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Veronica Abbate, 19 anni, studentessa. Uccisa con un colpo di pistola dall’ex fidanzato

Mondragone (Caserta), 2 Settembre 2006


Titoli & Articoli

 

 

Clementina, madre «orfana» «Mi tiene in piedi la rabbia» (Corriere della Sera – 14 settembre 2015)
Veronica Abbate, sua figlia, è stata uccisa dall’ex fidanzato nel 2006. Ora lei aiuta ragazze e giovani in difficoltà in una casa famiglia, a Mondragone, Caserta
«Mi tiene in piedi la rabbia», dice sempre Clementina. La rabbia di sapere che nemmeno il sacrificio di sua figlia è valso a qualcosa perché le donne continuano a morire uccise da amanti, spasimanti, fidanzati, mariti, aspiranti tali… Come se tutto quel dolore, tutto il suo dramma non fossero serviti a niente. Ma poi ci sono le ragazze della sua casa famiglia – quella voluta da lei e nata nel nome di Veronica – che la guardano con dolcezza e ammirazione, ci sono le loro facce smarrite che le chiedono consigli, ci sono i loro bambini che chiamano il suo nome. E allora un po’ di quella rabbia sembra sfumare, si perde dietro i sorrisi di gratitudine.
Veronica Abbate, la sua figlia adorata fu uccisa a settembre del 2006 dall’ex fidanzato, un allievo della Guardia di Finanza di nome Mario Beatrice. Dovevano vedersi, dovevano chiarire, parlarsi: il solito copione. E quando lei stava per scendere dall’auto lui le ha sparato un colpo alla nuca. Il trauma più grande per Clementina che, come mille altre mamme senza più una figlia/un figlio, da quella sera rimase «orfana», per sempre.
Clementina Ianniello è oggi quel che resta di Veronica e quel che è stato dopo Veronica. Il prima è un’isola felice che sembra perduta nei ricordi. Il dopo è una lotta continua contro il senso di ingiustizia, proprio e degli altri. «Sono una combattente, non ho più nulla da perdere», dice lei. Che invoca prima di ogni altra cosa la certezza della pena. Sarà lei stessa a raccontarci la sua storia, che è prima di tutto la storia di Veronica. Ci dirà della «Casa di V.e.r.i», nata (a mondragone- Caserta) in un’abitazione sequestrata alla criminalità organizzata, ci parlerà di sentimenti e speranze, di risultati e amarezze di questa sua seconda vita, quella dopo Veronica. Vedremo le immagini delle donne e dei loro bimbi ospitati nella casa-famiglia e conosceremo Veronica non soltanto dalle sue parole ma anche dalle immagini ripescate dal passato. Per non dimenticare.
«Io, madre orfana, sopravvivo». Colloquio con Clementina Ianniello, madre di Veronica, uccisa a 19 anni nel 2006.
Triennale, Triennale Lab. Il tema: Sopravvivere da madri «orfane» è il dolore più grande. Quando una figlia o un figlio non ci sono più.
Intervista di Giusi Fasano a Clementina Ianniello sull’associazione da lei fondata, le borse di studio, i flash-mob, la casa per le donne maltrattate: una vita vissuta in nome della figlia.
« Una sera all’improvviso una telefonata. Una voce scandisce poche parole e la tua vita cambia per sempre. Tua figlia, la tua amatissima figlia, non c’è più. L’hanno uccisa. Le hanno sparato alla nuca. E per te comincia un tempo che non avrà più colore. La madri “orfane” non sono donne che vivono, sopravvivono. Costruiscono il futuro sui ricordi del passato. E’ come se trascinassero un masso enorme, ogni passo una fatica indicibile. Una sera del 2006 è toccato a lei, a Clementina Ianniello. Che da quella sera non è più Clementina Ianniello ma è la madre di Veronica, uccisa a 19 anni. E’ una madre orfana. E ci racconta la vita dopo la sera in cui tutto cambiò: una vita in bianco e nero vissuta in nome di Veronica».

