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Pamela Mastropietro, 18 anni. Violentata, massacrata, uccisa a coltellate, fatta a pezzi e abbandonata dentro due valige

Macerata, 30 Gennaio 2018

 


Titoli & Articoli

“Il regalo più bello? Cenare con mamma e papà”, chi era Pamela Mastropietro (FanPage – 1 febbraio 2018)
Dietro il demone della droga e la solitudine che si portava dentro, c’erano la grinta, la voglia di vivere e l’infinita tenerezza di una diciottenne. Ecco chi era Pamela Mastropietro, la ragazza uccisa a Macerata durante la sua fuga dalla comunità per tossicodipendenti. “Il regalo più bello è cenare con mamma e papà”, scriveva su Facebook.
Originaria di Roma, quartiere San Giovanni, la formazione professionale come estetista al centro Luigi petroselli, Pamela Mastropietro, 18 anni, ha finito i suoi giorni lontano da casa, a Corridonia (Macerata) dove si trovava ospite di una comunità di recupero per tossicodipendenti. Uccisa e smembrata, fatta a pezzi con meticolosa cura da chi le ha strappato la vita e poi abbandonata in una valigia come una bambola rotta, a 15 chilometri dalla comunità dove era ricoverata.
In molti in queste ore si stanno chiedendo chi era Pamela, cosa l’ha portata in quella struttura tanto lontana dalla sua città. È la stessa Pamela a rispondere dalla sua pagina Facebook, un catalogo di foto, canzoni e citazioni, che tratteggia la complessa personalità della diciottenne che sognava di lavorare nel salone di bellezza della mamma. Su tutto emerge la dipendenza dagli stupefacenti, un demone con cui Pamela ha combattuto a lungo e al quale, più di una volta, ha dovuto soccombere. “Tutti dipendiamo da qualcosa che ci fa dimenticare il dolore”, scrive.
Anche se fragile, Pamela non era una ragazza rinunciataria: “Combino guai e a volte trovo soluzioni. Ma faccio di testa mia e va bene così”. Sì: Pamela era inarrestabile e infatti già una volta, a ottobre 2017, era fuggita dalla comunità di recupero. Con gioia mamma Alessandra aveva annunciato che la sua bambina era stata ritrovata augurandosi che fosse l’ultima volta, ma Pamela, come tutti in famiglia sapevano, faceva ‘di testa sua’. Anche l’ultima, quella fuga nel freddo gennaio, era una delle sue alzate di testa, l’ennesima ribellione per sfuggire ai suoi demoni, primo fra tutti quello della solitudine, o andarvi incontro, come poi è successo. Di lei restano la grinta e la rabbia, i colori sgargianti che indossava, i sorrisi, e quell’ombra di solitudine sul viso che non l’abbandonava mai. E  la tenerezza, che dissimulava dietro quell’aria da dura. “Il regalo più bello?” scriveva – cenare con mamma e papà”.

 

I genitori di Pamela a Porta a Porta: “Ma quale overdose. E’ successo qualcosa in quella comunità” “Non crediamo alla morte per overdose di Pamela. Qualcosa deve essere successo nella comunità che la ospitava”. Così i genitori di Pamela Mastropietro, la 18enne uccisa a Macerata, ieri sera a Porta a Porta (Rai News – 21 febbraio 2018)

 

