Sara Ruschi, 35 anni, cuoca, mamma. Uccisa a coltellate dal marito che uccide anche la suocera, davanti ai figli
Arezzo, 13 Aprile 2023
“Non posso semplicemente buttarlo fuori, se lui va alla polizia sono obbligata a farlo entrare in casa”.
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Duplice omicidio Arezzo, le minacce del marito di Sara in chat: “Ti taglio la gola”
Si è avvalso della facoltà di non rispondere Jawad Hicham, il 38enne accusato del duplice omicidio ad Arezzo della compagna Sara Ruschi, 35 anni, e della suocera 76enne Brunetta Ridolfi. Domani le autopsie sui corpi.
Non ha pronunciato nemmeno una parola davanti al gip Giulia Soldini e al pm Marco Dioni Jawad Hicham, il 38enne che ha confessato il duplice omicidio ad Arezzo della compagna Sara Ruschi, 35 anni, e della suocera 76enne Brunetta Ridolfi.
L’uomo, assistito dall’avvocato Maria Fiorella Bennati, si è avvalso della facoltà di non rispondere nel corso dell’interrogatorio di garanzia nel carcere aretino di San Benedetto. Il duplice omicidio si è consumato nella notte tra mercoledì e giovedì nell’appartamento di via Benedetto Varchi ad Arezzo.
“Le ho ammazzate”, le parole del marocchino dopo le coltellate. Prima avrebbe colpito la suocera, poi la compagna madre dei suoi figli. Le due donne sono state uccise davanti al figlio sedicenne della coppia, svegliato dal rumore. E in casa c’era anche la sorellina, una bambina di due anni. Ragazzi che sono stati adesso affidati al nonno 80enne.
Sul fronte delle indagini, la squadra mobile ha acquisito le chat tra Sara e un amico in cui lo stesso Hicham si inseriva. Uno scambio di messaggi via Facebook che rafforza il quadro apparso evidente da subito come movente del duplice omicidio e ovvero una tensione degenerata oltre i limiti.
Dall’uomo arrivavano minacce come “A te ti taglio la gola”. E Sara chattando parlava del compagno come di un ex, raccontava di aver già fatto quanto necessario per ottenere l’allontanamento giudiziario. “Non posso semplicemente buttarlo fuori, se lui va alla polizia sono obbligata a farlo entrare in casa”.
La giovane madre – ricostruisce il Corriere fiorentino – aveva detto al suo amico di essere andata dai carabinieri, ma le avrebbero detto che “senza un referto o un livido” era difficile ottenere una misura del giudice. Lei diceva “questa è casa mia, non me ne vado solo per far uscire lui”.
A quanto emerso, il sabato di Pasqua lei era andata anche in caserma per parlare di una intrusione di lui nel suo telefono. Stando ad alcune testimonianze, poi, un mese fa Sara aveva fatto uscire di casa il compagno per poi riprenderlo con sé circa dieci giorni dopo.
Tra i racconti c’è anche quello del datore di lavoro che ha parlato di tensioni all’ordine del giorno. “Sara era sempre tesa, lui aveva problemi con l’alcol”. Forse anche per tutte queste tensioni con loro c’era nonna Brunetta, che da tempo aveva lasciato la sua casa di Ceciliano per dormire con la figlia. Nella giornata di lunedì, intanto, sarà effettuata l’autopsia sui corpi di Sara Ruschi e della madre Brunetta Ridolfi. L’esame servirà per accertare la dinamica con maggiore esattezza.