 

Clementina Ianniello, una vita spesa ad aiutare gli altri dopo l’omicidio della figlia Veronica Abbate per mano dell’ex fidanzato (HuffPost – 25 novembre 2015)
“Se proprio devo vivere questa pseudo-vita, allora voglio farlo per aiutare gli altri”. La voce di Clementina Ianniello, 53enne di Mondragone (Caserta), vibra di un dolore misto a rabbia. Era il 2006 quando sua figlia Veronica Abbate, una 19enne dagli occhi verde acqua, venne uccisa. L’omicida era l’allora 22enne Mario Beatrice, un allievo della Guardia di Finanza: il primo amore di Veronica. Sette mesi prima il giovane aveva chiuso per l’ennesima volta la relazione con la 19enne, e per l’ennesima volta aveva poi preteso quando e come riaverla con sé. Solo che Veronica si era stancata di quell’agonizzante tira e molla e aveva iniziato a uscire con un altro ragazzo. L’ex fidanzato non accettò il rifiuto: le chiese di vedersi per parlarne e quando lei scese dall’automobile le sparò un colpo alla nuca con la pistola d’ordinanza. “Un’azione da perfetto camorrista”, commenta Clementina.
“Era il 3 settembre, di domenica. Veronica stava studiando per prepararsi ai test di ammissione alla Facoltà di Medicina”, ricorda Clementina. “Da quel giorno è come se mi fossi spenta. Non è stato pensato un termine per indicare un genitore che ha perso un figlio: è una sofferenza insopportabile, che si porta via emozioni, colori, profumi, la curiosità per il mondo. La parola ‘felicità’ è stata bandita da casa mia: mio marito Lello e mia figlia Ylenia sanno che le cose non potranno mai tornare come prima”.
Sono passati nove lunghissimi anni dal giorno dell’assassinio di Veronica, ma nemmeno il tempo può ricostruire un vetro andato in frantumi. Clementina trascorre molte ore al cimitero: porta con sé un libro e qualche sigaretta, nei mesi invernali anche una stufetta, e rimane da sola in compagnia della figlia. Ma non appena può si immerge in attività che la stanchino mentalmente, che non la facciano pensare. Lavora come analista di laboratorio, ma ciò che davvero ama fare è prendersi cura delle ragazze del centro d’accoglienza “La Casa di Veri”, nato nel 2013 per aiutare le donne maltrattate e sostenuto da numerose donazioni.
Già nel 2008 Clementina aveva dato vita all’Associazione Veri, un’organizzazione contro la violenza sulle donne presieduta da Gianluca Palmieri. Non ci sono voluti molti anni perché il Comune di Mondragone si rendesse conto di quanto l’associazione fosse preziosa e così le ha dato in affidamento una villa su tre piani, con quattro camere e quattro bagni, sequestrata alla criminalità organizzata. La Casa di Veri, che presenta otto sportelli di ascolto per le maltrattate e prevede di crearne uno per i maltrattanti, ospita per periodi di tempo limitati donne che hanno subito violenze, spesso insieme ai loro figli. L’assistente sociale Emmanuela Sorrentino, due psicologhe e tre operatrici si prendono costantemente cura di loro, le ascoltano e le proteggono.
“Alcune mentre stanno qui imparano a badare a se stesse, iniziano a interessarsi di nuovo del loro aspetto fisico”, spiega Clementina. “Però molte altre, soprattutto in presenza di figli, alla fine fanno ritorno dal loro aguzzino, illudendosi che sia cambiato. Ma chi commette un gesto violento nei confronti di un’altra persona è cattivo nel dna”.Le storie di queste donne sono tutte simili tra loro, stereotipate: minacce, botte, sensi di colpa, paura. Sembra di leggere sempre lo stesso copione”, prosegue Clementina. “Io mi sento un po’ come la loro mamma: insegno loro a ricominciare a vivere, come vestirsi, cosa fare e cosa no, a volersi bene: per me è un po’ una missione”.
Ma il circolo vizioso della violenza è sempre in agguato, e ogni volta che le ragazze lasciano il centro il rischio che ci ricaschino è alto.
In Italia ogni due o tre giorni una donna viene uccisa dal proprio compagno. “Gli assassini hanno in continuazione sconti sulla pena, fino a che non ottengono la liberazione anticipata. Ma quanto vale la vita di una donna?”, domanda Ianniello. “Solo per la vita umana non si applica alcun criterio di proporzionalità. Lotto affinché la legge contro il femminicidio venga cambiata. Non lo faccio per mia figlia, ma perché non muoiano altre ragazze. La pena dev’essere un deterrente”.
Lo stesso Mario Beatrice, condannato a 22 anni di prigione, ne sconterà al massimo dieci. Si trova al carcere di Bollate, dove i genitori sono inspiegabilmente riusciti a farlo trasferire dalla Campania, e frequenta una scuola di cucina. Per vedersi abbreviare la condanna ha persino versato a Clementina tre assegni di risarcimento dei danni da 50mila euro ciascuno. Lei glieli ha restituiti subito, nauseata dall’idea che il denaro potesse risarcirla per la perdita di sua figlia.
Ma Veronica non se n’è andata. Basta osservare una sua qualsiasi fotografia per percepire viva la dolcezza di quegli occhi verde acqua a cui l’Associazione Veri continua a dedicare eventi e attività sempre affollatissimi. Ultimi uno spettacolo teatrale tratto dal libro di Deborah Riccelli “Nessuno mai potrà + udire la mia voce”, in scena alla Casa di Veri mercoledì 25 novembre, e il premio letterario dedicato ai ragazzi delle scuole della zona, per il quale è in programma una cerimonia al teatro Ariston di Mondragone il 15 dicembre, il giorno del compleanno di Veronica. Nessuno mai potrà dire che è morta invano.

