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Giancarlo Vergelli, 83 anni, commerciante in pensione, padre. Strangola la moglie. Condannato a 7 anni e otto mesi, confermati in Cassazione, gli vengono negate le attenuanti ma viene graziato dal Presidente della Repubblica

Firenze , 22 Marzo 2014


Titoli & Articoli

Uccide la moglie malata di alzheimer (la Repubblica – 22 marzo 2014)
PER tutta la notte ha cercato disperatamente di calmarla, di farle passare la tremenda crisi che la stava tormentando. Ma all’improvviso ha stretto una sciarpa sul collo dell’anziana moglie, Nella Burrini, 88 anni, da tempo malata di Alzheimer, e non ha più mollato la presa. Poi si è presentato al posto di polizia più vicino e si è costituito: «Non ce la facevo più a vederla soffrire», ha detto con la voce spezzata dal dolore.
L’uomo, Giancarlo Vergelli, 83 anni, ha confermato il racconto anche davanti al pubblico ministero Christine Von Borries. Vista l’età e la particolarità del caso, per lui è scattata la misura degli arresti domiciliari, da scontare a casa della figlia. Il pm ha comunque disposto l’autopsia sul corpo della donna, che si terrà lunedì mattina all’istituto di medicina legale di Careggi.
La tragedia familiare si è consumata ieri mattina all’alba al terzo piano di un palazzo in Borgo Pinti, senza che nessuno dei vicini si accorgesse di ciò che stava accadendo. Secondo quanto emerso durante i primi accertamenti, l’anziana era malata da tempo ma era sempre stata accudita con amore dal marito e dalla figlia. Negli ultimi giorni però le sue condizioni di salute erano precipitate, tanto da spingere i familiari a rivolgersi alla Asl per organizzare un servizio di assistenza (l’Asl non ha però avuto il tempo materiale di intervenire).
Ieri mattina il drammatico epilogo. Dopo l’ennesima crisi, l’uomo si è avvicinato alla compagna di una vita e le ha stretto la sciarpa intorno al collo, fino a strangolarla. Prima di raggiungere il commissariato di San Giovanni in via Pietrapiana ha aspettato circa un’ora, forse per vegliare il corpo della donna. Di fronte agli agenti non avrebbe parlato di particolari disagi economici o familiari né della sensazione di trovarsi in uno stato di abbandono, concentrandosi invece sul dramma della malattia e sui continui stati di agitazione di cui la moglie soffriva negli ultimi tempi. Una testimonianza shock, che ha spinto gli uomini guidati da Giuseppe Solimene a disporre immediati accertamenti sul luogo del delitto. In Borgo Pinti sono quindi arrivati gli investigatori della squadra mobile e della polizia scientifica per i rilievi, seguiti dallo stesso pubblico ministero e dal medico legale. Appresa la notizia, anche la figlia si è precipitata sul posto per raggiungere il padre. Poi il lungo interrogatorio davanti al pm e l’arresto per omicidio. «Non ci posso credere — spiegava ieri mattina un anziano vicino di casa, sconvolto dall’accaduto — lo conosco bene, è una persona splendida. Viveva la malattia della moglie con grande dignità, non ci sono parole». Vergelli era in pensione da diversi anni, dopo aver lasciato la sua attività di apparecchi ortopedici in via Guido Monaco. I suoi vicini lo descrivono come una persona riservata e generosa.

 

Fine vita, nessuna attenuante se si uccide la moglie malata (il Giornale – 16 febbraio 2018)
La Cassazione conferma la condanna di un artigiano: “Aveva l’Alzheimer? Il gesto non ha valore pietoso”
Non c’è ancora, nella società italiana, un «generale apprezzamento positivo sull’eutanasia», e anzi vi sono «ampie correnti di pensiero che la contrastano». Non può bastare la condizione senza ritorno di un malato perché la sua soppressione possa rivestire un «particolare valore etico». Così ieri la Cassazione conferma la condanna di un uomo ormai vecchio: Giancarlo Vergelli, 85 anni, l’artigiano fiorentino che quattro anni fa aveva ucciso la moglie malata di Alzheimer. Fu un omicidio volontario, dicono i giudici, un omicidio in condizioni particolari, e infatti la pena è relativamente lieve: sette anni e otto mesi.
Ma riconoscere un «particolare valore etico al suo gesto» al gesto dell’uomo darebbe per scontate convinzioni che nella società italiana non sono affatto unanimemente condivise.
La decisione della Cassazione arriva all’indomani di un’altra sentenza che ha riacceso l’attenzione sul tema del «fine vita», del rapporto tra dignità e diritto in situazioni in cui la malattia o l’infermità hanno preso il sopravvento. A Milano, la Corte d’assise ha sospeso il processo al radicale Marco Cappato, che accompagnò a morire il disc jockey Fabiano Antoniani, trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale perché valuti se la legge che proibisce sempre e comunque l’aiuto al suicidio sia al passo con i tempi. La Cassazione, nel caso dell’artigiano fiorentino, dà una decisione che sembra andare nel segno opposto: andiamoci piano con l’eutanasia.

