Massacratori del Circeo: Giovanni Guido, Andrea Ghira, Angelo Izzo. Rapiscono, sequestrano, seviziano, violentano, massacrano di botte due ragazze, una la affogano, poi abbandonano i corpi nel bagagliaio di un auto. Ma una delle due è viva.
Circeo (Latina), 29 Settembre 1975
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Il massacro del Circeo, specchio dell’Italia degli anni ’70 (Frammenti rivista – 12 ottobre 2021)
Ci sono delitti che sono destinati a diventare qualcosa di più di semplici casi di cronaca; delitti che fotografano, nelle loro modalità o nei loro protagonisti, meglio di qualsiasi altra cosa un momento storico. E niente racconta l’Italia degli anni Settanta meglio del massacro del Circeo.
Il massacro del Circeo: i fatti
Il pomeriggio del 28 settembre 1975, Donatella Colasanti, 17enne residente a Roma, nel quartiere della Montagnola, scese le scale in fretta. Una sistemata ai capelli, un filo di rossetto e via. Un paio di giorni prima aveva incontrato al bar del “fungo” dell’EUR due ragazzi, ben vestiti, galanti, di buona famiglia, che avevano invitato lei e l’amica Rosaria Lopez, barista 19enne, a una festa a Lavinio. Abitavano ai Parioli, e qualcuno aveva detto a Donatella che erano ricchissimi.
I due ragazzi erano Gianni Guido, figlio di un alto dirigente della Bnl, e Angelo Izzo, figlio di Rocco, noto palazzinaro romano, i classici figli della buona borghesia romana. Verso le 16:30 si salutarono e le fecero salire in macchina, dirigendosi a San Felice Circeo, alla villa di un terzo amico: Andrea Ghira, figlio di Aldo, notissimo pallanuotista.
Quello che le ragazze non sapevano è che i tre ragazzi ben educati erano tutt’altro che stinchi di santo. Angelo Izzo, soprannominato “Il bombardiere nero” per la fede fascista, aveva già stuprato due ragazze assieme a degli amici per poi successivamente compiere una rapina a mano armata assieme allo stesso Ghira. Tutti e tre bazzicavano gli ambienti dell’estrema destra romana, erano soliti consumare eroina e compiere reati e minacce di qualsiasi genere. Amavano il solo gusto sadico della trasgressione, della violenza e della crudeltà. Erano annoiati, soli e arrabbiati, odiavano tutti e volevano ridurre il mondo in brandelli.
L’inizio del massacro
Ma c’era un’altra cosa che Donatella Colasanti e Rosaria Lopez non sapevano: non c’era nessuna festa. Ad aspettarle c’era solo Andrea Ghira, alle porte di Villa Moresca. «Alla festa si va dopo, intanto stiamo un po’ qui» le dissero, ma, una volta entrate, le ragazze ricevettero subito avances sessuali da parte di Gianni e Angelo. Donatella e Carmen si divincolarono, e i due reagirono. Iniziavano 36 ore di inferno.
Prima mostrarono la pistola, millantando contatti col clan dei marsigliesi, organizzazione criminale nota alle cronache dell’epoca, poi le chiusero in un bagno minuscolo. Le tolsero tutto: documenti, gioielli, vestiti. Successivamente, mostrarono i sacchi dove le avrebbero messe una volta morte. Ghira coordinava la banda, emulava il suo idolo, Jacques Berenguer, il capo dei marsigliesi. Guido e Izzo le stuprarono e picchiarono, poi le richiusero nuovamente nel bagno per servirsene successivamente: Guido doveva andare ad una cena con la famiglia. La mattina seguente sopraggiunse un quarto, che si spacciava per Berenguer. Le violentarono più volte, le presero a calci, le picchiarono con una spranga di ferro.
Donatella Colasanti dichiarò: Angelo prese me, mi mise un cuscino sulla bocca e mi piantò la pistola alla nuca. Siccome mi lamentavo Gianni cominciò a picchiarmi, a darmi calci sulla schiena. Negli stessi momenti sentivo Rosaria che gridava nell’altra stanza. Angelo mi avvicinò il pene alla vagina, ma non ce la faceva. Si arrabbiò e disse a Gianni di pensarci lui. Lui rispose che non gli piacevo. Poi vidi Rosaria e Jacques uscire dalla stanza. Rosaria aveva parecchio sangue tra le gambe
Le ultime ore
Poi, nel pomeriggio del 30 settembre 1975, fecero a entrambe diverse iniezioni di un liquido rosso e le separarono. Portarono Rosaria nel bagno al piano superiore e la affogarono nella vasca da bagno.
Per Donatella Colasanti il destino era diverso: Angelo e Gianni mi legarono con una cinta di cuoio, quella dei pantaloni. Me la misero al collo e mi trascinarono per la casa. Gianni mi mise un piede sul petto, mentre tirava, tirava la cinta. Ricordo che più stringeva e più mi sentivo soffocare, la vista mi si annebbiava, vedevo tutto nero. Svenni. Avrò dormito per circa dieci minuti, mi sembrava di stare in pace, a casa mia. Quando mi risvegliai cercai di strapparmi dal collo la cinta, che mi stringeva. Ero riuscita ad allentare la stretta infilando le dita dentro il cappio. Per un attimo avevo ripreso a respirare, ma quando se ne accorsero si arrabbiarono ancora di più e cominciarono a darmi dei calci sul viso. Mi colpivano Angelo e Gianni. Jacques guardava e rideva. Gianni continuando a colpirmi diceva: «Madonna, questa non muore».
