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Michela Fioretti, 41 anni, infermiera, mamma. Attirata in una trappola dall’ex marito che ha utilizzato le figlie come esca, inseguita e uccisa a colpi di pistola, dopo anni di denunce

Dragona (Roma), 18 Aprile 2013


Titoli & Articoli

Acilia: uccide la moglie dopo inseguimento. In passato denunce per maltrattamenti (Roma Today – 19 aprile 2013)
L’inseguimento in auto ieri sera sui ponti di Acilia. L’uomo ha poi tentato il suicidio ed è ricoverato grave in ospedale. Hanno due figlie di 6 e 10 anni
Una corsa folle finita nel sangue. Lui su una Punto, lei su una Yaris, lungo i ponti di Acilia. Lui la affianca, la tampona costringendola a fermarsi e, dal finestrino, spara sei colpi di pistola. Inutili i soccorsi, lei muore e lui, pochi metri più in là, senza scendere dall’auto, si spara alla tempia. Vano il suicidio, il proiettile trapassa il cranio ma l’uomo rimane in vita, seppur gravissimo, all’ospedale San Camillo dopo un intervento chirurgico al cervello. A dare l’allarme è stato un automobilista che li precedeva e che ha assistito all’agguato. Del caso si stanno occupando i carabinieri di Ostia.
L’omicidio si è consumato ieri sera intorno alle 20 sul viadotto Zelia Nuttal, la strada di collegamento tra Dragona e Acilia Sud. Il killer di sua moglie, Guglielmo Berettini, romano di 42 anni, è un’ex guardia giurata e ha ucciso la donna con la sua pistola d’ordinanza. La vittima, Michela Fioretti, coetanea, era infermiera all’ospedale Grassi. Avevano due figlie piccole di 6 e 10 anni e una storia familiare costellata di denunce per maltrattamenti e una causa di divorzio in corso. Insomma, per qualcuno, una tragedia “annunciata”.
(di Lorenzo Nicolini e Ginevra Nozzoli)

 

Uccisa sul viadotto, la figlia usata come esca (Il Tempo – 20 aprile 2013)
Ha fatto chiamare l’ex moglie dalla loro primogenita perché uscisse prima dal lavoro. Così, dopo aver lasciato ai propri genitori entrambe le figlie di 6 e 11 anni, è uscito armato della sua pistola d’ordinanza salendo al volante di quella Fiat Punto grigia, chiesta in prestito al padre per non essere riconosciuto. «Se non le avessi telefonato, mamma sarebbe ancora viva. È colpa mia, tutta colpa mia», si disperava a poche ore dall’omicidio di Michela Fioretti la piccola Aurora, 11 anni appena.
È lei, convinta dal padre a fare quella telefonata, l’inconsapevole tramite di una vendetta studiata nei minimi particolari. Guglielmo Berettini, 42 anni guardia giurata a Roma Nord, quel maledetto giovedì pomeriggio era insieme alle due bambine mentre l’ex moglie, 41 anni infermiera nel reparto Dialisi del Grassi, stava ormai terminando il suo turno. Voleva sorprenderla nel viaggio di ritorno verso casa. Per questo, salito in macchina con la pistola calibro 9×21 accanto, si è appostato sulla rampa del Viadotto Zelia Nuttal pronto a compiere il proprio disegno. «Intorno alle 18,45 – racconta Mauro, infermiere nello stesso reparto di Michela e suo grande amico – ha ricevuto la telefonata della figlia più grande, in quel momento insieme al padre. Mi ha detto che sarebbe uscita prima, per andare a prendere le bambine che volevano tornare a casa ed è andata via».
Arrivata ai ponti che collegano Acilia con Dragona, è stata bloccata dall’ex marito. Hanno discusso, ognuno a bordo della propria auto, e poi quando lei è ripartita l’ha inseguita chiudendola in trappola per spararle quattro proiettili, uno sul collo, uno sull’avambraccio e due all’addome. Certo di averla uccisa, è quindi ripartito fermandosi cinquanta metri più avanti: è stato a quel punto che è sceso per spararsi il colpo che gli ha trapassato la testa. Il culmine di due anni di violenze, minacce, discussioni tutte denunciate reciprocamente ai carabinieri e ai poliziotti del territorio dopo la separazione avvenuta nel 2011.
«Ultimamente la situazione tra loro era diventata più tesa – racconta un amico della vittima – litigavano spesso ma da quando le figlie di Michela hanno iniziato ad apprezzare quasi più Italo (l’uomo e collega con il quale l’ex moglie aveva iniziato una relazione circa un anno fa), Guglielmo ha perso la testa. Deve essere stata la gelosia – prosegue – a far scattare in lui il raptus omicida».
«Quando i genitori di Michela sono venuti qui in ospedale insieme alle nipotine – racconta Carla, la caposala di Dialisi distrutta dal dolore – la più grande mi chiedeva se non fosse colpa sua. “Ho chiamato io mamma – continuava a ripetere – se non fosse venuta a prenderci non sarebbe morta”. Piangevano entrambe, Gaia e Aurora, ma era come se non realizzassero in pieno quanto accaduto. “Mamma verrà alla mia comunione?”, chiedeva una, “E al concerto dei Modà ci accompagnerà?”». Intanto, mentre il padre ha superato l’operazione al cervello e – accusato di omicidio – è in gravi condizioni al San Camillo, la salma di Michela è stata portata al policlinico di Tor Vergata dove il fratello della vittima si è recato per il riconoscimento. L’autopsia è prevista per oggi, al più tardi lunedì. Composto e quasi rassegnato al dolore il padre di Michela: «Pagherà nella giusta sede» si è limitato a dire dell’ex genero. «Non posso neanche piangere mia figlia» ha detto invece la mamma, alla quale adesso sono state affidate entrambe le bambine.