La madre di Pamela Mastropietro: «Mia figlia perduta, lo spacciatore che l’ha fatta a pezzi, i mostri: io non perdono» (Corriere della Sera – 19 agosto 2023)
Cinque anni fa, a Macerata, vengono trovati due trolley: dentro c’è il cadavere fatto a pezzi di una ragazza di 18 anni. La madre Alessandra: «Mi è comparsa in sogno, mi ha detto che lei è viva. Credere in Dio mi ha aiutata. Non voglio più pagare le tasse a uno Stato che non tutela le sue vittime, per questo mi sono licenziata»
Alessandra Verni ci accoglie con un sorriso e una forte stretta di mano. «Tornare a sorridere è possibile quando c’è la fede, so che mia figlia è qui, al mio fianco, c’è Dio insieme a noi, ho vissuto una rivoluzione interiore, cinque anni fa ero sconvolta dalla disperazione, non uscivo di casa, soltanto pianti, poi mi sono venuti in soccorso i sogni, quando ho festeggiato 40 anni Pamela mi ha parlato nel sonno, mi ha detto di non pensare al suo corpo fatto a pezzi perché lei è viva. E così ho ritrovato la forza».
DOPO L’ASSASSINIO, LA MADRE ALESSANDRA HA LASCIATO IL SUO LAVORO DI PARRUCCHIERA: «NON VOGLIO PIU’ PAGARE LE TASSE A UNO STATO CHE NON TUTELA LE SUE VITTIME»
Alessandra questa forza la sprigiona dai suoi occhi verdi abbaglianti e dal suo sorriso agguerrito, che all’improvviso può sfociare in un pianto. Sull’avambraccio destro porta un grande tatuaggio con il volto della figlia e due ali d’angelo, sulla coscia sinistra una piuma con il segno dell’infinito e la scritta “Infinitamente manchi ma ci sei”. Al collo ha una collanina con scritto “Pamela” e una medaglietta con una Madonnina. Al braccio destro porta un rosario di legno con un crocifisso e un’altra Madonnina. «Anche mia figlia portava un rosario al braccio e una collanina con la Madonnina, gliel’hanno strappata».
Frammenti di vita. Pamela Mastropietro aveva soltanto 18 anni quando fu violentata e uccisa, poi fatta a pezzi e lavata con la candeggina. Il suo corpo fu ritrovato dentro due trolley. Lo scorso gennaio la sentenza della Corte d’Assise di Appello di Perugia ha confermato la condanna per violenza sessuale al nigeriano Innocent Oseghale, che sta scontando l’ergastolo a Forlì in attesa della sentenza finale in Cassazione. «Ma fuori ci sono altri mostri» continua a ripetere la madre, che all’improvviso si oscura. Poi torna la dolcezza, s’irradia da queste foto sparse sul tavolo che ritraggono una madre e una figlia, nel loro viaggio durato 18 anni: il 23 agosto Pamela ne avrebbe compiuti 24. Alessandra le sparge davanti a se, le accarezza con la mano, di tanto in tanto ne prende una per baciarla. Frammenti di vite. «Guardi questa, eravamo a Eurodisney».
Il viaggio e la scuola. Quel viaggio fatto quando aveva poco meno di 10 anni: «Io avevo paura dell’aereo e allora costrinsi mia figlia a farsi 14 ore di treno fino a Parigi. Fu bellissimo. Lei adorava Paperino e voleva a tutti i costi una foto con lui, ma Paperino non si trovava, era l’ultimo giorno di vacanza quando all’improvviso spuntò fuori, lo inseguimmo per chiedergli una foto e un autografo, lo abbracciammo forte». Le foto raccontano una storia, l’amore materno e questa figlia, l’unica figlia, così amata. Verona, Capodanno: Pamela e Alessandra abbracciano la statua di Giulietta. Sardegna 2009, mamma e figlia si baciano sulla bocca e sorridono, il mare dietro. Fermo immagine, ancora più indietro. Il compleanno dei 3 anni: «Era la prima volta che facevo il tiramisù e mi venne talmente bene che Pamela si leccò tutto il cucchiaio». Ride e poi piange Alessandra. Ancora scatti. Il primo giorno di scuola elementare, un grembiule rosa col colletto bianco. E poi lo sport: in piscina attaccate al bordo con le cuffie uguali, bianche e rosse. Ancora al mare, Santa Marinella coi braccioli. Ancora la prima infanzia, lei col ciuccio: «Lo chiamava “diddi” perché non sapeva pronunciarlo». E Cicciobello in braccio.
Anni difficili. E poi arrivano gli anni dell’adolescenza. Pamela soffre per la separazione dei genitori, avvenuta quando lei era piccola ma i cui strascichi si protraggono inevitabilmente. E poi la scomparsa della nonna paterna alla quale era legatissima. Sviluppa una forma di disturbo borderline, con sbalzi d’umore e scatti d’ira. A 17 anni inizia a frequentare un ragazzo più grande che le fa prendere strade sbagliate. Alcol, poi droga, sostanze con cui Pamela cerca di far tacere i suoi demoni. Iniziano i furti in casa per comprare le sostanze, poi le fughe, la madre che affigge volantini con il volto della figlia per ritrovarla nei quartieri della periferia romana. Arriva il ricovero nel reparto di psichiatria dell’ospedale, poi in due cliniche, quindi la comunità di recupero a doppia diagnosi a Corridonia, vicino Macerata. È il 18 ottobre 2017.
