Loading

Gianluca Gerardo Maggioncalda, 42 anni, nullafacente. Strangola la fidanzata che lo aveva già denunciato per precedenti tentativi. Di lui non si trova nessuna immagine, anche se continua a rilasciare interviste. Condannato a 18 anni

Milano, 20 Ottobre 2014

altrafaccia

 


Titoli & Articoli

Il fidanzato assassino piange, “un errore non lasciarci”
Nella cella di San Vittore il detenuto Gianluca Maggioncalda non ha chiesto i giornali da leggere; ma nella piccola stanza, che come riferito dall’avvocato Luigi Aleramo Rossi l’assassino non divide con altri carcerati, c’è un televisore sempre acceso. Lunedì e anche martedì, seppur in misura minore, il 42enne che domenica alle 19 ha ucciso strangolando con un elastico da pacchi la fidanzata Sonia Trimboli, coetanea e compagna di droga, alcolici e risse di coppia al quarto piano di via della Commenda 28, ha guardato e ascoltato i servizi dei telegiornali sul delitto. E non si è ritrovato nelle descrizioni di un uomo violento, di un persecutore seriale.
Maggioncalda ha parlato di un «momento di follia», di un «raptus», e nel verbale riempito in Questura davanti al pm Giancarla Serafini con una confessione piena durata due ore, ha ammesso che domenica avevano bevuto, e anche parecchio, e che la violenza era esplosa di colpo, innescata o alimentata dall’abuso di vino. Nella distanza amplificata dal tempo, chiuso in prigione, isolato, Maggioncalda, dice il legale, «sta prendendo coscienza di quanto accaduto». E in lui è già maturata una convinzione: «Ripete che avrebbero dovuto lasciarsi prima ma che non ci sono riusciti» spiega il legale. Non c’era verso. Maggioncalda la cercava. E lei cercava lui. Nonostante il 28 agosto già avesse provato ad ammazzarla, sempre per strangolamento, sempre al termine di momenti caotici, di abuso di alcol e pure di cocaina, una pratica frequente nell’appartamento regalatogli dal papà, che ha un negozio dove ripara orologi, al piano terra del palazzo di via della Commenda.
Piange in cella, l’omicida, piange e si disperaall’avvocato ha domandato se per caso abbia parlato con Michele Trimboli, il papà di Sonia, o se quell’uomo piegato dalla tragedia, rintanato insieme al suo pastore maremmano nella casa al terzo piano di viale Bligny, abbia affidato qualche messaggio all’avvocato da recapitargli. No, gli ha risposto il legale, non ha domandato nulla e io non ho nulla da riferirti.
Mercoledì mattina, a San Vittore, ci sarà l’interrogatorio di convalida dell’arresto. Il detenuto Maggioncalda, ha raccontato l’avvocato, è «molto provato» e, di nuovo, è schiacciato dalle definizioni – anche dei vicini di casa – secondo cui è sempre stato un violento, un maniaco ossessionato dalla necessità di far male alle donne. E questo non è vero, insiste la difesa, anche se i precedenti sono a sfavore: il 28 agosto c’era stato l’altro episodio (il procuratore Alberto Nobili ha unificato i due fascicoli). Ma al riguardo, hanno riferito gli investigatori, quando gli è stato chiesto conto dell’accaduto, Maggioncalda ha giurato di non avere assolutamente ricordo dell’episodio, perché allora, con larga probabilità, era confuso e intontito, imbottito di sostanze stupefacenti.
Avevano discusso, l’aveva aggredita, Sonia era scappata per le scale, era corsa nell’androne di un altro palazzo. Era stata trasportata in ospedale dove le avevano curato ecchimosi e una lesione a un timpano. Il giorno dopo Sonia era andata nel commissariato Monforte-Vittoria per denunciare Maggioncalda. La denuncia non era mai stata ritratta, gli uomini del commissariato avevano indagato il fidanzato, il quale s’era subito messo sulle tracce di Sonia per avere il suo perdono, che gli era stato concesso. Altrimenti, da inizio settembre, non avrebbero condiviso tutti i fine settimana vivendo nella mansarda di via della Commenda, quartiere dove Maggioncalda era solito bighellonare, girare in bicicletta, andare dagli amici al bar e fermarsi a chiacchierare. Non lavorava, e non lavorava nemmeno Sonia, sposata e separata, senza figli, senza più la mamma morta per malattia, con un fratello che vive fuori Milano. Invano il padre di Maggioncalda aveva provato a tirarsi Gianluca in bottega e trasmettergli la passione per un mestiere, l’interesse per uno stipendio.