Uccide ex moglie, lei l’aveva denunciato 3 volte (TgCom – 20 aprile 2013)
A gennaio la Procura di Roma aveva chiesto lʼarresto dellʼuomo, ma il gip si era opposto. Giovedì sera il delitto, ad Acilia
Guglielmo Berettini, il 42enne che giovedì sera ad Acilia, in provincia di Roma, ha ucciso l’ex moglie Michela Fioretti, era stato denunciato tre volte dalla donna tra il 2011 e il 2012. E il 9 gennaio la Procura capitolina aveva chiesto che l’uomo venisse messo agli arresti domiciliari. Ma il gip aveva detto no per via del “quadro indiziario non convincente”. Così ora, dopo l’omicidio, è polemica: il delitto, forse, si sarebbe potuto evitare.
Michela Fioretti, racconta “la Repubblica”, aveva scritto ai magistrati la prima volta il 14 dicembre 2011, e poi ancora il 10 febbraio 2012, raccontando di minacce, pestaggi, insulti e pedinamenti da parte dell’ex marito. Infine, a un anno esatto dalla prima denuncia, era tornata a chiedere aiuto il 14 dicembre 2012, dopo che le prime due richieste erano state archiviate perché mancavano le prove dei maltrattamenti.
A dicembre, quindi, Michela Fioretti aveva presentato una denuncia dettagliata, raccontando di minacce precise (“Se ci separiamo dovrai girare con la scorta, se vuoi restare viva”) confermate anche da quattro testimoni. Minacce che però il gip ha giudicato non essere così chiare. Così a Giuglielmo Berettini, guardia giurata, non è nemmeno stato revocato il porto d’armi. E lui quell’arma che portava al fianco per lavoro l’ha usata per uccidere la madre delle sue due figlie.

 

