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Omayma Benghaloum, 34 anni, mediatrice culturale e interprete, mamma. Uccisa a bastonate dal marito

Messina, 4 Settembre 2015

“Quando mi chiederanno se la mia vita ha avuto un senso, io risponderò che solo l’aver messo al mondo una parte di me ha dato senso alla mia vita”:omayma-Copia-696x688


Titoli & Articoli

Omayma uccisa ferocemente, la ricostruzione della Polizia (Messina Oggi – 5 settembre 2015)
Commozione e sgomento ha provocato la barbara uccisione di Omayma Benghaloum, conosciuta per la sua generosità e la sobria simpatia che coinvolgeva quanti la conoscevano. E mentre ci si interroga sulla sorte delle quattro bambine, rimaste praticamente orfane, i poliziotti hanno ricostruito la vicenda, partendo dall’arrivo in questura dell’omicida reo confesso.
“Ieri mattina si è presentato di buon ora negli Uffici del Commissariato Messina/Nord, con lui le quattro figlie minori, e le valigie delle bambine – ricostruiscono gli agenti – Ha chiesto di parlare con i poliziotti dell’Ufficio Immigrazione e a loro, che fino alla sera prima avevano lavorato fianco a fianco con la moglie, ha confessato il delitto. Ha dichiarato di averla presa a bastonate e di averla lasciata esanime all’interno dell’abitazione coniugale, consegnando ai poliziotti le chiavi dell’abitazione.
L’immediato intervento dei poliziotti delle Volanti e della Squadra Mobile ha purtroppo permesso di constatare la veridicità di quanto confessato ed il decesso della giovane donna,  che è stata trovata sul letto coniugale, coperta con un lenzuolo, e con la testa fracassata. Gli agenti dell’Immigrazione, hanno così realizzato che Omayma, la donna col velo che da un mese lavorava al loro fianco, tanto riservata quanto solare e sempre ben disposta nell’aiutare quanti ogni giorno fuggono dalle guerre e dalla fame, andando spesso anche oltre le mansioni affidatele, era stata vittima di un’assurda brutalità.
L’uomo, Dridi Faouzi, nato in Tunisia 52 anni fa, è stato quindi accompagnato negli uffici della Squadra Mobile, dove è stato interrogato raccontando l’accaduto. A suo dire la sera prima la moglie, che da circa un mese lavorava come mediatrice culturale ed interprete di lingua araba e francese presso l’Ufficio Immigrazione della Questura, era rientrata tardi dopo aver partecipato alle procedure di identificazione dei migranti giunti in porto nel pomeriggio. Al suo arrivo avevano avuto l’ennesima lite, poiché da tempo l’uomo voleva tornare in Tunisia con la famiglia, o perlomeno portando con se le figlie, cosa che la vittima aveva rifiutato fermamente più volte. Pertanto, al culmine del litigio, incurante delle bambine che nel frattempo dormivano nella stanza accanto, l’uomo ha afferrato un bastone in legno ed ha colpito la moglie che si è accascita sul letto.
A quel punto, disinteressandosi completamente della donna, ha riferito di essersi dedicato alle bambine, preoccupato dal fatto che una di loro avesse la febbre. Al mattino successivo, una volta constatato il decesso della donna, ha coperto il corpo con un lenzuolo, preparato i  bagagli per le figlie e con loro, si è recato al Commissariato. Il tunisino è stato sottoposto a fermo di P.G. dal P.M. di turno, il quale ha disposto che venisse accompagnato presso la locale Casa Circondariale. Le bimbe sono state affidate ad una casa famiglia.

