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Pietro Zaramella, 82 anni, pensionato, padre. Aveva chiesto aiuto, ma nessuno lo ha aiutato. Uccide la moglie a coltellate e si suicida.

Montagnana (Padova), 4 Febbraio 2014


Titoli & Articoli

«Il paziente pensa a omicidio-suicidio». Dimesso, accoltella la moglie e si impicca (Corriere del Veneto – 2 marzo 2019)
Il delitto nel 2014, spunta il referto-choc. I figli: causa milionaria all’Usl. Lo psichiatra fu assolto
PADOVA È il 6 gennaio del 2014. Al 118 arriva la telefonata di un anziano: si chiama Pietro Zaramella, ha 82 anni, vive a Montagnana (Padova) e chiede di essere ricoverato d’urgenza. L’ambulanza lo raggiunge in pochi minuti, e lo porta all’ospedale di Monselice. Nel referto medico si legge: «Paziente conosciuto per un precedente ricovero nel 2009 (…) arriva al pronto soccorso accompagnato dal 118, chiamato da lui stesso a domicilio, affermando di non farcela più a sostenere la difficile situazione familiare (moglie invalida al 100%, allettata e non autosufficiente) ed esprimendo ripetutamente pensieri di omicidio-suicidio».
Viste le sue condizioni, l’anziano resta ricoverato per tre settimane nel Centro di salute mentale fino a quando, il 28 gennaio, viene dimesso: per i medici la sua situazione si è stabilizzata ed è pronto a tornare a casa, da sua moglie Edda Rossetto, 81 anni, malata gravemente. E invece, appena una settimana dopo, il 4 febbraio Zaramella prende un grosso coltello, uccide la donna e chiama le forze dell’ordine: «L’ho ammazzata… perché è invalida e nessuno me la riconosce e la ricovera… l’ho ammazzata, l’ho ammazzata… e adesso mi ammazzo anche io». Poi, esce di casa, raggiunge un deposito attrezzi e lì, in quel capanno, si toglie la vita impiccandosi. Così ha messo in atto quei pensieri terribili che, soltanto 22 giorni, aveva confessato ai medici.
Per questa vicenda, vennero iscritti nel registro degli indagati due psichiatri dell’Usl, con l’ipotesi di omicidio. La domanda alla quale i magistrati cercarono di dare una risposta, è se i medici avessero sottovalutato le condizioni di Zaramella. Una delle posizioni fu presto archiviata, mentre l’altro specialista venne assolto tre anni e mezzo dopo. Per il giudice aveva ragione il suo avvocato, quando diceva che «il rischio omicidio-suicidio nel paziente di certo non era prevedibile a breve e a medio termine». A confermarlo, anche il perito del tribunale: «Non si configura una condotta negligente che qualifichi come imprudente la decisione di dimettere il paziente… C’era stato un graduale e progressivo miglioramento del quadro clinico».
La storia di Zaramella, pareva destinata a finire così. E invece, a cinque anni dalla morte dei due coniugi, i figli fanno riaprire il caso, stavolta in sede civile. Con l’avvocato Matteo Mion hanno avviato una causa contro l’Usl 6: chiedono un risarcimento danni che, stando a una prima stima, supera i due milioni di euro. «Quell’uomo chiese espressamente di essere ricoverato – spiega il legale – perché non riusciva più a sostenere il peso dell’assistenza che da anni prestava alla moglie malata, e un documento dimostra che disse ai medici di volerla uccidere per poi togliersi la vita. Per tutta risposta, dopo tre settimane l’ospedale lo rispedì a casa, dove lo aspettava la sua Edda e una condizione ambientale identica a quella che il 6 gennaio gli aveva fatto pensare che l’omicidio-suicidio fosse l’unica via d’uscita. A questo, si aggiunga che già nel 2009 gli era stato diagnosticato un episodio depressivo. È evidente che la gravità della situazione fu quantomeno sottovalutata».
Nonostante la perizia del tribunale di Rovigo «assolva» l’operato dei medici, i figli si fanno forza proprio del referto stilato il 6 gennaio 2014. Al medico, Zaramella appariva «sofferente», «significativamente depresso», «esprime sentimenti di solitudine e abbandono, riferisce di dover accudire la moglie e occuparsi della casa praticamente da solo». Era convinto che nessuno volesse aiutarlo, neppure i figli. «Tale situazione è diventata per lui insostenibile – prosegue il referto – fino all’esasperazione che lo ha portato a chiedere aiuto». Il ricorso al tribunale civile di Padova, cita anche due consulenze mediche prodotte in questi anni dove si afferma «una chiara evitabilità dell’evento a fronte della pronta attivazione di una rete di supporto a tutela dei coniugi Zaramella». Insomma, quel dramma della disperazione forse poteva essere scongiurato. Infine, tra i documenti medici recuperati dall’avvocato Mion c’è anche quello con il quale, il 2 gennaio, Pietro Zaramella aveva inoltrato formale richiesta all’Usl di ricoverare la moglie in una struttura di assistenza. Voleva allontanarla da sé, dai pensieri orribili che aveva cominciato a maturare. Ma un mese dopo, quando l’ha accoltellata, a quella lettera ancora nessuno aveva risposto.
(di Andrea Priante)