Infermiera uccisa dall’ex marito a Roma. Il gip negò l’arresto dell’assassino (il Messaggero – 20 aprile 2013)
Maltrattava e minacciava la moglie da mesi. Ma a gennaio, nonostante la richiesta della procura, il tribunale di Roma aveva respinto l’arresto di Guglielmo Berettini, il vigilantes di 42 anni che l’altra sera ha inseguito in macchina l’ex moglie, Michela Fioretti, 41 anni, pure lei al volante, uccidendola con quattro colpi di pistola e tentando il suicidio. Poteva essere evitata, forse, la tragedia di Acilia. Meno di tre mesi fa, infatti, il pm di Roma Antonio Calaresu aveva chiesto la misura cautelare, ma il provvedimento era stato bocciato dal gip. Nel capo di imputazione il pm ripercorreva anche le minacce subite dalla donna, perseguitata per strada, in casa e anche sul posto di lavoro, al Grassi di Ostia, dove faceva l’infermiera. «Tanto ti ammazzerò. La farò pagare anche a tua madre. Sei una bastarda, non meriti niente» era il testo di uno degli sms ricevuti da Michela e mostrato alle colleghe più intime.
L’UDIENZA
Eppure nei primi giorni di gennaio il gip aveva respinto il provvedimento restrittivo escludendo anche misure alternative. Gli venivano contestati i reati di minacce e maltrattamenti in famiglia, ma non c’erano certificati medici allegati. Così Berettini, dalla fedina penale immacolata, è rimasto in libertà e con la pistola alla cintola, pronto a sparare contro l’ex moglie, come ha poi fatto, e anche di rivolgere l’arma contro di lui. Dopo aver subito un delicato intervento chirurgico, la guardia giurata della Sipro è ricoverata in condizioni gravissime al San Camillo. Se si salverà, rischia di vivere con pesanti menomazioni. Il pm Nadia Plastina e il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani, che hanno aperto un fascicolo sull’episodio, hanno disposto comunque il suo arresto per omicidio volontario. Ben due sono state le indagini condotte sui rapporti burrascosi della coppia, separatasi meno di due anni fa dopo una lunga relazione. Nel 2011 lui e lei avevano presentato esposti ai carabinieri accusandosi reciprocamente di inadempienza verso i figli minori e di minacce. Non c’erano querele ma i militari inviarono a novembre il fascicolo alla Procura che archiviò. A maggio 2012 le sfuriate sono riprese e a occuparsi stavolta è stato il Commissariato di polizia Lido che ha inoltrato la pratica al pm Calaresu.
LA COMMOZIONE
L’uccisione di Michela Fioretti ha suscitato profonda commozione nei colleghi dell’ospedale di Ostia che, all’ingresso del reparto di Dialisi dove l’infermiera lavorava, hanno affisso uno striscione con scritto «Michela mai più denunce inascoltate». Un orrore, quello della sua morte, che ha spinto un gruppo di donne di Ostia a convocare il flash mob «Rompiamo il silenzio, un fiore per Michela e le altre» per domani, alle ore 10,30, al Pontile. «Per dire basta alla violenza di genere sulle donne – è l’invito – portate fischietti e tamburi per rompere il silenzio. E tenete in mano un fiore, uno per ogni donna morta ammazzata». La prima ricognizione medico-legale sul corpo di Michela, riferisce che è stata raggiunta da quattro colpi di pistola calibro 9×21: due all’emitorace sinistro sono fuoriusciti dall’addome, uno all’avambraccio sinistro ed uno al collo. Conclusa l’autopsia, prevista al policlinico Tor Vergata, verrà allestita la camera mortuaria in ospedale e i pazienti di dialisi hanno chiesto di sospendere le attività durante i funerali. Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti ha promesso aiuti alle due figlie di Michela, di appena 6 e 10 anni, già seguite insieme con i nonni dall’equipe di psicologi del Grassi.

 

Infermiera uccisa dall’ex marito a Roma il gip negò l’arresto dell’assassino (la Gazzetta – 22 aprile 2013)
Maltrattava e minacciava la moglie da mesi. Ma a gennaio, nonostante la richiesta della procura, il tribunale di Roma aveva respinto l’arresto di Guglielmo Berettini, il vigilantes di 42 anni che l’altra sera ha inseguito in macchina l’ex moglie, Michela Fioretti, 41 anni, pure lei al volante, uccidendola con quattro colpi di pistola e tentando il suicidio. Poteva essere evitata, forse, la tragedia di Acilia. Meno di tre mesi fa, infatti, il pm di Roma Antonio Calaresu aveva chiesto la misura cautelare, ma il provvedimento era stato bocciato dal gip. Nel capo di imputazione il pm ripercorreva anche le minacce subite dalla donna, perseguitata per strada, in casa e anche sul posto di lavoro, al Grassi di Ostia, dove faceva l’infermiera. «Tanto ti ammazzerò. La farò pagare anche a tua madre. Sei una bastarda, non meriti niente» era il testo di uno degli sms ricevuti da Michela e mostrato alle colleghe più intime.
L’UDIENZA Eppure nei primi giorni di gennaio il gip aveva respinto il provvedimento restrittivo escludendo anche misure alternative. Gli venivano contestati i reati di minacce e maltrattamenti in famiglia, ma non c’erano certificati medici allegati. Così Berettini, dalla fedina penale immacolata, è rimasto in libertà e con la pistola alla cintola, pronto a sparare contro l’ex moglie, come ha poi fatto, e anche di rivolgere l’arma contro di lui. Dopo aver subito un delicato intervento chirurgico, la guardia giurata della Sipro è ricoverata in condizioni gravissime al San Camillo. Se si salverà, rischia di vivere con pesanti menomazioni. Il pm Nadia Plastina e il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani, che hanno aperto un fascicolo sull’episodio, hanno disposto comunque il suo arresto per omicidio volontario. Ben due sono state le indagini condotte sui rapporti burrascosi della coppia, separatasi meno di due anni fa dopo una lunga relazione. Nel 2011 lui e lei avevano presentato esposti ai carabinieri accusandosi reciprocamente di inadempienza verso i figli minori e di minacce. Non c’erano querele ma i militari inviarono a novembre il fascicolo alla Procura che archiviò. A maggio 2012 le sfuriate sono riprese e a occuparsi stavolta è stato il Commissariato di polizia Lido che ha inoltrato la pratica al pm Calaresu.
LA COMMOZIONE L’uccisione di Michela Fioretti ha suscitato profonda commozione nei colleghi dell’ospedale di Ostia che, all’ingresso del reparto di Dialisi dove l’infermiera lavorava, hanno affisso uno striscione con scritto «Michela mai più denunce inascoltate». Un orrore, quello della sua morte, che ha spinto un gruppo di donne di Ostia a convocare il flash mob «Rompiamo il silenzio, un fiore per Michela e le altre» per domani, alle ore 10,30, al Pontile. «Per dire basta alla violenza di genere sulle donne – è l’invito – portate fischietti e tamburi per rompere il silenzio. E tenete in mano un fiore, uno per ogni donna morta ammazzata». La prima ricognizione medico-legale sul corpo di Michela, riferisce che è stata raggiunta da quattro colpi di pistola calibro 9×21: due all’emitorace sinistro sono fuoriusciti dall’addome, uno all’avambraccio sinistro ed uno al collo. Conclusa l’autopsia, prevista al policlinico Tor Vergata, verrà allestita la camera mortuaria in ospedale e i pazienti di dialisi hanno chiesto di sospendere le attività durante i funerali. Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti ha promesso aiuti alle due figlie di Michela, di appena 6 e 10 anni, già seguite insieme con i nonni dall’equipe di psicologi del Grassi.

