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La storia di Giuseppina Minatel

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La storia di Giuseppina Minatel è rappresentativa di un intero filone di femminicidi. Eh già, perchè sono talmente tanti da autorizzarci a definire un vero e proprio genere, una macrocategoria in cui includere decine di delitti molto simili tra loro, per le caratteristiche, le modalità e anche o soprattutto per gli errori commessi, prima e dopo, dai protagonisti e da chi ha, suo malgrado, svolto un qualche ruolo nella vicenda.

Giuseppina è un’insegnante in pensione. Vive con suo marito, Giacomo Sfragaro, anche lui pensionato, ma le liti sono frequenti, all’ordine del giorno, e sempre più violente. Così violente che Giuseppina finisce 15 volte al Pronto Soccorso, e lo denuncia anche, per maltrattamenti. Così violente che spesso i vicini, preoccupati, chiamano le forze dell’ordine.

E le forze dell’ordine intervengono, come intervengono anche la sera del 25 luglio 2016. Giuseppina accusa nuovamente il marito di picchiarla senza motivo, Giacomo ribadisce che lui un motivo ce l’ha ed è la gelosia, il sospetto che lei abbia un amante.

I Carabinieri sedano la lite e se ne vanno. Sono due anziani esasperati, dall’età, dai disturbi fisici e psichici, dal dolore per la morte dell’unico figlio, avvenuta qualche anno prima, forse anche dal caldo di fine luglio. Cosa mai potranno fare, due anziani che vivono insieme da cinquant’anni? Qualche spinta, qualche sputo. Ti pare che un’anziana possa avere un amante e che il marito la possa uccidere per questo?

Poche ore dopo Giacomo chiama nuovamente le forze dell’ordine: “Venite, ho ucciso mia moglie”. Si fa trovare con la valigia già pronta per il carcere. Verrà condannato a 12 anni di carcere e 5 di ospedale psichiatrico. Una perizia post mortem stabilirà che anche Giuseppina aveva problemi psichiatrici (un disturbo istrionico della personalità) che la portava a provocare il marito fino a ucciderla.

Nessuno lo aveva capito, dalla denuncia, dai referti del Pronto Soccorso, da quell’ultima chiamata poche ore prima del femmincidio. Lo avevano capito solo la vicina di casa e il gatto.

Ci sono diversi elementi, nella storia di Giuseppina, comuni a molte storie di femminicidio.

  1. Il primo è la sottovalutazione delle denunce e delle richieste di aiuto. Un elemento che deve necessariamente essere preso in maggiore considerazione dal punto di vista formativo e giuridico. Chi è chiamato a intervenire, quale formazione specifica ha per riconoscere le dinamiche della violenza familiare e quali nozioni per effettuare un’adeguata valutazione del rischio? Chi sottovaluta o ignora una segnalazione, a quali domande risponde e a quali conseguenze viene sottoposto?
  2. Il secondo elemento è il profiling dell’autore di violenze. Il marito di Giuseppina, come moltissimi altri, aveva dato dimostrazioni ripetute, costanti, evidenti e non diversamente interpretabili della propria condotta violenta. Senza che questo comportasse alcun provvedimento nei suoi confronti, fino allo strangolamento della moglie. Un adeguato profiling con conseguenti provvedimenti preventivi, avrebbe potuto quasi certamente evitare un simile epilogo, per entrambi.
  3. Il terzo elemento è il disturbo psichico, già diagnosticato in Giacomo, che era stato sottoposto a cure poi interrotte. Perchè il disturbo psichico costituisce un elemento di giudizio, nella valutazione del reato ormai commesso, e non un elemento di intervento preventivo, al fine di evitare il reato?
  4. Il quarto elemento è, infine, l’età di Giuseppina e di suo marito. Giuseppina come Ester Chenet, Elisabetta Ugulini, Emidia Tortella, Elena Pitzalis, Rosa Sanscritto, Ave Ferraguti, Rosalba Rocca, Giovanna Gilberto, Santina Lodi, Antonietta Musacchio, Laura Ferrero, Mirella Fiaccarini, Pierina Baudino, Carmen Tassinari, Elena Salmaso, Florina Reversi, Giuseppina Traini, Franca Franchini, Bruna Porazzini, Anna Bertuzzi, Bruna Belletti, Silvana Rustia…
    Sono centinaia, in questo sito, le donne uccise dai propri mariti dopo tanti anni di matrimonio: tutte con dinamiche, avvisaglie ed epiloghi molto simili fra loro. Sono donne anziane che faticano a denunciare, a volte faticano anche a capire di essere vittime di maltrattamenti. Fanno meno notizia delle ragazze giovani, non ci sono foto, talvolta vengono definite solo come “la moglie”.
    La loro situazione viene sottovalutata da tutti, mentre andrebbe considerata con l’aggravante dell’età, dello stato fisico e mentale, dell’indigenza, della solitudine. Spesso le coppie anziane chiedono aiuto prima di arrivare a un epilogo tragico, a volte sono gli stessi mariti che chiedono di far ricoverare le proprie mogli, o di essere ricoverati. Ma spesso non vengono ascoltati, non sono abbastanza considerati, e vengono lasciati soli.
    Così poi leggiamo centinaia di titoli tutti uguali, in cui si compatiscono con solidarietà di genere uomini anziani lasciati soli con mogli malate. Come se le mogli anziane fossero solite strangolare, o massacrare a stampellate, gli anziani mariti malati. E storie in cui, come nel caso di Giuseppina Minatel, si riscontra come le richieste di aiuto, specialmente da parte di persone anziane, vengano sottovalutate o, peggio, restino inascoltate.
  5. Nella storia di Giuseppina Minatel, poi, c’è anche un altro elemento, comune a storie di ogni età. Il movente della gelosia, che invece di essere aggravante diviene scusa, giustificazione. E, come spesso accade, si approfondisce anche se la gelosia fosse o meno motivata: le indagini sul delitto di Pegli tendono anche ad accertare se davvero Giuseppina avesse un’amante. Nella sentenza di condanna, inoltre, trova un ruolo anche una sorta di “perizia post-mortem” che attribuisce alla vittima un “disturbo istrionico della personalità” dedotto da alcune affermazioni riportate dai Carabinieri intervenuti poche ore prima del femminicidio, e che addossa all’anziana una sorta di “provocazione” nei confronti del marito.

Questi 5 elementi evidenziati, insieme alla narrazione stereotipata dei femminicidi, costituiscono alcuni dei punti cardine su cui intraprendere una nuova osservazione e una nuova analisi dei femminicidi, al fine di mettere in atto una serie di azioni formative, normative e giuridiche oggettive e concrete.

Il femminicidio di cui tanto si parla è ad oggi un fenomeno ancora lasciato in balìa di antiche e sorpassate stereotipie sui concetti di amore, famiglia, differenze di genere, che costituiscono a tutti gli effetti le vere cause del suo perpetrarsi indisturbato e giustificato.