I genitori vanno a trovarla una volta al mese, come previsto dalla comunità. «Però ogni notte, prima di dormire, le scrivevo un pensiero su un quaderno, quei quaderni si sono riempiti giorno dopo giorno e sono diventati tre, l’ultima pagina l’ho lasciata bianca perché ho detto a mia figlia che l’avrebbe dovuta scrivere lei quando sarebbe tornata a casa». Vanno a trovarla anche il giorno di Natale. La madre le consegna una foto che raffigura Pamela e dietro ci scrive col pennarello rosso: «Sei bellissima amore mio. Sempre forza e coraggio, Sono orgogliosa di te. Ti amo per sempre». Pamela vive giorni difficili, nonostante le ricadute a gennaio salva la vita a una compagna di stanza che sta tentando il suicidio.
L’orrore finale. La madre torna a trovarla dal 18 al 21 gennaio. È l’ultima volta che si vedono. Pamela si allontana dalla comunità il 29 gennaio, si ritrova per strada dove incontra una signora che le offre un passaggio in auto alla stazione degli autobus di Corridonia Mogliano. Qui le si avvicina un uomo che, invece di accompagnarla in comunità la porta nel suo garage, dove avrebbero avuto un rapporto sessuale. Dopodiché la ragazza avrebbe voluto prendere un treno per fare ritorno a casa, sale su un treno e arriva a Macerata, dove trova il passaggio di un tassista che a sua volta la invita a casa e le offre da bere per poi avere un rapporto sessuale. I l giorno dopo torna alla stazione, da un altro tassista si fa accompagnare ai giardini Diaz, dove c’è la fermata degli autobus per Roma Tiburtina. Si siede ai giardini ed è qui che incontra Oseghale, pusher nigeriano. La mattina dopo un passante nota la presenza di due trolley abbandonati in un fossato a pochi chilometri da Macerata. Dentro viene trovato il cadavere, smembrato, di Pamela. Quelle foto la madre le ha viste, le ha stampate su una maglietta che ha indossato prima del processo bis a Perugia.
La richiesta di giustizia. E le mostra di nuovo a noi, le conserva nel suo cellulare: «Queste sono le braccia, queste le gambe, questa la testa di mia figlia, guardate, guardate». Adesso non c’è più quel sorriso iniziale, Alessandra diventa una furia: «Guardate la perfezione chirurgica con cui è stato smembrato, Oseghale aveva sicuramente dei complici, chiedo alla giustizia italiana di cercarli, ci sono due Dna che non sono stati cercati ma individuati dai Ris». Poi si porta le dita sugli occhi, si asciuga le lacrime: «La mia cucciola era bellissima, ci scambiavano per sorelle». Alessandra trova conforto nella fede. Questa estate la sta passando da sola in un eremo in Lombardia e poi al piccolo Cottolengo a Tortona. Ha seguito un corso di riabilitazione equestre perché a Pamela piaceva tantissimo l’equitazione. Un altro modo di essere vicina a sua figlia.
Progetti di vita. Vuole spendere la vita per aiutare gli altri. Ha lasciato il lavoro di parrucchiera perché «dopo le archiviazioni delle indagini sui complici e dopo la morte del padre di Pamela avvenuta pochi mesi fa, non voglio più pagare le tasse a uno Stato che non tutela le proprie vittime, oltre al vitto e alloggio a Oseghale in carcere che ha due avvocati di fiducia e otto consulenti pagati non si sa da chi». Ha in mente tanti progetti: «Vorrei fondare un’associazione per aiutare i giovani e le famiglie in difficoltà».
La lettera. Pochi mesi fa, Alessandra ha scritto una lunga lettera a Oseghale (pubblicata dall’agenzia Adnkronos), in risposta alla lettera che l’uomo aveva scritto dal carcere sostenendo di essere addolorato e di non averla uccisa.
«È disumano e terrificante tutto quello che tu e i tuoi amici avete fatto a mia figlia. È disumano il fatto che tu ancora non sia veramente pentito. Non immagini le lacrime versate, il dolore forte al cuore come fossero tante pugnalate. Che puoi saperne, tu, della voglia di riabbracciare quel corpo che tu hai stuprato, ucciso, scuoiato, fatto a pezzi? Qui chi sta pagando e si farà veramente l’ergastolo sono io. Non mi fai pena. Sto male nell’immaginare tutto quello che ha passato mia figlia. Quello che tu hai fatto supera ogni livello umano di sopportazione e di dolore. Io non ti perdono. Ricorda: Gesù dice “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati”. Ed io ho tanta fame e sete di giustizia. Oseghale» conclude Alessandra «non aver paura delle persone che fingono di proteggerti, ma abbi paura dell’ira di Dio! Dio è con me».