 

 

Sul femminicidio lo sdegno non basta. E ora verifichiamo se chi doveva proteggere Michela Fioretti non l’ha fatto (Fabio Roia, Magistrato) (Corriere della Sera 27ma Ora – 23 aprile 2013)
Altrimenti la formazione, i convegni, i libri diventano solo espressione di conformismo. Persino fastidioso
Se fosse vero, come riferiscono gli organi di informazione, che Michela Fioretti, prima di essere trucidata dal solito ex uomo, aveva denunciato la situazione di pericolo in cui si trovava, ricevendo come risposta frasi banali e irresponsabili dagli organi preposti alla sua tutela (non c’è nulla da fare), allora occorrerebbe intervenire con estrema decisione per verificare se chi aveva il dovere di proteggere la donna non l’ha fatto e per quale motivi.
Bisogna, in altre parole, accertare se qualche operatore di giustizia abbia in maniera superficiale trattato un caso che poteva presentare rischi di progressione di violenza per Michela Fioretti non applicando quegli strumenti di tutela che, oggi, la normativa italiana sul maltrattamento e sullo stalking prevede.

Siano essi poliziotti o magistrati.

Esistono infatti consistenti interventi culturali, realizzati su tutto il territorio nazionale, per sensibilizzare e formare chi deve gestire un caso di violenza domestica e che hanno come obiettivo primario quello di selezionare la vicenda personale, rispetto alla massa di carte che investono il sistema giudiziario, proprio per consentire una potenziale valutazione di rischio per la parte lesa e quindi l’adozione di misure di protezione a sua tutela.
Si tratta di forti investimenti di risorse che servono per formare una rete protettiva che deve tuttavia funzionare quando si affrontano casi, come quello di Michela Fioretti, che appaiono dotati di potenzialità di rischio decisamente alte.

Non è accettabile che la superficialità o la sciatteria di qualche operatore giudiziario renda superfluo il meccanismo protettivo realizzato, che a Roma peraltro presenta una storia ed una tradizione importante, e porti a trattare casi drammatici come quando accadeva qualche anno fa’ quando ci si limitava ad alzare le braccia e a dire sono bisticci familiari.

E’ necessario, in presenza di ogni evento gravemente lesivo o drammaticamente terminale, che, senza senso di protezione corporativa e con la consapevolezza che la valutazione del rischio in casi come quelli di Michela è un’operazione a volte estremamente complessa, che la magistratura inquirente e gli organi preposti alla vigilanza sulle condotte professionali degli stessi magistrati, verifichino se vi sia stata una sottovalutazione negligente della vicenda – per esempio viene spontaneo chiedersi perché un presunto stalker detenesse un’arma- oppure se un simile evento non poteva essere previsto o controllato.

