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Renzo Tarabella, 83 anni, pensionato, padre. Uccide a colpi di pistola la moglie, il figlio e i vicini di casa. Chiesto l’ergastolo (strage di Rivarolo)

Rivarolo Canavese (Torino), 10 Aprile 2021


Titoli & Articoli

Strage di Rivarolo, trovato il settimo colpo sparato dal killer: partito dalla stanza di Wilson si era conficcato in cortile (la Sentinella – 21 aprile 2021)
Sopralluogo della scientifica nell’appartamento di corso Italia. Traiettorie e balistiche saranno confrontate con l’autopsia
Dalla stanza di Wilson Tarabella è partito un proiettile che ha bucato la finestra e la tapparella dall’interno e si è andato a conficcare tra le mattonelle di un edificio nel cortile dello stabile su Corso Italia 46, dove è stata ritrovata l’ogiva. Proprio quell’accesso sul retro che hanno utilizzato i carabinieri della stazione di Rivarolo Canavese e i vigili del fuoco di Ivrea, per entrare nella casa in cui si è consumata la strage perpetrata dal pensionato 83enne Renzo Tarabella, il padre di Wilson. Un signore che abita vicino alla superficie colpita dall’arma del pensionato aveva raccontato agli investigatori di aver sentito un rumore. E proprio da lì sono partiti per ritrovare l’ogiva.
È questa una delle novità più rilevanti che emerge dal sopralluogo condotto dalla magistrata della procura di Ivrea Lea Lamonaca, con i carabinieri della sezione investigativa scientifica del comando provinciale di Torino. Sul posto c’erano anche i colonnelli Andrea Caputo e Walter Guida, comandanti, rispettivamente, del nucleo investigativo e della compagnia di Ivrea. Gli investigatori sono rimasti a Rivarolo circa tre ore. «Stiamo cercando di confrontare – spiega il procuratore capo Giuseppe Ferrando -, le traiettorie e la balistica con l’autopsia del dottor Roberto Testi, per capire la dinamica esatta degli omicidi e se c’è stato un proiettile trapassante». Vale a dire, un proiettile che ha trafitto più di un corpo.
Quel che è sicuro è che nella berretta semi automatica calibro 9×21 detenuta regolarmente da Renzo Tarabella c’erano otto colpi, dei quindici che il caricatore può ospitare. Dunque, sette sono stati sparati. Due esplosi a sangue freddo in faccia alla moglie Maria Grazia Valovatto, 79 anni, e al figlio, colpiti entrambi dentro i rispettivi letti, ancora in pigiama, in un lasso di tempo che può variare tra la notte di venerdì 9 e la mattina di sabato 10 aprile. Altri tre riservati invece ai vicini e proprietari di casa Osvaldo Dighera, 74 anni, e Liliana Heidempergher, di 70. Due per l’uomo – uno in testa e uno alla schiena – e uno che ha trafitto il cranio della donna. I coniugi sono stati uccisi nella serata di sabato 10 aprile, intorno alle otto. E l’ultimo riservato a se stesso. Sparato verso le tre di notte, sotto il mento. Incredibilmente, però, è uscito dallo zigomo senza ledere alcun organo vitale. L’equipe del San Giovanni Bosco ha fatto il resto: l’uomo è stato operato ed è sopravvissuto.
Cosa abbia fatto Tarabella in quel lasso di tempo, al momento è ancora un mistero. Sicuramente ha scritto i due biglietti: laconici, di una precisione di chirurgica. Entrambi vergati dopo aver ucciso. Il primo che forniva una giustificazione per gli omicidi della moglie e del figlio: «Ho dovuto farlo grazie a questa società». Il riferimento, in tutta probabilità, è alla disabilità di tipo psichico di Wilson, 51 anni, che Tarabella aveva recentemente ritirato da ogni centro diurno, dagli aiuti pubblici dei servizi sociali del Ciss 38, che nulla hanno potuto di fronte alla volontà del suo tutore.
Il secondo biglietto, invece, è stato scritto dopo l’omicidio dei Dighera. «I due signori hanno insultato mio figlio già morto ed è giusto che abbiano pagato», diceva. Parole ingiuriose che però risultano poco credibili, visto il profondo affetto che legava i Dighera a Wilson. In particolare Osvaldo, che spesso lo accompagnava in gite a Torino e gli faceva assaporare un po’ di quel mondo che, ultimamente, il padre gli aveva negato. I Tarabella, infatti, vivevano sbarrati in casa, con pochi contatti anche con i parenti, per volontà dell’uomo.
Quello che resta da capire, dunque, è cosa abbia fatto l’assassino nell’arco di 24 ore. Probabilmente potrà riferirlo lui stesso agli investigatori, ora che è stato trasferito nel repartino delle Molinette ed è fuori pericolo. La sua avvocata di fiducia, Flavia Pivano, ha spiegato che «anche se in grado di parlare non ne ha ora la lucidità necessaria». Il procuratore Giuseppe Ferrando attende il via libera da parte dei medici.
Sicuro è che gli investigatori si sono trovati di fronte una casa in un ordine quasi maniacale. Gli attrezzi di Tarabella erano ripartiti in maniera molto precisa, così come le macchinine di Wilson. Non fosse stato per il sangue che ricopriva le pareti della casa, sarebbe quasi potuto sembrare che l’uomo avesse passato la giornata a pulire. Ora la porta di quella casa al quinto piano si è chiusa nuovamente, forse per l’ultima volta. Sbarrata dai sigilli apposti dagli investigatori.

 

Per Tarabella chiesto l’ergastolo: “Mia moglie mi disse di uccidere nostro figlio, poi lei e poi me” (La Voce – 19 settembre 2023)
L’aziano pluriomicida stamattina ha parlato in aula alla Corte d’assise di Ivrea
Ha chiamato mio figlio Wilson ‘handicappato’ e così dopo una discussione, ho preso la pistola e gli ho sparato“. Si è aperto con queste parole, stamattina davanti alla Corte d’assise di Ivrea l’esame di Renzo Tarabella, 85 anni, che è imputato per il pluriomicidio del figlio disabile Wilson, della moglie Maria Grazia Valovatto e dei coniugi Osvaldo Dighera e la moglie Liliana, la notte tra il 10 e l’11 aprile 2021 a Rivarolo. “Mi ha dato fastidio. Lo avesse chiamato diversamente abile o non autosufficiente avrei preferito” ha ricordato Tarabella comparso per la prima volta in aula, rispondendo alle domande del suo avvocato Flavia Pivano.
Tarabella è arrivato stamattina in tribunale su una sedia a rotelle e ha poi ammesso che la decisione di ammazzare a colpi di pistola prima il figlio e in seguito la moglie fosse stata concordata perché “stufi e stanchi della situazione dovuta anche dal virus che costringeva a stare in casaI servizi sociali non venivano più perché se ne fregavano”.
Tarabella ha infine confessato l’uccisione della moglie. L’anziano ha ricostruito le parole dette proprio dalla donna prima che l’omicidio si consumasse: “È stata mia moglie a suggerirmi di farlo. Di uccidere prima nostro figlio, poi lei e alla fine io. Mia moglie mi aveva confidato che se non l’avessi fatto, lei si sarebbe gettata giù dal balcone”.
Nel processo, attraverso l’avvocato Sergio Bersano, si sono costituiti parte civile la figlia dei coniugi Dighera, Francesca, e il marito.  La pm Lea Lamonaca ha chiesto l’ergastolo con isolamento diurno per almeno sei mesi.


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