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Edda Rossetto, 81 anni, madre. Accoltellata dal marito dopo che lui stesso aveva chiesto aiuto agli psichiatri per pensieri di omicidio-suicidio ma i medici lo avevano rimandato a casa

Montagnana (Padova), 4 Febbraio 2014

Lei era malata e lui non ce la faceva più

 

Pietro Zaramella, 82 anni, pensionato, padre. Era esasperato, aveva chiesto aiuto ma non lo hanno ascoltato.

 


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«Il paziente pensa a omicidio-suicidio». Dimesso, accoltella la moglie e si impicca
Il delitto nel 2014, spunta il referto-choc. I figli: causa milionaria all’Usl. Lo psichiatra fu assolto
PADOVA È il 6 gennaio del 2014. Al 118 arriva la telefonata di un anziano: si chiama Pietro Zaramella, ha 82 anni, vive a Montagnana (Padova) e chiede di essere ricoverato d’urgenza. L’ambulanza lo raggiunge in pochi minuti, e lo porta all’ospedale di Monselice. Nel referto medico si legge: «Paziente conosciuto per un precedente ricovero nel 2009 (…) arriva al pronto soccorso accompagnato dal 118, chiamato da lui stesso a domicilio, affermando di non farcela più a sostenere la difficile situazione familiare (moglie invalida al 100%, allettata e non autosufficiente) ed esprimendo ripetutamente pensieri di omicidio-suicidio».
Viste le sue condizioni, l’anziano resta ricoverato per tre settimane nel Centro di salute mentale fino a quando, il 28 gennaio, viene dimesso: per i medici la sua situazione si è stabilizzata ed è pronto a tornare a casa, da sua moglie Edda Rossetto, 81 anni, malata gravemente. E invece, appena una settimana dopo, il 4 febbraio Zaramella prende un grosso coltello, uccide la donna e chiama le forze dell’ordine: «L’ho ammazzata… perché è invalida e nessuno me la riconosce e la ricovera… l’ho ammazzata, l’ho ammazzata… e adesso mi ammazzo anche io». Poi, esce di casa, raggiunge un deposito attrezzi e lì, in quel capanno, si toglie la vita impiccandosi. Così ha messo in atto quei pensieri terribili che, soltanto 22 giorni, aveva confessato ai medici.
Per questa vicenda, vennero iscritti nel registro degli indagati due psichiatri dell’Usl, con l’ipotesi di omicidio. La domanda alla quale i magistrati cercarono di dare una risposta, è se i medici avessero sottovalutato le condizioni di Zaramella. Una delle posizioni fu presto archiviata, mentre l’altro specialista venne assolto tre anni e mezzo dopo. Per il giudice aveva ragione il suo avvocato, quando diceva che «il rischio omicidio-suicidio nel paziente di certo non era prevedibile a breve e a medio termine». A confermarlo, anche il perito del tribunale: «Non si configura una condotta negligente che qualifichi come imprudente la decisione di dimettere il paziente… C’era stato un graduale e progressivo miglioramento del quadro clinico».
La storia di Zaramella, pareva destinata a finire così. E invece, a cinque anni dalla morte dei due coniugi, i figli fanno riaprire il caso, stavolta in sede civile. Con l’avvocato Matteo Mion hanno avviato una causa contro l’Usl 6: chiedono un risarcimento danni che, stando a una prima stima, supera i due milioni di euro. «Quell’uomo chiese espressamente di essere ricoverato – spiega il legale – perché non riusciva più a sostenere il peso dell’assistenza che da anni prestava alla moglie malata, e un documento dimostra che disse ai medici di volerla uccidere per poi togliersi la vita. Per tutta risposta, dopo tre settimane l’ospedale lo rispedì a casa, dove lo aspettava la sua Edda e una condizione ambientale identica a quella che il 6 gennaio gli aveva fatto pensare che l’omicidio-suicidio fosse l’unica via d’uscita. A questo, si aggiunga che già nel 2009 gli era stato diagnosticato un episodio depressivo. È evidente che la gravità della situazione fu quantomeno sottovalutata».
Nonostante la perizia del tribunale di Rovigo «assolva» l’operato dei medici, i figli si fanno forza proprio del referto stilato il 6 gennaio 2014. Al medico, Zaramella appariva «sofferente», «significativamente depresso», «esprime sentimenti di solitudine e abbandono, riferisce di dover accudire la moglie e occuparsi della casa praticamente da solo». Era convinto che nessuno volesse aiutarlo, neppure i figli. «Tale situazione è diventata per lui insostenibile – prosegue il referto – fino all’esasperazione che lo ha portato a chiedere aiuto». Il ricorso al tribunale civile di Padova, cita anche due consulenze mediche prodotte in questi anni dove si afferma «una chiara evitabilità dell’evento a fronte della pronta attivazione di una rete di supporto a tutela dei coniugi Zaramella». Insomma, quel dramma della disperazione forse poteva essere scongiurato. Infine, tra i documenti medici recuperati dall’avvocato Mion c’è anche quello con il quale, il 2 gennaio, Pietro Zaramella aveva inoltrato formale richiesta all’Usl di ricoverare la moglie in una struttura di assistenza. Voleva allontanarla da sé, dai pensieri orribili che aveva cominciato a maturare. Ma un mese dopo, quando l’ha accoltellata, a quella lettera ancora nessuno aveva risposto.

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