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Sonia Trimboli, 42 anni, strangolata dal fidanzato già denunciato perchè aveva tentato di ammazzarla

Milano , 20 Ottobre 2014

sonia trimboliAveva già tentato di ucciderla, lei lo aveva denunciato ma poi lo aveva perdonato ed erano tornati insieme, a bere, drogarsi e menarsi con la musica alta.

 


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Omicidio a Milano: Sonia, strangolata dal fidanzato. La disperazione del papà: quello sciagurato la massacrava
Michelangelo Trimboli: non sono riuscito a salvare mia figlia
«Se mi lasci giuro che ti ammazzo. Perché, come è vero Dio, tu non stai al mondo per incontrare un altro. Così le diceva, così. E lei era fragile, si faceva massacrare di botte, lo lasciava e poi se lo riprendeva». Un omicidio annunciato, per Michelangelo Trimboli 78 anni, papà di Sonia, 42 anni, uccisa domenica dal fidanzato Gianluca Gerardo Maggioncalda, 42 anni. Come lei.
Stragolata a letto
, nel sottotetto della casa di lui, in via della Commenda, al civico 28. «Io non sono riuscito a salvare mia figlia da quello sciagurato e questa è la cosa che farà morire anche me». Perché la storia di Sonia è una tragedia fatta di violenze ripetute, in una vita persa. Persa nell’alcol, negli incontri sbagliati e nella depressione. Persa sempre negli stessi errori.
«Domenica Sonia mi ha telefonato alle 13 circa – racconta il padre – papà tienimi il cane, vado a mangiare dalla nonna. Quando poi la sera non è rientrata ho avuto un brutto presentimento. Ho pensato subito che quel bastardo le avesse fatto del male». C’è stato un momento in cui Sonia, un diploma di maestra e il sogno di insegnare ai bambini, ha smarrito la strada. «Dopo la morte della mamma, dieci anni fa», dice il padre. Da allora è entrata nel tunnel della disperazione. «Non si accettava più, anche se aveva vinto un concorso di bellezza, giù a Milazzo, in Sicilia, la nostra città d’origine», dice. Ha cambiato il suo aspetto con la chirurgia estetica, si è separata dal marito e ha cominciato a bere.
Nel 2006 Sonia, era finita coinvolta in un’altra brutta storia. Si era messa a frequentare il civico 42 di viale Bligny. Un luogo famigerato, un fortino di immigrati che controllano lo spaccio dello droga. Sonia era entrata per consumare cocaina con due Nordafricani. Poi loro avevano tentato di violentarla, lei si era difesa e loro l’avevano accoltellata. La lama conficcata tre volte nella schiena, ma si era salvata. Era “tornata a a casa” e aveva promesso al padre che con quella vita da sbandata avrebbe smesso.
Otto, nove mesi fa, l’incontro con Gianluca, anche lui alcolizzato. La storia non era cominciata subito, la relazione vera e propria era iniziata a luglio. Ancora una storia malata e sbagliata. Ancora la disperazione, di nuovo gli stessi errori. «Mia figlia la vedevo infelice. Tornava a casa piena di lividi e piangeva. Fino alla notte del 28 agosto, quando ha rischiato di morire per la prima volta. L’ho salvata io, l’ho soccorsa io in via Orti. Lui aveva tentato di stargolarla, l’aveva presa a bastonate. Insieme, io e lei, siamo andati al Policlinico e poi a fare denuncia». Si era convinta: papà non lo voglio più, davvero. Stavolta te lo prometto.
E lui era di nuovo impazzito. La cercava, la voleva. «Io l’ho visto qualche giorno fa sotto il portone di casa, girava in bicicletta, non la lasciava stare. La tormentava. Le diceva ti amo. L’ultima volta che l’ho visto appostato gli ho detto: “Se non te ne vai chiamo la polizia”. Il tempo di prendere il telefono in mano e lui era già scappato. «Non la mollava la mia Sonia – dice ancora il padre – . Forse, se quella volta avessi fatto quella telefonata».