«Ricoveratemi o la uccido», dimesso ammazza la moglie. ​I figli: causa all’Usl (il Gazzettino – 3 marzo 2019)
Aveva chiesto di essere ricoverato perché temeva di poter uccidere la moglie e di suicidarsi, ma dopo tre settimane era stato dimesso dall’ospedale di Monselice e qualche giorno dopo aveva ammazzato la moglie a coltellate. Ora i figli, dopo aver visto fallire in sede penale la richiesta di condannare per omicidio i due medici che seguirono il caso di Pietro Zaramella, 82 anni, di Montagnana, hanno avviato una causa civile presso il Tribunale di Padova, chiedendo un risarcimento danni di oltre due milioni di euro per la morte della madre, Edda Rossetto, 81 anni, e gravemente malata, uccisa a coltellate dal marito il 4 febbraio 2014, un mese dopo la sua uscita dal nosocomio.
Per il legale che assiste i familiari, Matteo Mion, è proprio il referto di ingresso in ospedale dell’uomo a inchiodare l’Usl 6 alle sue responsabilità, sottolineando che al momento del ricovero Zaramella esprimeva «ripetuti pensieri di omicidio-suicidio». «Quell’uomo chiese espressamente di essere ricoverato – rileva il legale – perché non riusciva più a sostenere il peso dell’assistenza che da anni prestava alla moglie malata». A supporto della richiesta economica Mion ha prodotto un documento con il quale Zaramella un mese prima dell’omicidio aveva chiesto che la moglie venisse accolta in una struttura di assistenza non riuscendo più a seguirla.

Uccise la moglie e poi si impiccò: psichiatri indagati per omicidio (il Gazzettino – 20 febbraio 2014)
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ue psichiatri dell’Ulss della Bassa Padovana sono stati iscritti per omicidio sul registro degli indagati della Procura di Rovigo. È la clamorosa svolta nelle indagini sulla tragedia consumatasi il 4 febbraio a Montagnana, quando l’ottantunenne Pietro Zaramella ha ucciso a coltellate la moglie Edda Rossetto prima di impiccarsi. Teatro del dramma era stata la vecchia casetta dei due in via Brancaglia, a Montagnana. Ma soltanto ventiquattr’ore prima Pietro Zaramella era stato autorizzato a lasciare l’ospedale di Monselice e a far rientro a casa.

 


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In memoria di

Il perdono dei nipoti «Il vostro è stato un gesto d’amore» (il Mattino di Padova – 1 marzo 2014)
Funerale insieme dopo l’omicidio-suicidio di Montagnana Ricordate le numerose tragedie delle ultime settimane
«Nonno, il tuo è stato un grande atto d’amore, che ora vi permette di continuare il percorso verso la vita eterna mano nella mano». Con queste toccanti parole i nipoti di Pietro Zaramella ed Edda Rossetto, 81 e 80 anni, hanno voluto salutare per sempre i loro nonni. I nipoti della coppia hanno letto il messaggio al termine della messa funebre che si è celebrata ieri pomeriggio in un duomo gremito. Il funerale di Pietro ed Edda, a cui ha partecipato anche il sindaco Loredana Borghesan, arriva a oltre tre settimane dalla tragedia che vide protagonisti i due anziani: era il 4 febbraio quando Pietro, reduce da un ricovero ospedaliero in Psichiatria, decise di uccidere la moglie malata a coltellate e di togliersi la vita nella propria abitazione di via Stangon. L’indagine giudiziaria, nata da quella tragedia, ha fatto slittare sino a ieri l’addio alla coppia. «Non ci nascondiamo dietro a quello che è avvenuto» ha esordito monsignor Pietro Zecchin nel corso della cerimonia «Nessuno però saprà mai perché sia avvenuta questa tragedia. Per questo non possiamo che stare in silenzio e pregare».
Il parroco ha affrontato con grande sensibilità l’episodio di cui si è reso protagonista l’ottantunenne: «Nessuno vuole annientarsi. Anche quel gesto è sete di vita. Purtroppo certe volte noi uomini sbagliamo il modo di esprimere questo bisogno di vita». Monsignor Zecchin non ha parlato direttamente di perdono cristiano, ma ha sottolineato come «non c’è alcuna azione definitiva che possa negarci l’abbraccio di Dio. Papa Francesco ha scritto che “con Gesù Cristo nasce e rinasce sempre la gioia”». Il religioso ha quindi ricordato i numerosi suicidi di queste ultime settimane: «L’uomo non è una macchina che si inceppa per un guasto ben determinato. Siamo universi che hanno bisogno di luce, a cui non bastano assistenze sociali, prescrizioni mediche e cure domiciliari: abbiamo bisogno di riempirci i cuori». Davanti ai due feretri, insieme anche in quest’ultima tappa di vita, i cinque nipoti della coppia (Edda e Pietro avevano cinque figli) hanno letto al termine della messa un toccante ricordo dei nonni: «Eravate sempre uno accanto all’altro, come se l’assenza dell’altro impedisse di vivere. La malattia ha solo rafforzato il vostro legame. Per questo, nonno, il tuo è stato un grande atto d’amore».

