Ruggero Jucker, è titolare di alcuni ristoranti
Rampollo della Milano-bene
uccide fidanzata a coltellate

MILANO – Un noto ristoratore, Ruggero Jucker, 36 anni, rampollo della Milano-bene, è stato arrestato questa mattina all’alba con l’accusa di aver ucciso la fidanzata, Alenia Bortolotto, di 26 anni, massacrata a coltellate. Il delitto è avvenuto a casa di Jucker, in via Corridoni 41, in pieno centro a Milano, a due passi dal palazzo di giustizia e dagli uffici della provincia. I carabinieri, chiamati dai vicini che avevano sentito delle grida provenire dall’appartamento del ristoratore, hanno trovato l’uomo insanguinato e in evidente stato di shock all’interno dell’elegante condominio. Jucker, incensurato, si è consegnato agli agenti che nell’appartamento hanno scoperto il corpo della ragazza, colpito con diverse coltellate. Anche la vittima apparteneva a una nota famiglia milanese.I due erano fidanzati da due anni e sebbene l’uomo non abbia ancora confessato sembra si sia trattato di un delitto passionale. I vicini di casa sentendo le urla della ragazza intorno alle 4,30 hanno chiamato immediatamente i carabinieri, poi usciti per le scale, per capire cosa stesse accadendo, hanno trovato Junker sul pianerottolo, completamete nudo che gridava “sono Osama bin Laden”. L’uomo è apparso sconvolto e fino all’arresto non ha più detto una parola.

Il suo legale, l’avvocato Massimo Pellicciotta è intenzionato a chiedere al più presto una perizia psichiatrica. “La mia impressione è che non si renda conto nemmeno di dove si trovi – ha spiegato il legale, che ha incontrato il suo assistito questa mattina -. Non è stato interrogato e credo che ora non sia in grado di sostenere un interrogatorio”.

I vicini descrivono Ruggero Jucker come una persona irreprensibile, molto gentile. “Veniva sempre la mattina a prendere il caffè e a leggere i giornali – hanno detto i componenti della famiglia che gestisce il bar tabacchi accanto al portone della casa di Jucker -. Era venuto anche ieri mattina, da solo, aveva chiesto quando andavamo in vacanza. Anche lui ha detto che ci sarebbe andato all’inizio di agosto”. “La ragazza l’abbiamo solo vista alcune volte – proseguono -. Era una bella ragazza; sembravano innamoratissimi”.

L’uomo appartiene a un ramo della grande famiglia milanese Jucker di imprenditori, finanzieri e professionisti in diversi campi, nota fra l’altro per la Fondazione culturale e artistica che porta il suo nome. Assieme alla madre, da anni Ruggero Jucker si è specializzato nel catering e nella ristorazione di alto livello o di tipo alternativo. Porta il nome della madre, Lalla Jucker, una grande impresa di catering gestita dalla famiglia. Ruggero è fra l’altro titolare di una “zupperia” di moda, in via Pasquale Sottocorno.

La vittima, Alenia Bortolotto, era originaria di Lecco e abitava a Milano in via Bronzetti. Studiava e il pomeriggio lavorava come commessa in altro noto negozio, di confezioni sportive, il “WP Store” di via Borgogna. Una responsabile del negozio ricorda la coppia come “molto unita, tranquilla, senza screzi se non quelli occasionali di qualsiasi coppia”.

(20 luglio 2002)

Ruggero Jucker massacrò la fidanzata 10 anni fa


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