 

L’omicidio di Pamela Mastropietro: il corpo fatto a pezzi nascosto in due valigie e la condanna di Oseghale (FanPage – 29 novembre 2023)
Pamela Mastropietro aveva 18 anni quando, il 30 gennaio 2018, venne uccisa in un appartamento di via Spalato a Macerata. Il suo corpo fatto a pezzi fu ritrovato il giorno dopo in due valigie abbandonate in un fossato di campagna a pochi chilometri dalla città. La giovane era scomparsa da 48 ore, dopo essere scappata da una comunità di recupero per tossicodipendenti dove era in cura.
Accusato del suo omicidio è il 30enne, di origini nigeriane, Innocent Oseghale, finito a processo per i reati di omicidio, violenza sessuale, vilipendio, distruzione e occulatmento di cadavere ai danni di una persona di inferiorità psichica e fisica il 13 febbraio 2019. Mesi dopo, il 29 maggio 2019, Oseghale è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi per omicidio e occultamento di cadavere. Il 16 ottobre 2020 anche la Corte d’Assise d’appello di Ancona ha confermato la sentenza.
Chi era Pamela Mastropietro, la ragazza uccisa a Macerata
La 18enne Pamela Matropietro era nata e cresciuta a Roma, nel quartiere di San Giovanni, e aveva studiato per fare l’estetista. Da adolescente le era stato diagnosticato un disturbo di personalità borderline e la ragazza aveva anche sviluppato una dipendenza dalla droga. Sul suo profilo Facebook si trovano tanti riferimenti ai suoi problemi. “Tutti dipendiamo da qualcosa che ci fa dimenticare il dolore”, scriveva.
Per questo si trovava nella comunità di recupero ‘Pars’ di Corridonia, in provincia di Macerata, per disintossicarsi. Ma anche in altre occasioni si era allontanata dalla struttura in cui era in cura, nessuno però poteva immaginare come sarebbe andata a finire il giorno della sua scomparsa: poco prima di sparire, infatti, durante la cena con gli altri ospiti della comunità, non aveva dato alcun segnale e aveva raccontato a un operatore di voler diventare una criminologa.
Cosa è successo a Pamela Mastropietro: l’invito a casa e l’assunzione di stupefacenti
Pamela scappa dalla comunità il 29 gennaio del 2018, portando con sé due valigie ma lasciando nella struttura documenti e telefono cellulare. La 18enne raggiunge la stazione di Piediripa, grazie al passaggio offertole da un 50enne di Mogliano, che raccontò poi successivamente di aver avuto un rapporto sessuale con la ragazza in cambio di denaro, diventando un testimone-chiave dell’inchiesta. Passa la notte a casa di un tassista e raggiunge Macerata, dove viene vista l’ultima volta ai giardini Diaz, nota piazza di spaccio della cittadina. Qui avrebbe incontrato il suo assassino, Innocent Oseghale, che sarebbe riuscito a convincere la ragazza a consumare della droga nel suo appartamento di via Spalato.
Come è stata uccisa: fatta a pezzi e messa in valigia
A scoprire i resti della giovane la mattina del 31 gennaio è un passante, che chiama i carabinieri perché nota due grosse valigie in un piccolo fossato non lontano dal cancello di una villetta in Via dell’Industria. L’uomo pensa che possa trattarsi di droga o di refurtiva, ma quando i militari arrivano sul posto e aprono le valigie, scoprono il cadavere di una donna. È Pamela Mastropietro.
Dall’autopsia successivamente emersero dettagli raccapriccianti: il corpo della 18enne era stato lavato con la candeggina per cancellare ogni traccia e fatto a pezzi “in modo scientifico”, come ha scritto il medico legale che ha eseguito l’esame. I medici legali confermarono l’assunzione di eroina per via venosa da parte di Pamela ma smentirono invece l’overdose come causa della morte, tesi sostenuta invece da Oseghale. Per questo, affermerà in seguito, l’aveva fatta a pezzi.
Perché Oseghale ha ucciso Pamela
