Rajmonda Zefi, 30 anni, imprenditrice, mamma. Strangolata e massacrata di botte dal marito, che poi getta il corpo in un burrone e va a cercarla a Chi l’ha visto?
Massarosa (lucca), 31 Dicembre 2010
Titoli & Articoli
In Versilia scomparsa un’altra donna, il marito non convince i carabinieri (la Repubblica – 6 gennaio 2011)
Rajmonda Zefi, albanese di 30 anni, è madre di due bambini di 3 e 8 anni, è sparita la notte di San Silvestro. La coppia era in crisi e gli investigatori dubitano della testimonianza del coniuge.
I tempi e i modi con cui Francesco Quinci, 36 anni, ha denunciato la scomparsa della moglie Rajmonda Zefi, 30 anni albanese, da otto sposata con lui, e madre di due bambini di 8 e 3 anni, non convincono i carabinieri della compagnia di Viareggio che su disposizione della Procura di Lucca hanno sequestrato la casa in via Matteotti a Stiava, frazione del comune di Massarosa (Lucca) e l’auto dell’uomo, una Honda Civic. Gli investigatori non credono all’allontanamento volontario: la sua auto è rimasta a Viareggio e, dice il marito, non avrebbe mai lasciato i figli ai quali è molto attaccata.
Rajmonda è stata vista da Quinci l’ultima volta la mattina del 31 dicembre. Da allora se ne sono perse le tracce e il suo telefonino è spento. L’auto della donna, una Toyota Corolla, è dai parenti di lei. I genitori ed i fratelli vivono a Viareggio da diversi anni. Di recente insieme con dei connazionali albanesi aveva messo su una ditta individuale che organizzava spettacoli ed eventi: prima di sparire stava lavorando per organizzare una festa nell’ex Caprice sul lungomare di Viareggio proprio per Capodanno. Alla festa la donna però non è mai arrivata. Alta 1,65 metri, magra, bionda, occhi marroni, Rajmonda è una bella donna.
Il bambino di otto anni si trovava in questo periodo da parenti in Sicilia, mentre la bambina di tre anni è con il padre che lavora come marmista. Nella coppia ci sarebbero alcuni problemi, una crisi che dura da tempo. I carabinieri stanno ascoltando i connazionali che hanno avuto fino ad oggi rapporti con la donna e i familiari, oltre naturalmente al marito. Del caso si occuperà anche “Chi l’ha visto”.
Viareggio e la Versilia vivono un nuovo giallo dopo quello della scomparsa di Claudi Vera Carmazzi, 59 anni, e di sua madre Maddalena Semeraro, sparite nel settembre scorso, dopo aver vissuto gli ultimi mesi in stato di indigenza in due roulotte in un campo senza acqua e luce di via dei Lecci a Torre del Lago. Indagato per la loro scomparsa è indagato Massimo Ramerini, amico di famiglia e anche l’uomo che avrebbe convinto le due donne a vendere due appartamenti di loro proprietà, di cui, però, non si trova più il racavato.
Rajmonda era nel bosco Il corpo gettato dal marito (Corriere Fiorentino – 8 gennaio 2011)
Svolta nel giallo di Rajmonda Zefi, la giovane albanese scomparsa da giorni da Stiava. Il marito nella notte ha confessato: «E’ morta cadendo dalle scale dopo una lite»
La moglie era scomparsa dal 31 dicembre, ma non per sua volontà: era stato il marito, Francesco Quinci, 35 anni, artigiano, ad averne nascosto il cadavere in un bosco sperduto della Versilia, a Stazzema (Lucca), a 30 km da casa. Lui stesso, confessando, ha indicato ai carabinieri dov’era il corpo di Rajmonda Zefi, 30 anni, albanese, da cui aveva avuto due figli, 8 e 3 anni, dicendo che era morta per un incidente, cadendo sulle scale durante un litigio. Ora Quinci, che il 3 gennaio scorso aveva denunciato la scomparsa della donna, è in carcere, in stato di fermo, per omicidio volontario e occultamento di cadavere.
Dopo che il Ris ha trovato tracce di sangue nella casa e anche nell’auto, Quinci ieri è stato nuovamente convocato come persona informata sui fatti. Era la quarta volta, ma questa ci è rimasto tutta la notte; alle 2 ha chiamato i suoi legali; alle 4 la confessione. «Litigavamo, è caduta ed ha battuto la testa per le scale di casa, non sapevo cosa fare, l’ho caricata in auto con un telo e l’ho portata via», avrebbe detto Quinci. «Ai carabinieri ha detto che si è trattato di un incidente durante un litigio familiare – ha ribadito il suo avvocato Carlo Alberto Antongiovanni -. Da giorni lo vedevamo frastornato e senza le idee chiare, lo abbiamo spronato a liberarsi e a dire bene quello che sapeva».