Duplice femminicidio di Arezzo, in centinaia ai funerali: “Feriti nell’anima anche i figli di Sara”
L’intera comunità di Arezzo ha partecipato ai funerali di Sara Ruschi e di sua madre, Brunetta Ridolfi, uccise in casa dal 38enne Jawad Hicham. “Siamo sconvolti e indignati per le ferite inferte anche all’animo dei due figli che hanno assistito al delitto”
“Sconcerto, sgomento, rabbia, dolore e silenzio sono alcune delle cose che portiamo nel cuore come persone e come comunità davanti all’ultimo saluto per Sara e Brunetta”. A pronunciare queste parole, il vescovo di Arezzo Andrea Miglivacca che ha celebrato i funerali di Brunetta Ridolfi e sua figlia Sara Ruschi, di 35 anni. Mamma e figlia sono state uccise da Jawad Hicham, il 38enne compagno di Sara e padre dei suoi due figli. “Ci indigna ancor di più il fatto che questo delitto sia costato la vita a due donne indifese e innocenti, un atto di assoluta assenza di umanità e cieca violenza – ha continuato il vescovo durante l’omelia -. Il tutto è avvenuto davanti ai figli di Sara, ai quali sono state inferte ferite morali indicibili proprio nella loro abitazione. Insieme a questi sentimenti ci accompagna la convinzione che la giustizia possa e debba fare il proprio corso verso chi ha perpetrato questa atrocità”.
Le due donne sono state uccise ad Arezzo nella notte tra il 12 e il 13 aprile. Il delitto è avvenuto nella casa che Sara condivideva con il compagno 38enne e con i due figli di 16 e 2 anni. La 35enne è stata accoltellata almeno 20 volte anche sul volto e sull’avambraccio. Brunetta Ridolfi, invece, è morta nel tentativo di difendere la figlia dall’aggressione. Il delitto si è consumato davanti ai figli della coppia: il 16enne, svegliatosi per le urla, ha preso la sorellina di 2 anni dal lettino ed è scappato di casa. Una volta messa in salvo la bambina, ha chiamato i soccorsi e le forze dell’ordine che però sono arrivati sul posto troppo tardi.
Il 38enne è stato arrestato, ma non ha ancora fornito un movente per quanto fatto. Secondo le indagini, l’uomo avrebbe agito dopo un litigio familiare che la 76enne Brunetta Ridolfi avrebbe interrotto per fare da paciere.
Ai funerali delle due vittime era presente il figlio 16enne della coppia, il nonno, gli zii e i compagni di scuola che hanno voluto mostrare la loro vicinanza. “Davanti a tanto dolore e violenza, di fronte alla barbarie del delitto che è stato scatenato, ci poniamo un’altra domanda: cosa possiamo fare? Cosa possiamo fare noi di fronte all’irreparabile? – ha continuato durante l’omelia il vescovo Miglivacca – C’è un gesto che è capace di trasmettere quanto abbiamo nel cuore, un gesto che ci apre all’incontro con l’altro: l’abbraccio”. “Questa stretta, alla famiglia delle vittime, alla comunità aretina e a Sara e Brunetta, le consegnerà alle braccia misericordiose del Padre che accoglie”.
Sara Ruschi, vittima del duplice omicidio di Arezzo: chi era, il lavoro da cuoca e quell’ultimo viaggio
La lite e le coltellate nella notte. Un mese fa la donna aveva cacciato il compagno di casa per poi farlo rientrare
Sara aveva staccato alle 22.30 dal suo ultimo turno di lavoro al Park Hotel di Castiglion Fiorentino, un albergo a 4 stelle a venti minuti di strada da Arezzo. Inutilmente, il direttore Renato Felici le aveva chiesto di fermarsi ancora in albergo, di curarsi una scottatura rimediata in cucina: «Non posso, a casa ho la bambina di due anni che mi aspetta, non può fare a meno di me». Le sue ultime parole serene, prima di salire in auto, di rientrare nell’appartamento di via Benedetto Varchi, di trovarsi impigliata nell’ultima lite con un marito che aveva amato fin da ragazzina ma che ormai le era diventato insopportabile: aveva già chiesto l’aiuto di un avvocato per le botte prese.
Si erano innamorati giovanissimi, lei e Jawad Icham, il compagno assassino, poco più che ventenni avevano già messo al mondo il primo figlio, nonostante la famiglia della giovane non avesse mai approvato questo rapporto diventato matrimonio misto.