Il 30enne condannato per l’omicidio ha sempre sostenuto la sua innocenza, negando l’omicidio e confermando appunto solo il vilipendio. Ma, secondo quanto è emerso dalle indagini, dopo averle dato la dose promessa, l’uomo avrebbe violentato la 18enne e poi l’avrebbe uccisa, accoltellandola al fegato perché Pamela avrebbe minacciato di chiamare i carabinieri. A quel punto Oseghale avrebbe quindi deciso di sbarazzarsene chiudendo i resti della ragazza in due trolley e, la sera del 30 gennaio, si sarebbe fatto accompagnare da un amico tassista alla periferia di Pollenza, dove avrebbe abbandonato le valigie.
Le indagini, l’arresto e la versione di Oseghale sulla morte della ragazza
Oseghale venne arrestato pochi giorni dopo l’omicidio. Gli inquirenti riuscirono a individuarlo grazie alle immagini di una sistema di sorveglianza di una farmacia di Macerata in cui lo si vedeva mentre seguiva la ragazza. A casa dell’uomo saranno ritrovati anche i vestiti di Pamela e alcune tracce di sangue. All’arrivo delle forze dell’ordine, il 30enne provò a dare più versioni fino all’ammissione del 2018 di fronte al procuratore Giovanni Giorgio, quando disse di aver fatto a pezzi il corpo della ragazza morta ma negò di averla violentata.
Nel corso delle indagini, vennero indagate anche altre tre persone: Desmond Lucky e Lucky Awelima, pusher di origini nigeriane e amici di Oseghale, verranno accusati di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere, insieme a Oseghale, e posti in carcere. Ma le accuse nei loro confronti caddero nel corso degli accertamenti, quando alcune perizie eseguite dal Ris e rilevamenti telefonici esclusero la presenza di Awelima e Lucky nell’appartamento di via Spalato 124 dove Pamela venne stata uccisa.
Le accuse di stupro e omicidio
Il processo con rito ordinario iniziò il 13 febbraio 2019. Le accuse contestate a Oseghale furono omicidio e violenza sessuale contro una vittima in condizioni di inferiorità, vilipendio, occultamento e distruzione del cadavere. In aula venne raccolta anche la testimonianza di Vincenzo Marino, ex boss della ‘Ndrangheta e compagno di cella di Oseghale, che riferì ciò che questi gli avrebbe confessato in cella: Oshegale avrebbe violentato e accoltellato Mastropietro, quindi avrebbe contattato un amico per farsi aiutare a occultare il corpo.
Innocent Oseghale, Il processo e la condanna all’ergastolo
Il processo durò diversi mesi e si concluse con la condanna dell’imputato all’ergastolo e a diciotto mesi di isolamento. La condanna è stata confermata nel 2020 anche dalla Corte d’assise d’appello del tribunale di Ancona. Oseghale ha continuato a dichiararsi innocente riguardo alla morte della ragazza, come nella precedente confessione in cui dichiarava di averne smembrato il corpo ma di non averla uccisa, affermando che la ragazza fosse morta per un’overdose di eroina.
La parole della mamma di Pamela Mastropietro
Dopo l’omicidio di Pamela, chi non ha mai smesso di lottare per avere giustiziaè stata la mamma, Alessandra Verni. Al termine del processo, la donna aveva detto a Fanpage.it: “Ora mi auguro che vengano presi anche gli altri. Ci son tante cose che in questi anni non sono state fatte e che si devono ancora fare. Io e la mia famiglia combatteremo per questo e non ci fermeremo”. In questi anni Verni ha rilasciato tante interviste in cui ha parlato della figlia. “A volte ci scambiavano per sorelle, non sembravamo mamma e figlia. Eravamo unite”, aveva raccontato in lacrime durante una puntata del programma La Vita in Diretta, mostrando una sua foto. “Ci somigliavamo, ma lei è molto più bella. Pamela è bellissima”.
Al fianco della donna c’è stato sempre anche il padre della 18enne, Stefano Mastropietro. L’uomo è stato trovato morto nella sua casa il 14 maggio 2023 a seguito di un malore. In quell’occasione Verni, l’ex moglie, aveva  affidato ai social il suo cordoglio per la morte del 44enne. “Almeno tu ora puoi riabbracciarla! Vi mando un grandissimo abbraccio angeli. Amore di mamma, accogli il tuo papà tra le tue braccia”.

