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Guglielmo Berettini, 42 anni, guardia giurata, padre. Tanto ti ammazzerò, aveva detto. Denunciato più volte, aveva con sé le bambine e le utilizza per tendere un agguato alla ex moglie. La insegue e la ammazza con sei colpi di pistola, poi si spara e muore in ospedale

Dragona (Roma), 18 Aprile 2013


Titoli & Articoli


Infermiera uccisa dall’ex marito a Roma. Il gip negò l’arresto dell’assassino (il Messaggero – 20 aprile 2013)

Maltrattava e minacciava la moglie da mesi. Ma a gennaio, nonostante la richiesta della procura, il tribunale di Roma aveva respinto l’arresto di Guglielmo Berettini, il vigilantes di 42 anni che l’altra sera ha inseguito in macchina l’ex moglie, Michela Fioretti, 41 anni, pure lei al volante, uccidendola con quattro colpi di pistola e tentando il suicidio. Poteva essere evitata, forse, la tragedia di Acilia. Meno di tre mesi fa, infatti, il pm di Roma Antonio Calaresu aveva chiesto la misura cautelare, ma il provvedimento era stato bocciato dal gip. Nel capo di imputazione il pm ripercorreva anche le minacce subite dalla donna, perseguitata per strada, in casa e anche sul posto di lavoro, al Grassi di Ostia, dove faceva l’infermiera. «Tanto ti ammazzerò. La farò pagare anche a tua madre. Sei una bastarda, non meriti niente» era il testo di uno degli sms ricevuti da Michela e mostrato alle colleghe più intime.
L’UDIENZA
Eppure nei primi giorni di gennaio il gip aveva respinto il provvedimento restrittivo escludendo anche misure alternative. Gli venivano contestati i reati di minacce e maltrattamenti in famiglia, ma non c’erano certificati medici allegati. Così Berettini, dalla fedina penale immacolata, è rimasto in libertà e con la pistola alla cintola, pronto a sparare contro l’ex moglie, come ha poi fatto, e anche di rivolgere l’arma contro di lui. Dopo aver subito un delicato intervento chirurgico, la guardia giurata della Sipro è ricoverata in condizioni gravissime al San Camillo. Se si salverà, rischia di vivere con pesanti menomazioni. Il pm Nadia Plastina e il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani, che hanno aperto un fascicolo sull’episodio, hanno disposto comunque il suo arresto per omicidio volontario. Ben due sono state le indagini condotte sui rapporti burrascosi della coppia, separatasi meno di due anni fa dopo una lunga relazione. Nel 2011 lui e lei avevano presentato esposti ai carabinieri accusandosi reciprocamente di inadempienza verso i figli minori e di minacce. Non c’erano querele ma i militari inviarono a novembre il fascicolo alla Procura che archiviò. A maggio 2012 le sfuriate sono riprese e a occuparsi stavolta è stato il Commissariato di polizia Lido che ha inoltrato la pratica al pm Calaresu.
LA COMMOZIONE
L’uccisione di Michela Fioretti ha suscitato profonda commozione nei colleghi dell’ospedale di Ostia che, all’ingresso del reparto di Dialisi dove l’infermiera lavorava, hanno affisso uno striscione con scritto «Michela mai più denunce inascoltate». Un orrore, quello della sua morte, che ha spinto un gruppo di donne di Ostia a convocare il flash mob «Rompiamo il silenzio, un fiore per Michela e le altre» per domani, alle ore 10,30, al Pontile. «Per dire basta alla violenza di genere sulle donne – è l’invito – portate fischietti e tamburi per rompere il silenzio. E tenete in mano un fiore, uno per ogni donna morta ammazzata». La prima ricognizione medico-legale sul corpo di Michela, riferisce che è stata raggiunta da quattro colpi di pistola calibro 9×21: due all’emitorace sinistro sono fuoriusciti dall’addome, uno all’avambraccio sinistro ed uno al collo. Conclusa l’autopsia, prevista al policlinico Tor Vergata, verrà allestita la camera mortuaria in ospedale e i pazienti di dialisi hanno chiesto di sospendere le attività durante i funerali. Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti ha promesso aiuti alle due figlie di Michela, di appena 6 e 10 anni, già seguite insieme con i nonni dall’equipe di psicologi del Grassi.