 

 

 

 

 


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In memoria di

All”Università di Messina un posto occupato per Omayma (Università di Messina – 10 settembre 2015)
Il CUG dell’Università di Messina e il Dipartimento di Scienze Giuridiche e Storia delle istituzioni aderiscono all’invito di Maria Andaloro, che ha chiesto di diffondere «in ogni luogo dove lei avrebbe potuto andare e dove non potrà mai più esserci», la locandina di “Posto Occupato” dedicata a Omayma Benghaloum. Quella locandina occuperà un posto nell’Aula Magna del DiSGeSI, a fianco dell’altra locandina che occupa già un posto per tutte le vittime di violenza.
La scelta di quell’aula non è causuale: lì si è svolta lo scorso anno la prima edizione del ciclo di seminari contro la violenza di genere organizzati dal DiSGeSI insieme al CUG e grazie al contributo della Consigliera provinciale di Parità. Un gesto simbolico per non far inghiottire dalla quotidianità il ricordo della giovane mediatrice culturale tunisina, impegnata, quale collaboratrice dell’Ufficio immigrazione della Questura, nell’accoglienza ai migranti sbarcati nella nostra città e uccisa il 4 settembre scorso, a colpi di bastone, dalla furia omicida di un marito che ha così soddisfatto il suo desiderio di dominio su di lei.

 

Dedico la mia rubrica domenicale a mia sorella Omayma, uccisa a bastonate dal marito (Tempo Stretto – 13 settembre 2015)
Questa rubrica oggi la dedico a Omayma Benghaloum, tunisina massacrata a bastonate dal marito. Anche la foto non è la mia. Questa rubrica è il posto occupato, lo spazio per un femminicidio che abbiamo vissuto come se fosse di serie B. Invece lei è morta nel nostro stesso campo di battaglia.
Questa rubrica oggi è un posto occupato. Oggi non è la mia rubrica,mi scuseranno i lettori se non scriverò di malapolitica, di antimafia, della giunta Crocetta, di Renzi o di Accorinti. Anche la foto non è la mia. Questa rubrica oggi la dedico a mia sorella Omayma, è lo spazio suo, quel poco che posso darle perché lei non avrà più nessuno spazio per la sua vita. Vorrei la scrivesse lei, io non saprei mai usare le sue parole. Sono fortunata, ho un lavoro che mi rende felice, vesto come voglio, vivo nel luogo che ho scelto, faccio la vita che ho scelto, ho i sogni che ho scelto, non devo contrattare nulla di tutto questo con nessuno se non con me stessa. Ma in qualche modo vorrei che fosse lei a scrivere questa rubrica, mia sorella Omayma. Anzi, mia nonna, perché nella battaglia che l’ha portata alla morte, mi ha ricordato le lotte che le nostre bisnonne, nonne e zie hanno fatto per la nostra emancipazione, perché io fossi libera oggi di essere quella che sono, di lavorare, votare, guidare, truccarmi, tagliarmi i capelli, mettere il topless, divorziare, uscire la sera, fare carriera, decidere con la mia testa, sbagliare, divertirmi, scegliere chi amare. Eppure questo femminicidio così uguale a tutti gli altri è stato vissuto come un femminicidio di serie B. Ringrazio Maria Andaloro che ha subito lanciato il grido di dolore con posto occupato, l’assessore Patrizia Panarello, che ha subito parlato di lutto “per la morte di una di noi” e che con l’assessore Nina Santisi hanno organizzato, insieme alle associazioni, una fiaccolata. Ma la sua morte non è stata vissuta come quella di una di noi. Se mio marito mi avesse uccisa a bastonate una sera, di rientro da uno dei tanti consigli comunali che finiscono alle due di notte, se ne sarebbe parlato, con rabbia, sdegno, per giorni e giorni. Se un signor X avesse ucciso a bastonate una signora X, messinese, casalinga, impiegata, professoressa, barista, se ne sarebbe parlato per giorni. Invece Omayma, tunisina di 33 anni, mediatrice culturale che ha trascorso l’ultima giornata della sua vita al fianco degli operatori che accolgono altri migranti, Omayma, sposa e madre di 4 bambine (di 12, 8, 5 e 3 anni), uccisa a colpi di bastone come ai tempi delle caverne, non è stata vista davvero come una delle nostre figlie massacrate. E’ stato un omicidio finito presto nell’oblio, è stato come aver dato per scontato che, poiché era figlia di “quella cultura” di “quel mondo”, anche la sua morte in un certo senso ne faceva parte. Se ci siamo “assuefatti all’orrore” figuriamoci quando a morire è una tunisina uccisa da un uomo che se fosse condannato nella sua terra avrebbe persino le attenuanti del “delitto passionale, delitto d’onore”. Questo femminicidio l’abbiamo vissuto come un femminicidio di serie B. Eppure lei è stata uccisa per il suo essere donna e per il suo volerlo essere pienamente, consapevolmente e fino in fondo. E’ stata uccisa perché la sua vita era qui, e non voleva tornare in Tunisia. Qui voleva continuare a vivere e far crescere le sue bambine. E’ stata uccisa perché si stava battendo per affermare i suoi diritti di madre e donna libera. E’ una vittima in piena guerra, ed il campo di battaglia è lo stesso delle nostre nonne e lo stesso nostro. E’ stata uccisa mentre difendeva con le unghie e con i denti le conquiste delle donne. Penso con dolore alle sue bambine. Lei ha perso la vita per un sogno, vederle crescere qui. Sarà doloroso il compito del Tribunale dei minori e dei servizi sociali per riuscire a dare il giusto futuro a queste bimbe, perché devono stare con i familiari, ed è giusto così, ma se quel che resta della loro culla è in Tunisia portarle laggiù non equivarrebbe a negare quello per cui la madre è morta? Non si potrebbe in qualche modo conciliare la necessità di lasciarle in famiglia con quella di farle crescere dove la loro madre voleva? Questo ad Omayma lo dobbiamo. Così come dobbiamo assicurare una giustizia giusta ed evitare che il suo carnefice torni magari in Tunisia dove il reato avrebbe ben altre condanne e magari, finirebbe con il vedersi riassegnate un giorno le figlie. (Rosaria Brancato)

