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Mauro Micucci, 57 anni, impiegato, padre. Uccide l’ex moglie e il presunto amante accoltellandoli nell’ascensore dell’Inps. Condannato con rito abbreviato a 30 anni di reclusione in primo grado, ridotti a 20 in appello

Roma, 26 Settembre 2014

micucciUna persona a posto, un uomo tranquillo, chissà cosa gli ha detto la testa, sarà uscito pazzo


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Il delitto all’Inps, 30 anni a Micucci Uccise a coltellate la moglie e l’amico
In un’aula avvolta in un silenzio assoluto Mauro Micucci, dipendente dell’Inps responsabile un anno fa del duplice omicidio della moglie e di un amico nell’ascensore dell’istituto di previdenza, a Cinecittà, ha atteso immobile l’esito della sentenza. E quando il giudice Costantino De Robbio, con un filo di voce che tradiva l’emozione provocata dalla gravità del momento, ha pronunciato la condanna a 30 anni di reclusione, il killer ha abbassato la testa per evitare lo sguardo accusatorio dei tre figli.
Confermate in pieno le richieste del pm
Se la sentenza diverrà definitiva, Micucci uscirà dal carcere all’età di novant’anni. «I ragazzi sono diventati, di fatto, degli orfani. É questa l’amara sconfitta di Micucci», osserva l’avvocato Sebastiano Russo, legale di parte civile che ha rappresentato i parenti della moglie, Daniela Nenni. La pena decisa dal gup, al termine del rito abbreviato, ha rispecchiato la richiesta di 30 anni di carcere formulata dal pm Cristiana Macchiusi durante la requisitoria. Il duplice omicidio avvenne nel tardo pomeriggio del 27 settembre del 2014.
L’omicida era convinto che la moglie lo avesse tradito
Micucci si era recato in ufficio con un coltello lungo 20 centimetri. Il suo matrimonio era andato a rotoli. Daniela viveva ancora con lui nella villetta di famiglia a Gallicano nel Lazio, sulla Prenestina, ma, ormai, erano separati da mesi. Alle orecchie di Micucci era anche arrivata la voce di una simpatia della moglie nei confronti dell’ascensorista-elettricista Alessandro Santoni. La storia era oggetto di chiacchiere tra le mura dell’ufficio dell’Inps di via Umberto Quintavalle. Lei, però, non aveva mai voluto confermare quel pettegolezzo, consapevole del carattere iroso del marito. Precauzione tuttavia inutile. Micucci bolliva di rabbia al pensiero del tradimento.
«Volevo solo parlare con loro, volevo solo spaventarli»
Un mese prima del delitto aveva postato su Facebook «Vi sbrano» riferendosi a Daniela e ad Alessandro. Loro avevano lasciare cadere la provocazione. Quando quel pomeriggio, però, aveva visto entrambi vicini, con una certa complicità, aveva perso la testa ed estratto il coltello, uccidendoli senza esitazioni. Prima si era avventato su Santoni, poi aveva ammazzato la moglie. «Volevo solo discutere, magari spaventarli, non pensavo di ucciderli», così si era giustificato nell’interrogatorio di garanzia reso poche ore dopo il delitto. Parole che con non hanno scalfito la ricostruzione dell’accusa.