Uccise la moglie malata di Alzheimer, condanna definitiva per il fiorentino (Firenze Today – 16 febbraio 2018)
Nessuna attenuante etica
La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a sette anni e otto mesi di reclusione, senza concessione dell’attenuante di aver agito per motivi di particolare valore etico, nei confronti di Giancarlo Vergelli, il pensionato che il 22 marzo 2014 a Firenze soffocò la moglie di 88 anni malata di Alzheimer.  E’ quanto scritto questa mattina da Repubblica-FirenzeNessuna attenuante quindi per il pensionato fiorentino. I giudici di Cassazione hanno scritto che sull’eutanasia non si registra ancora nella società “un generale apprezzamento positivo, anzi ci sono ampie correnti di pensiero che la contrastano: una situazione, insomma, che impone di non concedere l’attenuante etica”.
L’avvocato Filippo Viggiano, difensore del pensionato, aveva chiesto alla Corte di considerare come un valore condiviso “quello di porre fine alle sofferenze della persona, conformemente ai suoi desideri espressi in vita” e aveva elencato i Paesi europei che hanno legalizzato la eutanasia e il suicidio assistito e le sentenze della Corte europea sul diritto di decidere come morire.
La Cassazione ha riconosciuto che il pensionato aveva preso una decisione “disperata quando era ormai incapace di sopportare le sofferenze e l’inarrestabile decadimento fisico e cognitivo della moglie”.
La Cassazione ha poi scritto che è da “escludere che la consapevolezza della carenza di pubbliche strutture idonee a coadiuvare la famiglia nell’assistenza di congiunti gravemente malati e senza possibilità di guarigione, commista alla preoccupazione di gravare sulla vita di altri congiunti, pure se moralmente e giuridicamente obbligati verso la persona malata, possa generare, secondo la coscienza etica prevalente nella collettività, la spinta a sopprimere la vita dell’infermo quale motivo di particolare valore morale e sociale”.

Giancarlo Vergelli graziato da Mattarella, lacrime di gioia accanto alla figlia (La Nazione – 15 febbraio 2019)
Vergelli, di 88 anni, era stato condannato il 22 febbraio 2016 dalla Corte d’appello di Firenze a 7 anni e 8 mesi per aver ucciso la moglie 88enne malata di Alzheimer
«Illustrissimo Presidente, mio padre ha commesso il più grave dei criminimio padre ha ucciso mia madre. La tragedia ha attraversato la mia famiglia, ciclicamente, quasi fossimo predestinati ad una coazione a ripetersi che sembra non voler risparmiare nessuno. Perché s’interrompa questa spirale, dove la morte violenta sembra volerci prendere tutti, chiedo la Grazia». Comincia così, l’istanza di sospensione della pena inviata a Mattarella, scritta da Silvia, la figlia di Giancarlo Vergelli, con l’aiuto del suo legale, l’avvocato Valentina Bernardi. Nel marzo del 2014, Vergelli uccise la moglie, Nella Burrini: era malata, tanto malata.
Vergelli, commerciante di prodotti sanitari in pensione, temeva che il fardello della madre potesse ricadere sui figli e nipoti. Decise lui di farsene carico. «Negli ultimi anni di vita la mamma ha manifestato un decadimento cognitivo progressivo e inarrestabile. Negli ultimi mesi è stata colta da un franco delirio, associato ad incapacità motoria e perdita di ogni autonomia», racconta ancora la figlia.
«La notte della tragedia tutto è precipitato in un delirio a due; lei urlava dal pomeriggio, lui ha cercato di sedarla aumentando le dosi di tranquillante prescritto, forse si è innescato il cosiddetto effetto paradosso, la mamma è diventata incontentabile. Anche lui, ad un certo punto, ha assunto un potente sonnifero per cercare di dormire un po’, ma non ha potuto riposare, neppure un attimo, perché la mamma continuava a invocare aiuto. Mio padre ha sentito che le sue capacità di resistenza erano al limite; ha pensato che per mamma quella non fosse più vita, si è chiesto se quella donna che tanto amava, preda di incubi atroci, incapace di alimentarsi, di riconoscersi e riconoscerci, sofferente oltre ogni immaginazione, avesse torto nell’agognare la morte. Sentendosi lui stesso mancare, ha atteso che la mamma si addormentasse e quando l’ha vista finalmente serena, ha esaudito il suo radicato desiderio: passare dal sonno alla morte e non soffrire più».

 


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