 

 


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In memoria di

Tutta la verità su mia figlia, serve una commissione d’inchiesta (Adhoc news – 28 gennaio 2024)
Tutta la verità su mia figlia, serve una commissione d’inchiesta
“Questa sentenza ce l’hanno fatta sudare. Ci sono voluti sei anni. Lunedì ho aspettato tutto il giorno. Ma finalmente almeno per Oseghale è arrivata la conferma dell’ergastolo. Ma non è finita. Non è stato l’unico responsabile. Ci sono ancora dei mostri a piede libero”.
Così Alessandra Verni, la mamma di Pamela Mastropietro, commenta la sentenza della Cassazione che ha confermato l’ergastolo ad Innocent Oseghale. Dopo la violenza sessuale, l’avrebbe accoltellata,  pulito  e  smembrato il corpo, mettendo i resti in due valigie. Difficile pensare che possa avere agito da solo
Ce l’ho davanti Alessandra Verni. Non è la prima volta che la vedo, eppure mi colpisce ogni volta. La sua determinazione e la sua incrollabile Fede, sono quasi indescrivibili. È instancabile, non accetta una verità parziale, o compromessi di alcun genere. Vuole la verità. Tutta la verità. Vuole che ogni persona, che qualunque apparato responsabile nella morte di sua figlia, risponda di quello che ha fatto. Si vede nei suoi occhi una determinazione incrollabile. Standole vicino, hai chiaramente l’idea che non si fermerà mai. Eppure non traspare in odio, non una parola cattiva, è arrabbiata ma canalizza tutte le sue energie in positivo.
Vuole fermamente evitare che succeda ancora. Vuole che vengano difese altre persone deboli. Vuole tutti i colpevoli in carcere, ma non li vorrebbe morti. Sembra grottesco, ma camminando ci imbattiamo casualmente in un negozio di oggetti per prestigiatori. C’è anche una finta ghigliottina. A volte la vita fa degli scherzi bizzarri ed inopportuni. Ti viene il dubbio che il destino ami ridere anche in queste situazioni.
Mi viene naturale dirle, difficile pensare che possa avere qualcosa in contrario,che in fondo per certi casi la pena di morte sarebbe adeguata. “Io non ho mai creduto nella pena di morte. Non ci credo neanche adesso. Non ho mai creduto che fosse giusto uccidere qualcuno”. Ribatte immediatamente, con un sorriso gentile.
Non è  facile descrivere la sua espressione. Mi sento di definirla serena ed autorevole. Non mi fa neppure un sorriso amaro. Incredibilmente gli occhi le brillano ancora. Non c’è niente da dire Alessandra è veramente una donna che crede.
È la fede che illumina il suo viso. Sembra attingere ad un pozzo di conoscenza, che la guida oltre gli orrori che le ha gettato addosso questo mondo. “È giusto che un assassino paghi. Che si faccia l’ergastolo. Ma se lo uccidiamo diventiamo come lui. Non credo nella pena di morte è una cosa barbara”.