 

 

Uccide la fidanzata strangolandola, due mesi fa la salvarono i vicini
Due mesi fa, la 42enne Sonia Trimboli, racconta un conoscente del palazzo di fronte, scappava insanguinata e trovava rifugio nell’androne di un condominio e nell’abbraccio di alcuni vicini, rapidi nel chiamare i soccorsi. Gli agenti avevano fermato Gianluca Gerardo Maggioncalda, il fidanzato coetaneo di lei. «La sera lui era già a casa». Ieri, spiegano i poliziotti, non ha fatto in tempo a uscire di casa: l’ha ammazzata nell’appartamento al quarto e ultimo piano, per poi telefonare a un amico, raccontare il delitto («L’ho uccisa io, adesso cosa faccio?»), e andarsene a pochi metri dalla Basilica di Sant’Ambrogio. Lì s’è seduto su una panchina e ha aspettato. Gli agenti, che intanto avevano ricevuto la chiamata dell’amico, l’hanno rintracciato grazie al cellulare.
Altri colleghi sono andati sul luogo del delitto. Una poliziotta della scientifica, quand’era mezzanotte, è uscita dal portone con un sacchetto in mano: dentro c’era un elastico da portapacchi, forse l’arma del delitto, forse avvenuto per strangolamento. Sull’omicidio, ancora a serata avanzata, c’erano poche certezze. Se non la nazionalità, italiana, dell’aggressore e della vittima; l’età (sono entrambi 42enni); e infine l’indirizzo, che per la geografia è un indirizzo nobile: siamo in via della Commenda 28, all’angolo con via Orti, nel quartiere di Porta Romana, uno dei cuori della vecchia Milano.
Il civico 28 è un bel palazzo con studi professionali e abitazioni. In una di queste, è voce diffusa, erano frequenti i litigi. E i litigi, che cominciavano con urla e con insulti, spesso terminavano nello scontro fisico, nel lancio di oggetti, come ad esempio — la scena è rimasta ben impressa nei ricordi di quel conoscente del palazzo di fronte — il lancio di bottiglie di vino. I due fidanzati cercavano di coprire le risse tenendo la musica dello stereo ad altissimo volume. Un tentativo vano: nel palazzo tutti sapevano, chiamavano polizia e carabinieri. Il fidanzato ha trascorso ore in Questura, sentito dal pm di turno Giancarla Serafini insieme agli investigatori della settima sezione dell’Ufficio prevenzione generale, guidato dal primo dirigente Maria José Falcicchia.
Il padre gestisce un negozio di riparazione di gioielli e di orologi, un’unica vetrina al piano terra dello stesso 28 di via della Commenda. Si tratta di persone conosciute, a Porta Romana, mentre la famiglia della donna sarebbe originaria della zona dei Navigli. Secondo i primi riscontri, il delitto sarebbe stato d’impeto, avvenuto al termine dell’ennesimo scontro. Forse l’assassino voleva scappare, e infatti il punto dove i poliziotti l’hanno fermato, in piazza Sant’Ambrogio, non è proprio vicinissimo a via della Commenda. Più probabile però che lui per primo abbia capito quanto fosse inutile fuggire, soprattutto dopo la telefonata all’amico. I primi poliziotti sono arrivati nel condominio dell’omicidio intorno alle 21. Hanno iniziato a suonare il citofono della casa al quarto piano, dopodiché hanno provato con le altre abitazioni fin quando un residente ha aperto il portone. Il cadavere è stato trasportato intorno a mezzanotte e mezza all’obitorio di piazzale Gorini. Insieme all’elastico da portapacchi, probabilmente uno di quelli utilizzati sulle macchine per legare i bagagli. La Scientifica ha raccolto e «isolato» anche uno smartphone. I rilievi dei poliziotti sono proseguiti fino all’alba; l’appartamento è stato sequestrato. Oggi gli investigatori sentiranno altri famigliari e amici della coppia, per quel poco ormai d’aiuto che può arrivare dal passato.