Più gentile la suocera che il magrebino ha poi massacrato a coltellate, pronta ancora, pur di aiutare la figlia, a dormire sempre più spesso nella casa della coppia e dei nipoti, sempre pronta a stemperare le tensioni. Più duro il suocero, che dalla sua abitazione di Ceciliano, una frazione a nord di Arezzo, sulla strada verso il Casentino, di questo genero violento e nullafacente non ne voleva proprio sapere.
Un’esistenza come tante, quella di Sara Ruschi, l’infanzia in un paesino diventato ormai periferia di Arezzo, la scuola, le amicizie, la storia con Jawad, le nozze, i figli, nati a quattordici anni di distanza l’uno dall’altro, la seconda forse per rinsaldare una relazione già in crisi, il lavoro, da dieci anni come aiuto cuoco, responsabile della pasticceria, nell’albergo di Castiglion Fiorentino.
«A ripensarci — racconta il direttore Felici — non l’ho mai vista sorridere. È la cosa che di lei mi ha sempre colpito». Il sintomo di un cruccio che col tempo era diventato qualcosa di peggio.
Al Park Hotel lo sapevano tutti di questo marito violento, che qualche volta si faceva vedere anche dentro la struttura. Lei viaggiava sempre col cappellino da cuoca ben ficcato in testa e qualcuno dei colleghi, si mormora adesso, sospettava anche che fosse per nascondere i lividi delle botte. Mercoledì sera, però, la scottatura in cucina non c’entrava con il turbolento magrebino. «Ho usato il rimedio della nonna — spiega ancora Felici — e le ho consigliato di rimanere finché il dolore non fosse passato, ma lei niente».
Giovedì mattina, racconta un’altra collega, le aveva portato dei vestitini dismessi della figlia perché Sara li riutilizzasse per la bimba più piccola ancora al nido. Lo sapevano tutti dei suoi problemi economici. Invece, quando è arrivata al lavoro, ha scoperto che era già finito tutto. Non c’è collega che non descriva la vittima di questo ennesimo femminicidio (ma ad Arezzo non se ne registravano da parecchi anni) come taciturna, chiusa, dedita al lavoro, senza distrazioni. «Una bravissima professionista», la ricorda ancora Felici. Quando le altre e gli altri si prendevano una pausa e si ritrovavano nel gazebo esterno all’hotel, lei non c’era mai, sempre occupata per mantenere una famiglia pesante. Ai figli ci pensava spesso la mamma, nella casa di Ceciliano, i genitori di lei davano una mano anche per le altre spese. Difficile per tutti immaginare che quando hanno visto Sara salire in auto per tornare ad Arezzo fosse anche l’ultima volta prima del finimondo, delle coltellate, della morte in ospedale dopo un paio d’ore di terribile agonia.
Femminicidio di Arezzo, il figlio di Sara Ruschi prova a riprendersi la vita: «Ce la faremo»
Sedici anni e una storia più grande di lui: nella notte in cui il padre gli ha ucciso mamma e nonna ha dato l’allarme al 118 ed è scappato con la sorellina di due anni. Ieri la partita dell’Arezzo con lo zio.
Nella notte di mercoledì in cui il padre gli ha ucciso mamma e nonna non solo è stato lui a dare l’allarme al 118 ma ha avuto anche la presenza di spirito di prendere in braccio la sorellina di due anni e scappare giù per le scale, dove lo hanno incrociato i primi soccorritori. Per il sedicenne del doppio femminicidio di via Varchi, però, già la domenica è un altro giorno, allo stadio comunale, dove l’Arezzo ha conquistato la promozione anticipata in serie C.
Il ragazzo, che inizialmente doveva essere in tribuna su invito della società amaranto, è stato fatto entrare direttamente a lato del terreno di gioco, posto privilegiato in cui ha visto la partita in compagnia dello zio Roberto Ruschi, fratello della madre per parte di padre, quel nonno che adesso si prende cura dei nipoti, affidatigli in via provvisoria con un provvedimento di urgenza della procura minorile di Firenze.