«Mio padre killer? Ma era già separato in casa»
«Ma dove l’avrà preso un coltello così grande? Si vendono queste armi? È possibile? Lo sa: si sono sbagliati. Non c’è alcun figlio disabile. Però, lo capisco: ai giornalisti le cose le dicono, non se le inventano. E poi si sapeva: i due si sarebbero separati, era una decisione nell’aria». Parla la figlia venticinquenne di Mauro Micucci, l’uomo di 57 anni che l’altra sera ha sferrato una ventina di coltellate mortali alla moglie Daniela Nenni, di 49, e al presunto amante Alessandro Santoni, di 38, colpiti nell’ascensore dell’Inps di via Quintavalle, alla periferia romana di Cinecittà, dove tutti e tre lavoravano. Lei come informatica assieme al marito, e l’altro ascensorista di una ditta, residente a Pomezia con la moglie e il figlio di 10 anni. La ragazza non voleva parlare. O meglio, non voleva passare per la figlia dell’indagato. Diceva la sua da dietro il cancello della villa che si trova di fronte la casetta bianca, di due piani e con giardino, davanti alla sua in via Sicilia, in un angolo di Gallicano nel Lazio, alle porte della Capitale. Sil volto non un’ombra di dolore. Ha i capelli lunghi castani e due occhioni marroni coi quali per tutta la mattinata ha guardato amici e parenti entrare e uscire dalla casa dove vivevano marito e moglie con i due figli. Infatti i primi due, i più grandi, Mauro Micucci li ha avuti dalla prima moglie. Gli altri tre, invece, l’ultimo è del 2006, dall’ultima donna, da Daniela. «È una storia terribile – dice – è brutta brutta». Nei messaggi sul social network Facebook il dolore di Micucci sapeva di rancore, di vendetta, era un uomo che soffriva e lo diceva. Oppure non è così? «Può darsi. Però non si può arrivare a uccidere». Ma i due erano in rotta? «Che io sappia se ne parlava da tempo». Ma chi, dove? «Se ne parlava, si diceva. Si sapeva che le cose non andavano e i due pensavano di separarsi». Era addirittura così pacifico: ci separiamo e ciascuno per la sua strada? Allora perché Micucci avrebbe deciso di farli fuori? E il coltello dove lo ha preso? Non era piccolo. «Infatti. Non era piccolo. Ho letto sui giornali che la lama era lunga diversi centimetri. Ma questa roba pericolosa si può comprare così, senza alcun controllo? Mio sembra assurdo che abbia pensato di fare quello che poi ha fatto». Però sembra che il piano lo abbia pensato da un po’ di tempo? «Poteva separarsi, ma arrivare a uccidere…». E i figli. Sa cosa dicevano di questa storia? «I primi sono grandi, avuti assieme all’altra moglie. Gli altri tre non lo so». Da casa Micucci escono due giovani e salgono su un’auto parcheggiata lì fuori. La vettura a razzo fa marcia indietro e ferma il muso davanti alla villa della giovane. Il ragazzo alla guida abbassa il finestrino e chiede al giornalista: «Lei chi è?», con tono duro. Risponde la ragazza: «Un amico». Poi riparla al cronista: «Lei chi è…». Un attimo dopo arrivano due donne, una mora e l’altra bruna: «Siamo amiche di Daniela. Ma tu chi sei? Ahhhh, oddio: sei la figlia di Mauro!». Lei guarda il giornalista e gli occhi si riempiono di lacrime: «Non volevo farglielo sapere». Poi guardandolo: «Ora mi scusi, non voglio parlare

Uccise la moglie e l’amante, i giudici d’appello riducono la pena a vent’anni
Condanna rideterminata in appello per Mauro Micucci, l’impiegato che nel settembre 2014, nella sede dell’Inps in zona Cinecittà, uccise a coltellate la moglie Daniela Nenni e l’amante Alessandro Santoni. Venti anni di reclusione gli sono stati inflitti dalla prima Corte d’assise d’appello di Roma, dieci in meno della condanna pronunciata in primo grado dal gup nel settembre 2015 dopo il processo col rito abbreviato
Uccise la moglie e l’amante, nuova sentenza
Era il 26 settembre 2014 quando, in un ascensore della sede Inps di via Umberto Quintavalle, furono trovati i corpi di Daniela Nenni e Alessandro Santoni. Erano stati massacrati con una decina di colpi inferti con un pugnale militare. Accanto a loro, immobile, i carabinieri trovarono Micucci (marito della donna, anche se i due vivevano da anni in case separate), sporco di sangue e ancora con il pugnale in mano; era stato lui stesso a chiamarli. Secondo l’accusa, alla base della tragedia c’era stato un sentimento di gelosia possessiva. Micucci, terminato il suo turno di lavoro, aveva deciso di ritornare per dare una certezza ai suoi sospetti che la moglie e Santoni intrattenevano una relazione. L’uomo (che in precedenza aveva anche pubblicato minacce su un social network), fu arrestato con l’accusa di duplice omicidio volontario premeditato. Portato a processo, e giudicato col rito abbreviato, fu condannato dal gup di Roma a 30 anni di reclusione con le attenuanti generiche equivalenti alla premeditazione e l’aggravante. Ora, la rideterminazione in appello, con fissazione in venti anni della condanna.

 


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