Messina, omicidio di Omayma Benghaloum: la sua storia diventa un film (Gazzetta del Sud – 7 giugno 2022)
La 34enne immigrata tunisina, mamma di 4 figlie, è stata uccisa nel 2015 con un colpo di bastone dal marito perché “voleva un figlio maschio”. Regia del messinese Fabio Schifilliti. Domani set alla Stazione marittima
“Quando mi chiederanno se la mia vita ha avuto un senso, io risponderò che solo l’aver messo al mondo una parte di me ha dato senso alla mia vita”: sono le parole di Omayma Benghaloum, mediatrice culturale tunisina, immigrata in Italia e mamma di quattro figlie, brutalmente uccisa dal marito Faouzi Dridi nel settembre 2015 a Messina, all’età di appena 34 anni. Un fatto di cronaca che unisce in modo significativo e profondo i temi del femminicidio e dell’immigrazione ma che non ha destato lo scalpore mediatico che meritava: adesso sarà lo strumento del cinema a riaccendere i riflettori su una storia drammatica che deve invitare tutti noi a riflettere sulle politiche da attuare per evitare il ripetersi di queste tragedie.
Sono iniziate ieri le riprese del cortometraggio “Omayma – Orme del tempo” scritto da Paolo Pintacuda e Fabio Schifilliti, che cura la regia, e sarà girato a Messina, tra il lago di Ganzirri e il porto e nella suggestiva medina di Mazara del Vallo, nel trapanese: “Sono sempre stato attratto da storie che riguardano il turbinio dell’animo umano – spiega il regista – quella di Omayma merita di essere raccontata perché può fare da esempio. È stata una grande donna che ha fatto enormi sacrifici per migliorare la vita sua e delle sue figlie, nonostante le continue vessazioni psicologiche e fisiche da parte del marito che l’hanno poi portata alla morte.