C’era stata una lite il mattino del 31 dicembre. Un amico albanese, aveva avvisato via telefono Rajmonda di prepararsi per andare con lui. Per Quinci una scintilla per l’ennesimo scontro in un rapporto familiare lacerato da tempo, mentre i bimbi erano assenti; dai parenti per le feste. Così l’artigiano avrebbe intimato alla moglie di fermarsi per parlare della loro «situazione», cioè un matrimonio ormai deteriorato. La donna, ancora in pigiama, gli avrebbe risposto che la sera del 31 dicembre non sarebbe tornata a casa, a quel punto si sarebbe divincolata, sarebbe caduta per le scale battendo la testa più volte. Però non crede all’incidente il pm di Lucca, Sara Polino, lo stesso magistrato che indaga su un altro caso di scomparsa, quello delle due donne di Torre del Lago, madre e figlia, Claudia Velia Carmazzi, 59 anni, e Maddalena Semeraro, 80, sparite dall’agosto scorso.
Troppi indizi vanno contro l’artigiano: non aver chiamato il 118 per soccorrere la donna; aver gettato il corpo in un dirupo sperduto; aver taciuto la verità per giorni. E poi quello che dice Quinci cozza con la testimonianza di una vicina che il mattino del 31 dicembre udì una lite furiosa poi spentasi nel silenzio totale: cos’era successo? Inoltre, l’esame esterno sul cadavere fatto dal medico legale, prima dell’autopsia prevista lunedì a Viareggio, avrebbe rilevato tracce di una presa, all’apparenza di mani, sul collo della donna.
Quinci lavora come marmista nella ditta di famiglia, mentre Rajmonda Zefi lavorava nel mondo dello spettacolo e dei locali notturni, come titolare di una ditta organizzatrice di eventi avviata con amici albanesi. La sua attività avrebbe contribuito ad acuire le tensioni tra i due coniugi, al punto da vivere come separati nella casa di Stiava pur accudendo normalmente i figli e, a parte qualche lite, senza dare ai vicini motivo di sospettare una crisi familiare più grave e lacerante. La mattina del 31 dicembre la lite sarebbe scoppiata per la telefonata con cui uno degli amici chiamava la donna forse proprio per dedicarsi ai preparativi dei festeggiamenti per il Capodanno in un evento organizzato dalla sua società.
«Dormiva chiusa a chiave da due anni» (il Tirreno – 12 gennaio 2011)
Parla l’avvocato Petroni che ha curato la separazione: aveva paura
Rajmonda Zefi da due anni «dormiva, chiusa a chiave, in una stanza diversa da quella del marito». La testimonianza, fondamentale, è quella di Anna Petroni, il legale cui Rajmonda si era rivolta per chiedere la sperazione. «È venuta da me in ottobre – è il ricordo dell’avvocato – ed ho provveduto ad informare il signor Quinci mediante raccomandata». Anna Petroni ha raccontato tutto ai carabinieri, fornendo tutto il materiale in suo possesso: «Ho saputo dell’accaduto la sera dell’Epifania, guardando il Tg3. La mattina dopo mi sono presentata in caserma, per quanto di mia competenza».
La testimonianza del legale mette i brividi: «Ho atteso la risposta del signor Quinci o di un suo avvocato. Ma Rajmonda è tornata per spiegarmi che lui non ne voleva neppure parlare». La giovane madre racconta all’avvocato di aver annunciato al marito l’intenzione di separarsi. Ottenendo da lui solo l’atteggiamento di chi «non ne vuol sapere niente». Così, il 3 dicembre l’istanza è stata presentata in Tribunale. Le parole dell’avvocato Petroni stringono il cuore: «L’unica preoccupazione della signora Zefi era quella di non ostacolare il rapporto tra il padre ed i due bambini. Non voleva strappare i figli al marito in alcun modo. Non voleva che loro mancassero a lui e lui a loro».