Oltre alla solita ritualità dello sdegno e dell’aggiornamento dei dati sulla mattanza femminile è doveroso, per una forma di rispetto alle vittime, accertare se qualcuno ha davvero sbagliato. Altrimenti la formazione, i convegni, i libri diventano  espressione di un conformismo persino fastidioso.

 


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In memoria di

In ricordo di Michela: cerimonia per l’infermiera uccisa dal marito (Corriere della Sera – 16 aprile 2013)
A un anno di distanza dall’agguato sul cavalcavia di Dragona. L’omicida, intanto, è morto in ospedale: dopo aver ammazzato la moglie si era sparato alla testa
Un anno intero senza Michela. Le figlie Gaia e Aurora private del suo sorriso. La famiglia e gli amici della sua forza. È trascorso un anno da quando, il 18 aprile 2013, la 41enne Michela Fioretti fu uccisa dall’ex marito sul cavalcavia di Dragona, entroterra di Ostia. Lui, Guglielmo Berettini, guardia giurata, l’ha seguita con la macchina, speronata, obbligata a fermarsi. Poi si è avvicinato all’auto della moglie e le ha scaricato contro una raffica di proiettili. Una comunità intera ha dovuto interrogarsi sui suoi valori, su cosa si poteva fare per evitare quella tragedia e ancora oggi non vuole dimenticare le «sue» donne uccise. Venerdì 18 aprile, proprio nel Parco di Dragona dedicato alle vittime del femminicidio, sarà ricordata Michela ma anche Alessandra Iacullo, la 30enne uccisa due settimane dopo l’infermiera dell’ospedale Grassi.
Deceduto l’omicida. Una tragedia, quella di Michela, che forse poteva essere evitata. Come tante altre. Anni di denunce per minacce e molestie, persino la richiesta della procura, sollecitata dalla Polizia di Ostia, a fermare il persecutore, vigilantes con pistola a seguito; ma il tribunale di Roma aveva respinto l’arresto e tre mesi dopo Berettini usò la sua arma. Lui ormai non dovrà rispondere del suo gesto di fronte alla legge: è spirato lo scorso fine marzo nel suo letto dell’ospedale San Camillo, dove era ricoverato da quando, pochi minuti dopo l’omicidio della moglie, si era sparato alla testa. La sua famiglia ha voluto mantenere il riserbo anche sui funerali.
Denunce inascoltate. «Sapevamo tutti che sarebbe successo, le decine di denunce erano state inutili», Fabio Fioretti, fratello di Michela, ha un solo desiderio: che la tragedia di sua sorella non debba ripetersi per altre donne. «Purtroppo invece vedo che storie simili continuano ad accadere. – sottolinea amareggiato – Ci dicono sempre che l’importante è denunciare, ma le denunce non hanno salvato Michela. Vorrei che le istituzioni tutte si impegnassero per difendere seriamente le donne vittime di violenza. Mia sorella era una donna stupenda, piena di vita e voglia di andare avanti nonostante quello che aveva subito. Ora non potrà godersi le sue figlie, vederle crescere».
Mai più violenze. Pochi giorni dopo la morte di Michela, furono in tanti a chiedere la stessa giustizia che chiede Fabio Fioretti ancora oggi.
Il 21 aprile di un anno fa, oltre 500 persone si radunarono al Pontile di Ostia, in un flash-mob colorato da centinaia di palloncini rosa, promosso dall’associazione Punto D, per ricordare il dramma del femminicidio, per chiedere interventi seri in materia di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne. Si replicò il 1 giugno con una manifestazione intitolata «Mai più»: una data simbolica che anche quest’anno si celebrerà con una nuova mobilitazione contro le violenze di genere.
Gli aiuti promessi. All’ospedale Grassi intanto è nato lo Sportello Rosa per raccogliere le denunce delle donna maltrattate: l’associazione Punto D ha anche aperto una sede sul Lungomare Paolo Toscanelli 168 e sta già ricevendo moltissime richieste di aiuto. La comunità del X Municipio è pronta a stringersi ancora una volta intorno alla famiglia Fioretti che però aspetta a tutt’oggi gli aiuti promessi dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Si era parlato di fondi stanziati attraverso una onlus e due borse di studio per le figlie di Michela, Gaia e Aurora, 7 e 11 anni: sostegni annunciati come imminenti alla famiglia, da poco votati e approvati alla Pisana.
(di Valeria Costantini)