Uccide ex moglie, lei l’aveva denunciato 3 volte (TgCom – 20 aprile 2013)
A gennaio la Procura di Roma aveva chiesto lʼarresto dellʼuomo, ma il gip si era opposto. Giovedì sera il delitto, ad Acilia
Guglielmo Berettini, il 42enne che giovedì sera ad Acilia, in provincia di Roma, ha ucciso l’ex moglie Michela Fioretti, era stato denunciato tre volte dalla donna tra il 2011 e il 2012. E il 9 gennaio la Procura capitolina aveva chiesto che l’uomo venisse messo agli arresti domiciliari. Ma il gip aveva detto no per via del “quadro indiziario non convincente”. Così ora, dopo l’omicidio, è polemica: il delitto, forse, si sarebbe potuto evitare.
Michela Fioretti, racconta “la Repubblica”, aveva scritto ai magistrati la prima volta il 14 dicembre 2011, e poi ancora il 10 febbraio 2012, raccontando di minacce, pestaggi, insulti e pedinamenti da parte dell’ex marito. Infine, a un anno esatto dalla prima denuncia, era tornata a chiedere aiuto il 14 dicembre 2012, dopo che le prime due richieste erano state archiviate perché mancavano le prove dei maltrattamenti.
A dicembre, quindi, Michela Fioretti aveva presentato una denuncia dettagliata, raccontando di minacce precise (“Se ci separiamo dovrai girare con la scorta, se vuoi restare viva”) confermate anche da quattro testimoni. Minacce che però il gip ha giudicato non essere così chiare. Così a Giuglielmo Berettini, guardia giurata, non è nemmeno stato revocato il porto d’armi. E lui quell’arma che portava al fianco per lavoro l’ha usata per uccidere la madre delle sue due figlie.

 

Infermiera uccisa dall’ex marito a Roma. Il gip negò l’arresto dell’assassino (il Messaggero – 20 aprile 2013)
Maltrattava e minacciava la moglie da mesi. Ma a gennaio, nonostante la richiesta della procura, il tribunale di Roma aveva respinto l’arresto di Guglielmo Berettini, il vigilantes di 42 anni che l’altra sera ha inseguito in macchina l’ex moglie, Michela Fioretti, 41 anni, pure lei al volante, uccidendola con quattro colpi di pistola e tentando il suicidio. Poteva essere evitata, forse, la tragedia di Acilia. Meno di tre mesi fa, infatti, il pm di Roma Antonio Calaresu aveva chiesto la misura cautelare, ma il provvedimento era stato bocciato dal gip. Nel capo di imputazione il pm ripercorreva anche le minacce subite dalla donna, perseguitata per strada, in casa e anche sul posto di lavoro, al Grassi di Ostia, dove faceva l’infermiera. «Tanto ti ammazzerò. La farò pagare anche a tua madre. Sei una bastarda, non meriti niente» era il testo di uno degli sms ricevuti da Michela e mostrato alle colleghe più intime.
L’UDIENZA
Eppure nei primi giorni di gennaio il gip aveva respinto il provvedimento restrittivo escludendo anche misure alternative. Gli venivano contestati i reati di minacce e maltrattamenti in famiglia, ma non c’erano certificati medici allegati. Così Berettini, dalla fedina penale immacolata, è rimasto in libertà e con la pistola alla cintola, pronto a sparare contro l’ex moglie, come ha poi fatto, e anche di rivolgere l’arma contro di lui. Dopo aver subito un delicato intervento chirurgico, la guardia giurata della Sipro è ricoverata in condizioni gravissime al San Camillo. Se si salverà, rischia di vivere con pesanti menomazioni. Il pm Nadia Plastina e il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani, che hanno aperto un fascicolo sull’episodio, hanno disposto comunque il suo arresto per omicidio volontario. Ben due sono state le indagini condotte sui rapporti burrascosi della coppia, separatasi meno di due anni fa dopo una lunga relazione. Nel 2011 lui e lei avevano presentato esposti ai carabinieri accusandosi reciprocamente di inadempienza verso i figli minori e di minacce. Non c’erano querele ma i militari inviarono a novembre il fascicolo alla Procura che archiviò. A maggio 2012 le sfuriate sono riprese e a occuparsi stavolta è stato il Commissariato di polizia Lido che ha inoltrato la pratica al pm Calaresu.
LA COMMOZIONE
L’uccisione di Michela Fioretti ha suscitato profonda commozione nei colleghi dell’ospedale di Ostia che, all’ingresso del reparto di Dialisi dove l’infermiera lavorava, hanno affisso uno striscione con scritto «Michela mai più denunce inascoltate». Un orrore, quello della sua morte, che ha spinto un gruppo di donne di Ostia a convocare il flash mob «Rompiamo il silenzio, un fiore per Michela e le altre» per domani, alle ore 10,30, al Pontile. «Per dire basta alla violenza di genere sulle donne – è l’invito – portate fischietti e tamburi per rompere il silenzio. E tenete in mano un fiore, uno per ogni donna morta ammazzata». La prima ricognizione medico-legale sul corpo di Michela, riferisce che è stata raggiunta da quattro colpi di pistola calibro 9×21: due all’emitorace sinistro sono fuoriusciti dall’addome, uno all’avambraccio sinistro ed uno al collo. Conclusa l’autopsia, prevista al policlinico Tor Vergata, verrà allestita la camera mortuaria in ospedale e i pazienti di dialisi hanno chiesto di sospendere le attività durante i funerali. Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti ha promesso aiuti alle due figlie di Michela, di appena 6 e 10 anni, già seguite insieme con i nonni dall’equipe di psicologi del Grassi.