 

“Ammazzerei il killer di mia figlia”, dichiarazione shock della mamma di Veronica (Caserta News – 27 novembre 2017)

“Il perdono può darlo solo Dio. Vuole sapere so lo ammazzerei? Si, lo farei”. Faranno certamente discutere le parole pronunciate durante la trasmissione ‘Petrolio’, in onda su Rai1 sabato 25 per la ‘Giornata contro la violenza sulle donne’, di Clementina Ianniello. La donna è la madre di Veronica Abbate, la 19enne di Mondragone uccisa il 3 settembre del 2006 dall’allora 22enne Mario Beatrice, allievo della Guardia di Finanza.
Il ragazzo era il primo amore di Veronica, sette mesi pria aveva chiuso per l’ennesima volta quella relazione malata e per l’ennesima volta il giovane pretese di riavere la ragazza per sé. Al rifiuto di lei, l’ex fidanzato chiese di vedersi per poterne parlare e in quei momenti le sparò un colpo alla nuca con la pistola d’ordinanza.
Un gesto “da camorrista”, lo definì due anni fa Clementina, che anche oggi non riesce a perdonare l’omicida di sua figlia. “E’ un bastardo che non ha saputo gestire il primo no della sua vita – ha spiegato Veronica Ianniello intervistata nel programma Rai – Non è possibile che un esseruccio uscirà prima del previsto dal carcere e si rifarà una vita mentre mia figlia è in una tomba”. Già, perché Mario Beatrice, condannato in primo grado a trenta anni, si è già visto ridurre la pena a 22. Inoltre va considerato che, come ogni detenuto, l’ex allievo della Finanza riceve uno sconto di tre mesi per ogni anno di detenzione, e che quando mancheranno tre anni alla fine della pena potrà richiedere un affidamento in prova.

 