Rajmonda non aveva, al momento, nessuna fonte autonoma di reddito. Il futuro che le si presentava davanti era quello di vivere con gli alimenti che Francesco Quinci avrebbe dovuto passare. «Abbiamo fatto la richiesta per il gratuito patrocinio – spiega Petroni – ed è stata accordata. Perché la mia cliente risultava nullatenente». A rendere ancora più difficile il passo verso la nuova vita, la malattia che affliggeva Rajmonda (come testimoniato dalle sue amiche al “Tirreno” nei giorni scorsi): forti emorragie che l’avrebbero portata di nuovo sotto i ferri, a breve. E che le rendevano impossibile anche il minimo sforzo. «Una donna moralmente e fisicamente provata», la ricorda l’avvocato: «Recentemente era tornata da me in lacrime. Cambiando gestore di telefonia aveva perso gli Sms di minacce, sia fisiche che morali, che il marito le aveva inviato. Ho testimoniato di questo ai carabinieri che potranno risalire al contenuto. Perché lì era tutta la paura di Rajmonda». I fatti snocciolati, passaggio dopo passaggio, da Anna Petroni sono stati elemento fondamentale per la ricostruzione del clima familiare e per i passi che gli investigatori hanno poi fatto per arrivare alla confessione di Francesco Quinci, 36 anni, in carcere con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere.
Stretti mano nella mano L’ultimo saluto a Rajmonda (La Nazione – 14 gennaio 2011)
L’hanno salutata per l’ultima volta nel modo più triste, più ingiusto, dentro ad una cassa di legno chiaro. La mamma e il papà di Rajmonda Zefi, la giovane madre uccisa la mattina del 31 dicembre dalle mani dell’uomo che aveva sposato, non avevano mai creduto che la loro figlia se ne fosse andata via da Stiava senza salutare, senza portare con sè i suoi due bambini: la piccola Hebby, di appena 3 anni, e Eric, l’ometto di 8. E infatti…
Ieri, nella chiesa di San Paolino, mamma e papà Zefi sono rimasti vicini. Le mani strette l’una in quella dell’altro per affrontare il funerale di Monda, come tutti la chiamavano affettuosamente, con la stessa dignità e compostezza con cui hanno sopportato la verità: un pugno nello stomaco. Accanto a loro anche i tre fratelli della giovane albanese, ormai viareggina, Brigel, Klejd e Nico.
Mentre papà Zefi si è alzato per ricevere l’eucarestia, il più piccolo dei suoi figli gli ha sistemato con amore la giacca marrone scivolata dalla spalla. Un gesto semplice, premuroso, che ha lasciato trapelare il forte legame che unisce questa famiglia albanese, arrivata a Viareggio per costruirsi un futuro felice e che invece dovrà fare i conti con il più tremendo dei dolori. Tutt’intorno uno stuolo di amici, di parenti, l’intera comunità albanese e tanti di noi. In un angolo, sistemati uno accanto all’altro sulle panche, anche i vicini di casa di quella che un giorno era la giovane famiglia Quinci. Sgomenti, sconvolti. Loro che dopo la funzione sono tornati tra le lacrime nelle loro case, arroccate sulla collina, in via Matteotti 814 a Stiava. Della famiglia di Francesco Antonio, marito e carnefice, non si è visto nessuno. A ricordarlo i nomi dei suoi figli, sangue del suo sangue, scritti sulla coccarda adagiata su un bouquet di rose bianche sistemato ai piedi di mamma Rajmonda.
Il compito più difficile, quello di lenire con le parole una ferita che non si rimarginerà più, è toccato a Don Franco Martinelli che ha stigmatizzato ogni gesto di violenza provando comunque a infondere un po’ di speranza. “Anche Gesù — ha detto nella sua omelia — ha subìto la più ingiusta delle violenze e sulla croce si è sentito solo e abbandonato da tutti. Proprio come Rajmonda. Però, nel buio della sofferenza, ha trovato la luce nella resurrezione. Anche Rajmonda saprà trovarla”. L’uscita del feretro dalla chiesa di San Paolino, portato a spalla dai familiari, ha lasciato nell’aria l’odore acre dell’incenso. Poi la bara è stata accompagnata al cimitero della Misericordia dove Rajmonda riposerà per sempre.
Mamma e papà Zefi sapevano che la loro figlia non se n’era andata di sua volontà. Ma accettare che a portarsi via quella ragazza dai capelli biondi e dal sorriso enorme sia stato proprio Francesco Antonio Quinci, l’uomo a cui papà Zefi aveva lasciato sua figlia all’altare il giorno del matrimonio, è davvero troppo. Ora non solo dovranno fare i conti con la realtà, ma dovranno aiutare le loro piccole creature, Hebby e Eric, a capire quello che nessuno è ancora in grado di spiegare…