 

Infermiera uccisa dall’ex marito a Roma il gip negò l’arresto dell’assassino (la Gazzetta – 22 aprile 2013)
Maltrattava e minacciava la moglie da mesi. Ma a gennaio, nonostante la richiesta della procura, il tribunale di Roma aveva respinto l’arresto di Guglielmo Berettini, il vigilantes di 42 anni che l’altra sera ha inseguito in macchina l’ex moglie, Michela Fioretti, 41 anni, pure lei al volante, uccidendola con quattro colpi di pistola e tentando il suicidio. Poteva essere evitata, forse, la tragedia di Acilia. Meno di tre mesi fa, infatti, il pm di Roma Antonio Calaresu aveva chiesto la misura cautelare, ma il provvedimento era stato bocciato dal gip. Nel capo di imputazione il pm ripercorreva anche le minacce subite dalla donna, perseguitata per strada, in casa e anche sul posto di lavoro, al Grassi di Ostia, dove faceva l’infermiera. «Tanto ti ammazzerò. La farò pagare anche a tua madre. Sei una bastarda, non meriti niente» era il testo di uno degli sms ricevuti da Michela e mostrato alle colleghe più intime.
L’UDIENZA Eppure nei primi giorni di gennaio il gip aveva respinto il provvedimento restrittivo escludendo anche misure alternative. Gli venivano contestati i reati di minacce e maltrattamenti in famiglia, ma non c’erano certificati medici allegati. Così Berettini, dalla fedina penale immacolata, è rimasto in libertà e con la pistola alla cintola, pronto a sparare contro l’ex moglie, come ha poi fatto, e anche di rivolgere l’arma contro di lui. Dopo aver subito un delicato intervento chirurgico, la guardia giurata della Sipro è ricoverata in condizioni gravissime al San Camillo. Se si salverà, rischia di vivere con pesanti menomazioni. Il pm Nadia Plastina e il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani, che hanno aperto un fascicolo sull’episodio, hanno disposto comunque il suo arresto per omicidio volontario. Ben due sono state le indagini condotte sui rapporti burrascosi della coppia, separatasi meno di due anni fa dopo una lunga relazione. Nel 2011 lui e lei avevano presentato esposti ai carabinieri accusandosi reciprocamente di inadempienza verso i figli minori e di minacce. Non c’erano querele ma i militari inviarono a novembre il fascicolo alla Procura che archiviò. A maggio 2012 le sfuriate sono riprese e a occuparsi stavolta è stato il Commissariato di polizia Lido che ha inoltrato la pratica al pm Calaresu.
LA COMMOZIONE L’uccisione di Michela Fioretti ha suscitato profonda commozione nei colleghi dell’ospedale di Ostia che, all’ingresso del reparto di Dialisi dove l’infermiera lavorava, hanno affisso uno striscione con scritto «Michela mai più denunce inascoltate». Un orrore, quello della sua morte, che ha spinto un gruppo di donne di Ostia a convocare il flash mob «Rompiamo il silenzio, un fiore per Michela e le altre» per domani, alle ore 10,30, al Pontile. «Per dire basta alla violenza di genere sulle donne – è l’invito – portate fischietti e tamburi per rompere il silenzio. E tenete in mano un fiore, uno per ogni donna morta ammazzata». La prima ricognizione medico-legale sul corpo di Michela, riferisce che è stata raggiunta da quattro colpi di pistola calibro 9×21: due all’emitorace sinistro sono fuoriusciti dall’addome, uno all’avambraccio sinistro ed uno al collo. Conclusa l’autopsia, prevista al policlinico Tor Vergata, verrà allestita la camera mortuaria in ospedale e i pazienti di dialisi hanno chiesto di sospendere le attività durante i funerali. Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti ha promesso aiuti alle due figlie di Michela, di appena 6 e 10 anni, già seguite insieme con i nonni dall’equipe di psicologi del Grassi.