Quella madre orfana che accoglie donne vittime di violenza nella sua “Casa di Veri” (Linkiesta – 15 gennaio 2018)
Gli amici la chiamano “Tina”, questa bellissima donna di 54 anni, all’anagrafe Clementina Ianniello. Clementina vive a Mondragone (Caserta) assieme al marito Lello, lavora in una clinica come analista di laboratorio. Ha una splendida figlia, Ylenia, che le ha dato due nipotini adorati.
Ma ne aveva un’altra, la sua indimenticabile secondogenita: Veronica Abbate, la cui vita è stata spezzata nel settembre 2006 a soli 19 anni. Un colpo di pistola del suo ex fidanzato Mario Beatrice, all’epoca allievo della scuola per marescialli della Guardia di Finanza a L’Aquila. Una storia fatta di tira e molla, il primo amore di Veronica: quella ragazza dagli occhi verde giada caldi e puliti come il suo cuore, alta e statuaria quanto intelligente, dotata di una irresistibile tenerezza. Ed era stato proprio Mario, quel primo indeciso e possessivo “fidanzatino”, a lasciarla definitivamente dopo quattro anni: solo che poi non era riuscito ad accettare che Veronica si stesse rifacendo una vita, avesse nuovi amici e un nuovo amore. Veronica frequentava solo il primo anno di università e sognava di diventare un medico.
Clementina ha una voce morbida e le spalle larghe, forti. È un ciclone di passionalità: così mi sembrava, già, quando avevo la fortuna di incrociarla in tv o nel web. È stata soprattutto lei a farmi appassionare (nell’accezione militante e più costruttiva del termine) alla storia della povera Veronica: il suo calore di madre e la sua rabbia infuocata d’amore. Mi sono occupata della sua storia e l’ho raccontata. Torno a parlare di lei a distanza di due anni.
Clementina si è sempre definita una “madre orfana”, ma dietro questa paradossale e riduttiva locuzione non c’è semplicemente la perdita di una figlia. La famiglia di Veronica non è orfana solo per la morte prematura, difatti, di una ragazza meravigliosa, rea di aver preso in mano la sua vita e di aver deciso di farne qualcosa di speciale, di più adeguato alle sue possibilità: rea di aver deciso di diventare una donna libera.
Quella madre, Clementina, si sente profondamente anche “orfana” della giustizia. Condannato a trent’anni di carcere in primo grado, Mario Beatrice si è visto scontare la pena a 18 anni in appello (due di questi anni già scontati) e trasferire nel carcere di Bollate (struttura penitenziaria d’eccellenza). “Economia processuale, rito abbreviato, omicidio semplice – mi raccontò Clementina nel corso di una intervista – sono formule ingiuste, nel caso di un omicidio. È giusto che chi uccide, chi si erge all’Onnipotente recidendo la vita di una giovane donna, sconti una pena giusta, lunga ed esemplare.” Ed è per questo, per proteggere le altre Veronica che vengono uccise in Italia con la frequenza di una ogni tre giorni, che Clementina ha avviato una vera e propria battaglia. Dapprima, nel 2009, si inchiodò assieme ad altre madri col suo stesso destino di fronte al Ministero di Grazia e giustizia, praticando lo sciopero della fame: l’obiettivo era ottenere un disegno di legge che, appunto, escludesse questo genere di formule dai processi per chi si macchia d’assassinio. Disegno che fu presentato, ma si risolse in un nulla di fatto.
Soprattutto, però, nel 2013, Clementina è riuscita a istituire un centro d’accoglienza per le donne vittime di violenze. Un luogo dedicato proprio alla sua Veronica: “La casa di Veri”, una villa confiscata alla Camorra, tra le cui mura sicure, oggi, le donne piegate dalla vita riescono a rinascere. “Veri è il diminutivo di Veronica, ma anche, nel mio cuore, un importante acronimo: Verità, Emancipazione, Rispetto, Impegno. Mia figlia era il ritratto vivente di tutto questo, e mi auguro che le ragazze della Casa di Veri, oggi, tornino alla vita con questo stesso piccolo tesoro.” Temperamento inarrendevole, quello di Clementina. Che vede entrare ragazze spesso accompagnate dai loro bambini, accartocciate nella postura e nel cuore, e insegna loro, con l’aiuto di specialisti, a riconquistare quella libertà costata così cara a sua figlia. “Dobbiamo proteggerle – spiega oggi – e mettere in galera gli assassini e gli stalker. Tantissime sono le donne sul territorio che si ribellano, ma molte altre continuano a chiudersi nei loro silenzi, perché non hanno il coraggio di denunciare. Questo succede anche ai tempi lunghi della giustizia italiana”.

 

VERONICA ABBATE/ Uccisa dall’ex: la madre, “quando disse basta era troppo tardi…” (Il Sussidiario – 28 gennaio 2018)
Il caso di Veronica Abbate, la ragazza uccisa dall’ex fidanzato Mario Beatrice, è stato approfondito da Amore Criminale, che ha intervistato la madre. La signora Tina dal giorno in cui ha perso sua figlia lotta per aiutare altre donne, per questo ha aperto un’associazione che gestisce un centro antiviolenza. «La prima cosa che fanno è isolarle per rendersi padroni assoluti di questa persona. Ad esempio, non le era consentito venire a mare con noi, io non potevo fare nulla. Non potevo toglierglielo dal cuore». Quando comincia l’esperienza universitaria, Veronica riesce però ad emanciparsi dal fidanzato, ma questo è per lei l’inizio della sua fine: «A quel punto, stanca e delusa, dice basta. Ma quel basta era per la sua vita… Fece un’esecuzione, l’ha lasciata lì ed è scappato via. Ora c’è dolore, malinconia e solitudine, ma ho imparato a convincerci», ha raccontato Tina ai microfoni di Raitre. Si parla dunque di violenza sulle donne: «Manca la certezza della pena, questo è l’anello mancante»