Il fidanzato assassino piange, “un errore non lasciarci”
Nella cella di San Vittore il detenuto Gianluca Maggioncalda non ha chiesto i giornali da leggere; ma nella piccola stanza, che come riferito dall’avvocato Luigi Aleramo Rossi l’assassino non divide con altri carcerati, c’è un televisore sempre acceso. Lunedì e anche martedì, seppur in misura minore, il 42enne che domenica alle 19 ha ucciso strangolando con un elastico da pacchi la fidanzata Sonia Trimboli, coetanea e compagna di droga, alcolici e risse di coppia al quarto piano di via della Commenda 28, ha guardato e ascoltato i servizi dei telegiornali sul delitto. E non si è ritrovato nelle descrizioni di un uomo violento, di un persecutore seriale.
Maggioncalda ha parlato di un «momento di follia», di un «raptus», e nel verbale riempito in Questura davanti al pm Giancarla Serafini con una confessione piena durata due ore, ha ammesso che domenica avevano bevuto, e anche parecchio, e che la violenza era esplosa di colpo, innescata o alimentata dall’abuso di vino. Nella distanza amplificata dal tempo, chiuso in prigione, isolato, Maggioncalda, dice il legale, «sta prendendo coscienza di quanto accaduto». E in lui è già maturata una convinzione: «Ripete che avrebbero dovuto lasciarsi prima ma che non ci sono riusciti» spiega il legale. Non c’era verso. Maggioncalda la cercava. E lei cercava lui. Nonostante il 28 agosto già avesse provato ad ammazzarla, sempre per strangolamento, sempre al termine di momenti caotici, di abuso di alcol e pure di cocaina, una pratica frequente nell’appartamento regalatogli dal papà, che ha un negozio dove ripara orologi, al piano terra del palazzo di via della Commenda.
Piange in cella, l’omicida, piange e si dispera; all’avvocato ha domandato se per caso abbia parlato con Michele Trimboli, il papà di Sonia, o se quell’uomo piegato dalla tragedia, rintanato insieme al suo pastore maremmano nella casa al terzo piano di viale Bligny, abbia affidato qualche messaggio all’avvocato da recapitargli. No, gli ha risposto il legale, non ha domandato nulla e io non ho nulla da riferirti.
Mercoledì mattina, a San Vittore, ci sarà l’interrogatorio di convalida dell’arresto. Il detenuto Maggioncalda, ha raccontato l’avvocato, è «molto provato» e, di nuovo, è schiacciato dalle definizioni – anche dei vicini di casa – secondo cui è sempre stato un violento, un maniaco ossessionato dalla necessità di far male alle donne. E questo non è vero, insiste la difesa, anche se i precedenti sono a sfavore: il 28 agosto c’era stato l’altro episodio (il procuratore Alberto Nobili ha unificato i due fascicoli). Ma al riguardo, hanno riferito gli investigatori, quando gli è stato chiesto conto dell’accaduto, Maggioncalda ha giurato di non avere assolutamente ricordo dell’episodio, perché allora, con larga probabilità, era confuso e intontito, imbottito di sostanze stupefacenti.
Avevano discusso, l’aveva aggredita, Sonia era scappata per le scale, era corsa nell’androne di un altro palazzo. Era stata trasportata in ospedale dove le avevano curato ecchimosi e una lesione a un timpano. Il giorno dopo Sonia era andata nel commissariato Monforte-Vittoria per denunciare Maggioncalda. La denuncia non era mai stata ritratta, gli uomini del commissariato avevano indagato il fidanzato, il quale s’era subito messo sulle tracce di Sonia per avere il suo perdono, che gli era stato concesso. Altrimenti, da inizio settembre, non avrebbero condiviso tutti i fine settimana vivendo nella mansarda di via della Commenda, quartiere dove Maggioncalda era solito bighellonare, girare in bicicletta, andare dagli amici al bar e fermarsi a chiacchierare. Non lavorava, e non lavorava nemmeno Sonia, sposata e separata, senza figli, senza più la mamma morta per malattia, con un fratello che vive fuori Milano. Invano il padre di Maggioncalda aveva provato a tirarsi Gianluca in bottega e trasmettergli la passione per un mestiere, l’interesse per uno stipendio.

Milano, ecco le foto di Sonia Trimboli, uccisa dal fidanzato in via Commenda


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