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In memoria di

Uccide ex moglie, lei l’aveva denunciato 3 volte (TgCom – 20 aprile 2013)
A gennaio la Procura di Roma aveva chiesto lʼarresto dellʼuomo, ma il gip si era opposto. Giovedì sera il delitto, ad Acilia
Guglielmo Berettini, il 42enne che giovedì sera ad Acilia, in provincia di Roma, ha ucciso l’ex moglie Michela Fioretti, era stato denunciato tre volte dalla donna tra il 2011 e il 2012. E il 9 gennaio la Procura capitolina aveva chiesto che l’uomo venisse messo agli arresti domiciliari. Ma il gip aveva detto no per via del “quadro indiziario non convincente”. Così ora, dopo l’omicidio, è polemica: il delitto, forse, si sarebbe potuto evitare.
Michela Fioretti, racconta “la Repubblica”, aveva scritto ai magistrati la prima volta il 14 dicembre 2011, e poi ancora il 10 febbraio 2012, raccontando di minacce, pestaggi, insulti e pedinamenti da parte dell’ex marito. Infine, a un anno esatto dalla prima denuncia, era tornata a chiedere aiuto il 14 dicembre 2012, dopo che le prime due richieste erano state archiviate perché mancavano le prove dei maltrattamenti.
A dicembre, quindi, Michela Fioretti aveva presentato una denuncia dettagliata, raccontando di minacce precise (“Se ci separiamo dovrai girare con la scorta, se vuoi restare viva”) confermate anche da quattro testimoni. Minacce che però il gip ha giudicato non essere così chiare. Così a Giuglielmo Berettini, guardia giurata, non è nemmeno stato revocato il porto d’armi. E lui quell’arma che portava al fianco per lavoro l’ha usata per uccidere la madre delle sue due figlie.

 

Infermiera uccisa dall’ex marito a Roma. Il gip negò l’arresto dell’assassino (il Messaggero – 20 aprile 2013)
Maltrattava e minacciava la moglie da mesi. Ma a gennaio, nonostante la richiesta della procura, il tribunale di Roma aveva respinto l’arresto di Guglielmo Berettini, il vigilantes di 42 anni che l’altra sera ha inseguito in macchina l’ex moglie, Michela Fioretti, 41 anni, pure lei al volante, uccidendola con quattro colpi di pistola e tentando il suicidio. Poteva essere evitata, forse, la tragedia di Acilia. Meno di tre mesi fa, infatti, il pm di Roma Antonio Calaresu aveva chiesto la misura cautelare, ma il provvedimento era stato bocciato dal gip. Nel capo di imputazione il pm ripercorreva anche le minacce subite dalla donna, perseguitata per strada, in casa e anche sul posto di lavoro, al Grassi di Ostia, dove faceva l’infermiera. «Tanto ti ammazzerò. La farò pagare anche a tua madre. Sei una bastarda, non meriti niente» era il testo di uno degli sms ricevuti da Michela e mostrato alle colleghe più intime.
L’UDIENZA
Eppure nei primi giorni di gennaio il gip aveva respinto il provvedimento restrittivo escludendo anche misure alternative. Gli venivano contestati i reati di minacce e maltrattamenti in famiglia, ma non c’erano certificati medici allegati. Così Berettini, dalla fedina penale immacolata, è rimasto in libertà e con la pistola alla cintola, pronto a sparare contro l’ex moglie, come ha poi fatto, e anche di rivolgere l’arma contro di lui. Dopo aver subito un delicato intervento chirurgico, la guardia giurata della Sipro è ricoverata in condizioni gravissime al San Camillo. Se si salverà, rischia di vivere con pesanti menomazioni. Il pm Nadia Plastina e il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani, che hanno aperto un fascicolo sull’episodio, hanno disposto comunque il suo arresto per omicidio volontario. Ben due sono state le indagini condotte sui rapporti burrascosi della coppia, separatasi meno di due anni fa dopo una lunga relazione. Nel 2011 lui e lei avevano presentato esposti ai carabinieri accusandosi reciprocamente di inadempienza verso i figli minori e di minacce. Non c’erano querele ma i militari inviarono a novembre il fascicolo alla Procura che archiviò. A maggio 2012 le sfuriate sono riprese e a occuparsi stavolta è stato il Commissariato di polizia Lido che ha inoltrato la pratica al pm Calaresu.
LA COMMOZIONE
L’uccisione di Michela Fioretti ha suscitato profonda commozione nei colleghi dell’ospedale di Ostia che, all’ingresso del reparto di Dialisi dove l’infermiera lavorava, hanno affisso uno striscione con scritto «Michela mai più denunce inascoltate». Un orrore, quello della sua morte, che ha spinto un gruppo di donne di Ostia a convocare il flash mob «Rompiamo il silenzio, un fiore per Michela e le altre» per domani, alle ore 10,30, al Pontile. «Per dire basta alla violenza di genere sulle donne – è l’invito – portate fischietti e tamburi per rompere il silenzio. E tenete in mano un fiore, uno per ogni donna morta ammazzata». La prima ricognizione medico-legale sul corpo di Michela, riferisce che è stata raggiunta da quattro colpi di pistola calibro 9×21: due all’emitorace sinistro sono fuoriusciti dall’addome, uno all’avambraccio sinistro ed uno al collo. Conclusa l’autopsia, prevista al policlinico Tor Vergata, verrà allestita la camera mortuaria in ospedale e i pazienti di dialisi hanno chiesto di sospendere le attività durante i funerali. Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti ha promesso aiuti alle due figlie di Michela, di appena 6 e 10 anni, già seguite insieme con i nonni dall’equipe di psicologi del Grassi.