L’Arezzo, che ha giocato col lutto al braccio per le due vittime del delitto, ma anche le autorità presenti, a cominciare dal capo della Mobile Sergio Leo che guida le indagini, hanno voluto premiare la forza d’animo di un figlio che non si è fatto spaventare da una tragedia che avrebbe scosso gente molto più grande di lui ed anzi, quella stessa notte, è riuscito anche, in forma protetta, a raccontare agli uomini della Mobile e al Pm Marco Dioni quanto lui aveva visto del finimondo che gli ha distrutto la famiglia, ormai ridotta a lui e alla bambina.
Non a caso, l’ordinanza di custodia cautelare che il Gip Giulia Soldini ha letto in aula sabato mattina al termine dell’udienza di convalida dell’arresto di Jawad Hicham, il padre assassino, si basa fondamentalmente su alcuni passaggi della sua testimonianza. «Ce la faremo», ha detto lui prima che cominciasse la partita, una giornata di festa con la morte le cuore, ma pur sempre una distrazione.
Adesso il ragazzino torna a scuola, ad appena cinque giorni dal delitto che gli ha cambiato la vita. Forse presto dopo uno choc del genere, ma stare a casa del nonno, nella frazione di Ceciliano in cui vive, e ripensare continuamente alla scena di cui è stato involontario comprimario è persino peggio. Le lezioni possono diventare in una situazione così una distrazione da una realtà terribile. Ad accoglierlo, all’istituto professionale in cui frequenta la seconda classe, c’è proprio in queste ore il preside Roberto Santi, molto noto per le sue iniziative volte a pubblicizzare la scuola, pronto a riceverlo prima che squilli la campanella, per rendergli meno difficile, con la massima delicatezza, questo rientro in classe. Poi l’incontro con gli insegnanti, che anche loro hanno preparato un’accoglienza particolare, ed i compagni di scuola.
Un’esperienza nuova per tutti, compresi i coetanei: nessuno, né il sedicenne né gli amici aveva mai avuto un contatto così diretto con la morte, tanto meno con la morte nel suo aspetto più orribile. Anche la sorellina del sedicenne è già tornata nel nido cui è iscritta fin dalla più tenera età. La mamma Sara non poteva tenerla con sé per i suoi impegni di lavoro ma l’ultimo pensiero sereno è stato per lei, quando alle 10 e mezzo di sera, finito il turno di cuoca al Park Hotel di Castiglion Fiorentino, ha rifiutato l’invito del direttore a fermarsi in albergo: «Non posso, ho la mia bambina che mi aspetta a casa».
E pensando alla situazione di entrambi i figli, di età così diversa fra loro ma tutti e due legati al mondo della scuola, il dirigente scolastico provinciale (una volta si chiamava provveditore agli studi) Roberto Curtolo, ha inviato una circolare a presidi e studenti: «Apprendiamo attoniti e sgomenti quanto accaduto nella notte del 13 aprile che ha tragicamente coinvolto la famiglia di un nostro studente. La Comunità Scolastica aretina si stringe intorno a lui, così duramente e precocemente colpito negli affetti più cari e all’Istituto Statale di Istruzione Superiore Margaritone di Arezzo che frequenta».
Curtolo invita le scuole ad ammainare le bandiere a mezz’asta e chiede ai ragazzi di partecipare in massa ai funerali,di cui non si sa ancora né data né luogo. Anche il Vescovo Andrea Migliavacca, in carica da novembre, assicura la sua partecipazione: «In questo momento così difficile sono vicino ai familiari e assicuro la mia preghiera».
Si attende a breve l’autopsia su Sara Ruschi, 35 anni, e la madre Brunetta Ridolfi di 76. Nessuno si aspetta novità sconvolgenti su un femminicidio che ad Arezzo è il secondo in nemmeno sei mesi, dopo la mamma soffocata dal figlio col cuscino ad ottobre. Con l’assassino, Manuele Andreini, assolto pochi giorni fa dalla corte d’assise per totale infermità di mente.
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