 

Il suo paziente uccise, psichiatra assolto (il Mattino di Padova – 4 ottobre 2017)
Aveva in cura fino a 20 giorni prima l’anziano che accoltellò a morte la moglie: una perizia lo scagiona dopo 3 anni
Un pensionato 81enne, Pietro Zaramella, aveva ucciso a coltellate la moglie, malata terminale, e poi si era tolto la vita 22 giorni dopo essere stato dimesso dal reparto di Psichiatria dell’ospedale di Schiavonia. Come un assassino è stato indagato per il reato di omicidio volontario il medico che lo aveva curato, il dottor Gianni Ivo Tamiello, 56 anni, originario di Schio e residente a Padova, psichiatra dell’ospedale monselicense. Poi quell’originaria accusa è stata riformulata durante l’indagine e il dirigente-medico, finito nei guai per atti compiuti nell’esercizio della sua attività professionale, si è ritrovato sul banco degli imputati per il reato più “lieve” di omicidio colposo. Tre anni e mezzo d’incubo. Ieri l’assoluzione con formula piena pronunciata dal gup di Rovigo Pietro Mondaini. Un’assoluzione reclamata tanto dal pm Davide Nalin (presente all’udienza ma non titolare dell’inchiesta) quanto dal difensore, il professor Alberto Berardi del foro di Padova.
«Finalmente dopo tre anni di calvario il dottor Tamiello è stato riconosciuto totalmente estraneo a ogni responsabilità. La perizia ordinata dal giudice ha chiarito come non sia stato commesso nessun errore da parte dal medico. Il rischio omicidio-suicidio nel paziente di certo non era prevedibile a breve e a medio termine» rileva con soddisfazione il professor Berardi.
L’omicidio-suicidio. Il pm rodigino Fabrizio Suriano, titolare dell’inchiesta, aveva ritenuto responsabile il dottor Tamiello della tragedia avvenuta in una casetta di Montagnana, in via Brancaglia 39. Era il 4 febbraio 2014: il pensionato Pietro Zaramella aveva ucciso con tre fendenti all’addome la moglie Edda Rossetto, coetanea, prima di avvertire i carabinieri dell’accaduto. E anche di quello che stava per succedere. «Ho appena ucciso mia moglie. E ora mi impicco» aveva ripetuto al telefono. All’arrivo, la scoperta dei cadaveri. Il corpo dell’uomo nella rimessa degli attrezzi agricoli: si era suicidato come preannunciato.
L’inchiesta. Zaramella era arrivato al limite. Non riusciva più a sopportare il peso di una situazione familiare insostenibile: la compagna di una vita era stata colpita da ischemia cerebrale, poi da un tumore al polmone e viveva attaccata a un respiratore; lui si sentiva solo, schiacciato dal peso di dolore e fatiche quotidiane, incapace di reggere i “doveri” familiari, ma pure di “staccarsi” da lei. Il pm Suriano indaga il dottor Tamiello e una collega: omicidio volontario la prima contestazione. Alcuni mesi più tardi dopo l’interrogatorio dei medici, l’accusa è ridefinita in omicidio colposo, tipico reato della (presunta) responsabilità professionale: per il dottor Tamiello la richiesta di rinvio a giudizio, prosciolta la collega che era di turno solo il giorno delle dimissioni del paziente.
Il giudizio. Davanti al gup Mondaini, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta, il professor Berardi ha chiesto e ottenuto l’ammissione al rito abbreviato per lo psichiatra. Secondo il difensore, andava giudicato subito e nel merito. Il gup ha ordinato una perizia affidata al dottor Emanuele Toniolo del Dipartimento di salute mentale di Rovigo: indispensabile chiarirsi le idee prima di valutare l’eventuale condotta negligente di un medico della mente, nei guai in seguito al reato commesso da un suo paziente.
La perizia. «Emerge una situazione caratterizzata da una rete familiare molto impegnata nelle proprie occupazioni e da una difficoltà dello Zaramella di accettare aiuto… Il figlio ha consegnato la lettera di dimissioni del padre al medico di famiglia solo il 3 febbraio pur essendo avvenuta la dimissione il 28 gennaio ed essendo stati consegnati come prassi farmaci solo per il tempo necessario a recarsi dal medico di base» si legge nella perizia. «Non si configura una condotta negligente che qualifichi come imprudente la decisione di dimettere il paziente… C’era stato un graduale e progressivo miglioramento del quadro clinico».