 

Infermiera uccisa dall’ex marito a Roma il gip negò l’arresto dell’assassino (la Gazzetta – 22 aprile 2013)
Maltrattava e minacciava la moglie da mesi. Ma a gennaio, nonostante la richiesta della procura, il tribunale di Roma aveva respinto l’arresto di Guglielmo Berettini, il vigilantes di 42 anni che l’altra sera ha inseguito in macchina l’ex moglie, Michela Fioretti, 41 anni, pure lei al volante, uccidendola con quattro colpi di pistola e tentando il suicidio. Poteva essere evitata, forse, la tragedia di Acilia. Meno di tre mesi fa, infatti, il pm di Roma Antonio Calaresu aveva chiesto la misura cautelare, ma il provvedimento era stato bocciato dal gip. Nel capo di imputazione il pm ripercorreva anche le minacce subite dalla donna, perseguitata per strada, in casa e anche sul posto di lavoro, al Grassi di Ostia, dove faceva l’infermiera. «Tanto ti ammazzerò. La farò pagare anche a tua madre. Sei una bastarda, non meriti niente» era il testo di uno degli sms ricevuti da Michela e mostrato alle colleghe più intime.
L’UDIENZA Eppure nei primi giorni di gennaio il gip aveva respinto il provvedimento restrittivo escludendo anche misure alternative. Gli venivano contestati i reati di minacce e maltrattamenti in famiglia, ma non c’erano certificati medici allegati. Così Berettini, dalla fedina penale immacolata, è rimasto in libertà e con la pistola alla cintola, pronto a sparare contro l’ex moglie, come ha poi fatto, e anche di rivolgere l’arma contro di lui. Dopo aver subito un delicato intervento chirurgico, la guardia giurata della Sipro è ricoverata in condizioni gravissime al San Camillo. Se si salverà, rischia di vivere con pesanti menomazioni. Il pm Nadia Plastina e il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani, che hanno aperto un fascicolo sull’episodio, hanno disposto comunque il suo arresto per omicidio volontario. Ben due sono state le indagini condotte sui rapporti burrascosi della coppia, separatasi meno di due anni fa dopo una lunga relazione. Nel 2011 lui e lei avevano presentato esposti ai carabinieri accusandosi reciprocamente di inadempienza verso i figli minori e di minacce. Non c’erano querele ma i militari inviarono a novembre il fascicolo alla Procura che archiviò. A maggio 2012 le sfuriate sono riprese e a occuparsi stavolta è stato il Commissariato di polizia Lido che ha inoltrato la pratica al pm Calaresu.
LA COMMOZIONE L’uccisione di Michela Fioretti ha suscitato profonda commozione nei colleghi dell’ospedale di Ostia che, all’ingresso del reparto di Dialisi dove l’infermiera lavorava, hanno affisso uno striscione con scritto «Michela mai più denunce inascoltate». Un orrore, quello della sua morte, che ha spinto un gruppo di donne di Ostia a convocare il flash mob «Rompiamo il silenzio, un fiore per Michela e le altre» per domani, alle ore 10,30, al Pontile. «Per dire basta alla violenza di genere sulle donne – è l’invito – portate fischietti e tamburi per rompere il silenzio. E tenete in mano un fiore, uno per ogni donna morta ammazzata». La prima ricognizione medico-legale sul corpo di Michela, riferisce che è stata raggiunta da quattro colpi di pistola calibro 9×21: due all’emitorace sinistro sono fuoriusciti dall’addome, uno all’avambraccio sinistro ed uno al collo. Conclusa l’autopsia, prevista al policlinico Tor Vergata, verrà allestita la camera mortuaria in ospedale e i pazienti di dialisi hanno chiesto di sospendere le attività durante i funerali. Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti ha promesso aiuti alle due figlie di Michela, di appena 6 e 10 anni, già seguite insieme con i nonni dall’equipe di psicologi del Grassi.