È complesso descrivere , come la verità appaia evidente quando si ha a che fare con una persona come lei. Non ha bisogno di retorica, né di alcun tipo di ragionamento particolarmente articolato per farmi apparire la verità nella sua evidenza . Ha ragione, è nel giusto; tutto qua, non c’è da ribattere. A quel punto penso quasi che dovrei vergognarmi della domanda, ma lei mi mette a mio agio e continua tranquillamente a parlare della vicenda in maniera pacata ma decisa ad ottenere giustizia fino in fondo.
“Non è stato soltanto lui. Ci sono intercettazioni telefoniche, prove evidenti del coinvolgimento di altre persone. Addirittura l’uomo che è andato con lui a comprare la candeggina per pulire il corpo di mia figlia, oggi non è in carcere.
Credo nella giustizia di DIO. Quella umana può sbagliare, ma non può negare l’evidenza. Non ha il diritto di essere cieca. Questo non è un caso chiuso. Non lo sarà fin quando non saranno messi davanti alle loro responsabilità e quindi in carcere tutti i responsabili della morte di Pamela. Non solo per lei, ma anche perché certi mostri non debbono essere liberi di poter fare ancora del male”.
A questo punto ci sediamo un attimo a riflettere e le chiedo come intenda portare avanti la sua battaglia. Ormai, sono anni che cerca di chiarire il coinvolgimento di altre persone. Eppure i tribunali non l’hanno ascoltata su questo.
“Questa è una storia scomoda, un caso dove ci sono molte responsabilità. Le responsabilità non le hanno solo gli assassini. Anche chi deve garantire che non facciano più del male a nessuno deve spiegare il perché del suo operato. Anche chi doveva controllare la presenza di queste persone sul territorio, chi doveva prendersi cura di mia figlia ha delle responsabilità. Voglio chiedere una commissione di inchiesta parlamentare. Voglio sapere il perché di molte lacune nelle indagini, in tutti questi anni. Io credo che ci siano molti politici, che comunque vogliono guardare alla giustizia. Sono persone come noi. Ci sono anche in Parlamento delle mamme e dei padri. Non bisogna spingere i cittadini a gesti estremi. Voglio che si faccia luce su quello che è successo”.
Non so come arriviamo all’argomento del perdono, nei riguardi del principale responsabile della morte della Figlia
È una parola che mi è difficile pronunciare in questo caso. Non si può fare una domanda diretta. Cerco di prendere l’argomento molto alla larga. Di introdurre il concetto in maniera indiretta, il più delicatamente possibile.
Chi può fare una domanda così ? Chi pensa di avere il diritto di chiederglielo,magari anche con naturalezza?
Alla fine è lei a parlarne direttamente. “Se dicesse la verità e si pentisse davvero, potrei iniziare a prendere in considerazione la cosa. Non è una cosa facile, come puoi capire. Ma lui non si è mai pentito fino ad ora, continua ad essere arrogante.Non ha mai fatto i nomi degli altri”.
Il 30 gennaio ci sarà una fiaccolata per ricordare Pamela. Non si può che sperare che vengano molte persone. Non si può che sperare che anche quel giorno, sua Madre, vada avanti con la sua richiesta alle istituzioni. E sinceramente viene da sperare che le istituzioni le diano ascolto.