 

Omicidio-suicidio Zaramella I figli chiedono 2 milioni all’Usl (il Mattino di Padova – 4 marzo 2019)
Il padre era stato dimesso da pochi giorni quando uccise la moglie e si tolse la vita Nella cartella clinica l’idea del tragico gesto, ma gli psichiatri sono già stati assolti
Un mese prima della tragedia l’81enne Pietro Zaramella, da tempo in cura, aveva espresso ai medici «sentimenti di solitudine e abbandono». Ancora, « riferisce di dover accudire la moglie e occuparsi della casa praticamente da solo. Una situazione insostenibile fino all’esasperazione che lo ha portato a chiedere aiuto». È quanto si legge in un referto datato 6 gennaio 2014 e scritto dai medici dell’ospedale di Monselice. Il 4 febbraio il pensionato uccide con tre fendenti all’addome la moglie Edda Rossetto, coetanea, invalida e malata terminale, prima di avvertire i carabinieri dell’accaduto. E di quello che sta per succedere: «Ho appena ucciso mia moglie. E io mi impicco». All’arrivo, la scoperta di due cadaveri. Ora in forza del contenuto di quel referto i figli della coppia hanno avviato una causa civile nei confronti dell’Usl 6 Euganea: reclamano un risarcimento di due milioni di euro davanti al tribunale civile di Padova. A tutelarli l’avvocato Matteo Mion.
La causa Nel ricorso il legale fa riferimento a una richiesta di ricovero urgente da parte di Zaramella, che non riusciva più a seguire la moglie senza un aiuto. Il 6 gennaio 2014 aveva telefonato al 118: un’ambulanza era arrivata in pochi minuti nella sua abitazione a Montagnana in via Brancaglia 39 e l’anziano era stato trasferito in Psichiatria dove, peraltro, era già stato ricoverato nel 2009 per una depressione. È nella cartella clinica di quel ricovero che è stato trovato il referto con l’anamnesi di Pietro Zaramella. Un referto dove il medico riporta le parole (e lo sfogo) del paziente pronto a esprimere pensieri di omicidio-suicidio, convinto che neanche i figli volessero aiutarlo. Una condizione percepita dall’uomo come di solitudine totale. «Una situazione insostenibile fino all’esasperazione che lo ha portato a chiedere aiuto» ancora il referto, citato tra gli atti di causa con due consulenze di parte che insistono «sull’evitabilità dell’evento a fronte della pronta attivazione di una rete di supporto a tutela dei coniugi Zaramella». La moglie era affetta da un tumore al polmone e costretta a vivere attaccata al respiratore, in più pativa le conseguenze di un’ischemia cerebrale che la rendeva non autosufficiente.
Il processo. Dopo la tragedia era stata aperta un’inchiesta e due medici erano stati indagati per omicidio volontario. Poi la procura riformulò il reato in omicidio colposo reclamando il processo per l’allora primario. Nell’ottobre 2017, al termine di un rito abbreviato, il gup Mondaini ha assolto il medico con formula piena come richiesto dalla pubblica accusa. E dal difensore, il professor Alberto Berardi che aveva insistito sul fatto che il rischio omicidio-suicidio non era certo prevedibile a breve e medio termine. Il giudice aveva pure affidato una perizia al dottor Emanuele Toniolo del Dipartimento di salute mentale di Rovigo.
«Emerge una situazione caratterizzata da una rete familiare molto impegnata nelle proprie occupazioni e da una difficoltà dello Zaramella di accettare aiuto...» aveva scritto il perito «Il figlio ha consegnato la lettera di dimissioni del padre al medico di famiglia solo il 3 febbraio pur essendo avvenuta la dimissione il 28 gennaio ed essendo stati consegnati come prassi farmaci solo per il tempo necessario a recarsi dal medico di base… Non si configura una condotta negligente che qualifichi come imprudente la decisione di dimettere il paziente… C’era stato un graduale e progressivo miglioramento». Ora si è aperto un nuovo capitolo: la causa civile con la richiesta di un maxiristoro.