 

 

Sul femminicidio lo sdegno non basta. E ora verifichiamo se chi doveva proteggere Michela Fioretti non l’ha fatto (Fabio Roia, Magistrato) (Corriere della Sera 27ma Ora – 23 aprile 2013)
Altrimenti la formazione, i convegni, i libri diventano solo espressione di conformismo. Persino fastidioso
Se fosse vero, come riferiscono gli organi di informazione, che Michela Fioretti, prima di essere trucidata dal solito ex uomo, aveva denunciato la situazione di pericolo in cui si trovava, ricevendo come risposta frasi banali e irresponsabili dagli organi preposti alla sua tutela (non c’è nulla da fare), allora occorrerebbe intervenire con estrema decisione per verificare se chi aveva il dovere di proteggere la donna non l’ha fatto e per quale motivi.
Bisogna, in altre parole, accertare se qualche operatore di giustizia abbia in maniera superficiale trattato un caso che poteva presentare rischi di progressione di violenza per Michela Fioretti non applicando quegli strumenti di tutela che, oggi, la normativa italiana sul maltrattamento e sullo stalking prevede.

Siano essi poliziotti o magistrati.

Esistono infatti consistenti interventi culturali, realizzati su tutto il territorio nazionale, per sensibilizzare e formare chi deve gestire un caso di violenza domestica e che hanno come obiettivo primario quello di selezionare la vicenda personale, rispetto alla massa di carte che investono il sistema giudiziario, proprio per consentire una potenziale valutazione di rischio per la parte lesa e quindi l’adozione di misure di protezione a sua tutela.
Si tratta di forti investimenti di risorse che servono per formare una rete protettiva che deve tuttavia funzionare quando si affrontano casi, come quello di Michela Fioretti, che appaiono dotati di potenzialità di rischio decisamente alte.

Non è accettabile che la superficialità o la sciatteria di qualche operatore giudiziario renda superfluo il meccanismo protettivo realizzato, che a Roma peraltro presenta una storia ed una tradizione importante, e porti a trattare casi drammatici come quando accadeva qualche anno fa’ quando ci si limitava ad alzare le braccia e a dire sono bisticci familiari.

E’ necessario, in presenza di ogni evento gravemente lesivo o drammaticamente terminale, che, senza senso di protezione corporativa e con la consapevolezza che la valutazione del rischio in casi come quelli di Michela è un’operazione a volte estremamente complessa, che la magistratura inquirente e gli organi preposti alla vigilanza sulle condotte professionali degli stessi magistrati, verifichino se vi sia stata una sottovalutazione negligente della vicenda – per esempio viene spontaneo chiedersi perché un presunto stalker detenesse un’arma- oppure se un simile evento non poteva essere previsto o controllato.

Oltre alla solita ritualità dello sdegno e dell’aggiornamento dei dati sulla mattanza femminile è doveroso, per una forma di rispetto alle vittime, accertare se qualcuno ha davvero sbagliato. Altrimenti la formazione, i convegni, i libri diventano  espressione di un conformismo persino fastidioso.