 

Uccisa a 19 anni dall’ex fidanzato: dopo 15 anni il Ministero riconosce risarcimento (Caserta News – 17 marzo 2021)
Indennizzo da 50mila euro per i familiari di Veronica Abbate. Vittime di femminicidi, stupri e donne ‘sfregiate’ tra le destinatarie dei ‘ristori’
Un indennizzo da 50mila euro ai genitori di Veronica Abbate, la 19enne di Mondragone uccisa nel 2006 dall’ex fidanzato con un colpo di pistola alla nuca. E’ quanto ha riconosciuto il Viminale che ha assegnato risarcimenti per complessivi 260mila euro alle vittime di reati di tipo mafioso e violenti. “L’ex fidanzato, reo confesso, uccideva la ragazza di diciannove anni con un colpo di pistola, non riuscendo ad accettare la fine della loro relazione sentimentale”, si legge nella nota del commissario Marcello Cadornache ha presieduto il Comitato per la solidarietà alle vittime di mafia e di reati violenti riunitosi per esaminare le richieste di risarcimento e di indennizzo. Veronica venne uccisa il 3 settembre del 2006. L’ex fidanzato, ex allievo della Guardia di Finanza, dopo la fine della loro relazione chiese un chiarimento pretendendo di riavere la ragazza per sé. Al rifiuto di Veronica le sparò un colpo alla nuca con la pistola d’ordinanza. I risarcimenti sono stati riconosciuti ai familiari delle vittime di femminicidio, violenza sessuale ma anche di lesioni come nel caso di una donna sfregiata con l’acido muriatico dal marito.

«Soldi per la morte di mia figlia? Meglio se puniscono i carnefici» (Il Mattino – 19 marzo 2021)


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In memoria di

PER CHI CONOSCEVA VERONICA E PER COLORO CHE L’HANNO APPENA CONOSCIUTA …  QUESTA E’ LA SUA STORIA – ASSOCIAZIONE V.E.R.I.

Il rumore di uno sportello dell’auto contro il muro, un grido e poi il colpo di pistola alla nuca, così si è spenta la vita della dolce Veronica Abbate la notte tra il 02 e 03 settembre 2006, Aveva solo 19 anni e tutta la vita da vivere. Veronica avrebbe compiuto vent’anni il 15 di dicembre, quella sera si trovava in macchina di Mario Beatrice, 22 anni, a Mondragone, con il quale era stata fidanzata per 4 anni e che aveva deciso d’incontrare, sotto l’occhio vigile della sua amica Maddalena, soltanto per chiarire un evento, Veronica era una ragazza sensibile, buona e voleva spiegare a Mario le ragioni della sua visita mancata dopo un incidente stradale dove lui era coinvolto ma non ferito.
Mario era allievo maresciallo della Guardia di Finanza e quella sera, purtroppo, aveva con se la pistola d’ordinanza. Aveva tentato inutilmente e per l’ennesima volta di convincere Veronica a tornare con lui ma dopo 4 anni, anni di lacrime, di dolore, di abbandoni immotivati, Veronica non sarebbe mai tornata indietro, dopo sette mesi lontana da Mario finalmente si era rifatta una vita ed era serena e felice. Negli ultimi mesi Veronica aveva conosciuto un ragazzo, Mariano, un compagno di università, ma Mario non accettava di vederla libera, di perdere il controllo sulla sua proprietà, di non poter più manovrare Veronica come un burattino, lasciandola quando ne aveva voglia per poi riprendersela al momento più comodo.
Continuava a chiamarla alternando regali a minacce di suicidio…fino a quella dannata sera… quando dopo averle sparato a sangue freddo la lasciò a terra scappando. Durante il processo rivelerà che quella sera aveva realizzato, guardando i suoi occhi e parlandole, che non c’era niente da fare e che l’aveva persa per sempre. Il suo unico pensiero, dopo averla praticamente giustiziata, non fu quello di abbracciare la sua amata dopo un gesto così ignobile, non fu quello di spararsi per raggiungerla, ma solo quello di rintracciare il cellulare di Mariano, per scrivergli che la colpa di tutto era soltanto sua. Credo che queste parole siano troppo poche per descrivere questa tragedia, Veronica era una splendida ragazza, così bella fuori quanto dentro. Da questo tragico evento è nata l’Associazione V.E.R.I.