Strangolò la fidanzata: gup: “Fu pena di morte annunciata”
Sonia Trimboli morì strangolata con una corda elastica al culmine di una lite con il fidanzato Gianluca Gerardo Maggioncalda, il 19 ottobre dell’anno scorso. Ma il delitto assume i contorni di una “pena di morte” annunciata, in quanto la donna poche settimane prima, il 29 agosto, aveva subito un’analoga aggressione da parte dell’uomo. Lo ha messo nero su bianco il gup di Milano Anna Magelli nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 28 maggio aveva condannato Maggioncalda a 18 anni di carcere.
Sullo sfondo del delitto l’abuso di alcol e cocaina da parte della coppia, e una relazione ormai compromessa. “L’omicidio della donna per mano del suo fidanzato – scrive il giudice – è il tragico epilogo di una relazione che già era stata contrassegnata da una pregressa aggressione (…) anch’essa originata dalla gelosia che l’uomo provava nei confronti della donna, sulla quale lui avrebbe voluto esercitare un possesso ed una forma di controllo che Trimboli Sonia non accettava”. L’aggressione del 29 agosto, quindi, sembrerebbe “annunciare quanto sarebbe accaduto da lì a meno di due mesi”.
Maggioncalda, secondo il giudice, voleva “esercitare una forma di possesso esclusivo, pena la morte della donna”. Pena poi “concretamente inflittale a meno di due mesi di distanza”, strangolando Sonia Trimboli con una corda elastica al culmine di una lite scoppiata nell’appartamento per la gelosia “dovuta ai molteplici contatti” che la donna”«aveva mantenuto con altri uomini parallelamente alla relazione sentimentale intrattenuta con lui”.
Maggioncalda, sottolinea il gup Magelli, era “pienamente
capace di intendere e di volere e ben consapevole e determinato a uccidere la propria fidanzata che, successivamente al gesto omicida, ha omesso di soccorrere adeguatamente, scegliendo di non chiamare i soccorsi e di uscire di casa per prendere un pò d’aria”. Dopo l’omicidio l’uomo, infatti, si allontanò dall’appartamento e chiamò il padre chiedendo di controllare se la fidanzata stesse bene. Fu rintracciato dalla polizia in piazza Sant’Ambrogio e arrestato. L’assunzione di alcol, conclude il giudice, “scatenava” nell’uomo “gli istinti più aggressivi a fronte di una crescente fragilità della propria vittima che oltre all’alcol assumeva rilevanti dosi di psicofarmaci”. Nel processo con rito abbreviato il pm Giancarla Serafini aveva chiesto la condanna a 30 anni di carcere. Il gup ha inflitto però una pena inferiore, escludendo alcune delle aggravanti contestate all’uomo, difeso dall’avvocato Luigi Rossi Aleramo.
“SONO PENTITO” – “Sono pentitissimo dell’atto che ho commesso ai danni della mia amatissima Sonia e chiedo perdono principalmente al padre e a tutta la famiglia Trimboli“. Sono le parole di Gianluca Gerardo Maggioncalda, pronunciate lo scorso 28 maggio nell’udienza del processo con rito abbreviato, a porte chiuse, riportate nelle motivazioni della sentenza del gup Anna Magelli, che lo ha condannato a 18 anni di carcere. Nel provvedimento viene riportata anche la confessione dell’uomo che, interrogato dagli inquirenti dopo l’arresto, ha ripercorso le fasi dell’omicidio avvenuto al culmine di una lite scatenata dalla gelosia.
Ho perso la testa e ho buttato Sonia sul letto – ha raccontato Maggioncalda – ho preso l’elastico che teneva uniti i due letti e gliel’ho stretto al collo. Sonia cercava di difendersi e di graffiarmi. Quando mi sono reso conto della gravità della cosa – ha proseguito – ho cercato di fare la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco”. È rimasto quindi “imbambolato un pò di tempo» e ha chiamato un suo amico raccontando di aver «fatto una stronzata e di aver ammazzato Sonia“. Subito dopo ha chiesto a suo padre di salire in mansarda ed è uscito dall’appartamento allontanandosi in bicicletta “non per scappare” ma per “prendere un pò d’aria”.


Link