Provò a chiamare il 113 ma fu picchiata nuovamente con una spranga. Alla fine, Donatella capì che la cosa migliore era fingersi morta e fu caricata assieme a Rosaria nel bagagliaio di una 127 bianca, che parcheggiarono a Roma. Durante il viaggio si dicevano divertiti, «finalmente le abbiamo ammazzate» e «zitti, ché c’è chi dorme». Poi, i tre andarono a mangiare in un ristorante. Durante la loro assenza, Donatella picchiò sulla lamiera della macchina, finché non la sentì un ex carabiniere, che la liberò.
Il processo relativo al massacro del Circeo
Izzo e Guido furono arrestati dopo pochissimo. La mamma e il fratello di Ghira furono scoperti nella villa del Circeo, forse a ripulire la scena del crimine. Il caso divenne oggetto di discussione pubblica e il processo seguitissimo. La difesa si espresse con questi termini: «Se le ragazze fossero rimaste accanto al focolare, dove era il loro posto, se non fossero uscite di notte, se non avessero accettato di andare a casa di quei ragazzi, non sarebbe accaduto nulla». La famiglia di Lopez accettò 100 milioni dalla famiglia Guido e non si costituì parte civile. Donatella Colasanti invece testimoniò e fu difesa dall’avvocato Tina Lagostena-Bassi.
L’epilogo
Nel frattempo, Andrea Ghira era fuggito in un kibbutz israeliano, per poi arruolarsi nella Legione Straniera Spagnola. Morì a Melilla, nel 1994, con una siringa di eroina nel braccio.
Izzo e Guido, condannati all’ergastolo, ebbero diverso destino. Izzo ottenne la semilibertà nel 2005, durante la quale rapì e uccise altre due donne.
Guido invece scappò dal carcere di San Gimignano nel 1981. Fu ritrovato due anni dopo a Buenos Aires. Nel 1985 fuggì di nuovo in direzione Panama, dove divenne commerciante di auto. Dal 1994 è di nuovo in carcere.
Donatella Colasanti, diventata simbolo della lotta femminista, è morta nel 2005, 47enne, stroncata da un tumore al seno.
Il massacro del Circeo e l’Italia degli anni Settanta
Nel massacro del Circeo c’è tutta l’Italia dei “maledetti” anni Settanta. La violenza efferata, assoluta e assurda unita a vette di provincialismo incredibile (i ragazzi che fingono di essere marsigliesi, come fosse un gioco o un film). L’Italia del boom che uccide se stessa: il mito dell’italiano di successo, elegante, mangiaspaghetti si è trasformato in sadismo, in crudeltà totale, in violenza pura. L’Italia del boom è morta, è nata l’Italia contemporanea, verso cui il boom ha traghettato l’Italia rurale e ottocentesca. Il modello piccolo borghese ha invaso tutte le classi sociali, tra le quali l’unica differenza è economica, non antropologica.
La violenza ormai esercita un fascino esoterico su tutto il popolo, che nutre una curiosità morbosa per i dettagli di sangue. Anche i sottoproletari sono degradati e corrotti nell’animo tanto quanto i fascisti pariolini e sentono l’impulso della violenza pura. Pochi giorni dopo un gruppo di ragazzi sui 18 anni stupra una coetanea a Cinecittà dopo aver picchiato il suo fidanzato. Durante lo stupro le dicono «attenta, che te famo quello ch’hanno fatto a Lopez e Colasanti». Izzo, Guido e Ghira, i pariolini annoiati, sono i simboli di una generazione che ha perso la bussola culturale e valoriale, annoiata, emarginata, persa.
Una generazione che si abbandona, con picchi di autolesionismo, alle droghe più pesanti e alla violenza: rapine, stupri, attentati, omicidi, sequestri. Una generazione che non si riconosce nei valori dei padri e non riesce a crearne di autonomi, figlia del ‘68, confusa, disorientata, anarchica, in cui la vita viene vissuta intensamente fino all’ultimo respiro, oltrepassando i limiti del bene e del male, esplorando ogni dimensione, anche le più insospettabili, della propria anima. E questo ha significato avanguardie artistiche e culturali, conquiste sociali e politiche, responsabilizzazione, progresso culturale e sociale.
Ma ha significato anche, nell’immensa contraddizione dell’uomo e della storia, il massacro del Circeo, il male sviscerato, l’intima spinta alla crudeltà. Il male che attrae l’uomo come succedeva 40 anni prima nella Germania nazista, l’esperienza truce della vita. Per questo il Circeo e le facce imbelli, arroganti dei tre killer non sono solo un delitto, ma un’istantanea di una generazione, di un’epoca, di storia.
Sui fatti del massacro del Circeo è basato il film «La scuola cattolica» di Stefano Mordini, da poco uscito nelle sale italiane, tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati.