Confessioni spontanee, sfruttatori e personaggi altolocati: chi ha ucciso Martine Beauregard? (Corriere della Sera – 9 maggio 2022)
La donna esercitava la professione e fu trovata in un fosso a Vinovo con segni di strangolamento e sevizie. Dopo parecchi indagati, l’inchiesta fu archiviata
Chi ha ammazzato Martine Beauregard? Non si sa. Apprendista, operaia turnista, collaboratrice domestica: non avesse cambiato mestiere, la sua tragica storia sarebbe stata dimenticata in una settimana. Invece di Martine, una splendida ragazza, una delle più affascinanti e sofisticate a esercitare il mestiere di «mondana», come la castigata e pruriginosa stampa dell’epoca definiva le prostitute, si parlò per anni.
Nata a Parigi nel 1944 da papà Alberto, anziano pittore, e mamma Georgette, era vissuta in centro a Moncalieri, in via Real Collegio, con i genitori e quattro sorelle. Il babbo, già sposato in epoca pre-divorzio, non aveva potuto dare il suo cognome alle figlie. Fino alla maggiore età non era stata una privilegiata: a quattordici anni, si era fatta intestare il libretto di lavoro e le annotazioni non raccontano una carriera rutilante. A vent’anni, fine dei mestieri ufficiali. In famiglia raccontarono che avrebbe voluto fare l’ostetrica, prima di essere plagiata dal balordo che l’aveva messa sulla strada. Nelle sue agende private, a partire dal gennaio del 1965 era comparso un altro tipo di contabilità: data, giorno della settimana e, accanto, la cifra di incasso quotidiana: cinquemila lire, diecimila, ventimila. Da trecento a cinquecentomila lire al mese, con un’impennata — ebbe la malizia di notare un cronista dell’epoca — «nei mesi estivi, quando le mogli sono in vacanza». Proprio come nel film con Marilyn Monroe, del suo innamorato Tom Ewell e della scena immortale della grata della metropolitana.
Clara l’ultima a vederla. La si trovava tra corso Galileo e corso Re Umberto. Frequentava spesso gente inserita in società e, come direbbero oggi i giovani, altospendente, ma anche sbalestrati e lingére. Il 17 giugno 1969, verso sera, era passata a prenderla un signore a bordo di una Dino. I due avevano cenato insieme. Dopodiché si era fatta riaccompagnare all’incrocio, dove aveva incontrato la sua collega Clara. L’ultima testimone a vederla viva. La donna raccontò di aver notato, verso le 23, una Fiat 125 chiara targata Cn, o forse Ch, con gli interni rossi, accostarsi nel controviale. Martine aveva scambiato due parole con la persona alla guida ed era salita, salutando l’amica. Ma quell’arrivederci era stato un addio: il suo corpo fu ritrovato il giorno dopo in un fosso, vicino all’ippodromo di Vinovo, qualche metro più in là degli attuali campi di allenamento della Juventus.
Il medico legale relazionò di un iniziale tentativo di strozzamento, varie sevizie e poi il soffocamento. Bastò poco per individuare il protettore della povera Martine in tale Ugo G (foto in basso), un viveur sfaccendato ma occupato in una vita dispendiosa. Proprietario di una spider rossa Dino, venne incarcerato con l’accusa di sfruttamento della prostituzione e con l’ipotesi di aver fatto del male alla ragazza, sebbene avesse presentato un alibi: nelle ore dell’omicidio era in un locale notturno. Ciononostante, restò per mesi in custodia cautelare. Nel passare dal Don Pepe al Mack 1, due locali alla moda di quei tempi, si disse che poteva avere avuto il tempo di commettere l’omicidio. Per non parlare di chi vide una Dino nella zona di ritrovamento del cadavere. E del fatto che i segni di tortura suggerissero la classica lezione impartita dallo sfruttatore alla sfruttata.
Il signor Carlo C. Non successe null’altro fino al dicembre di quell’anno quando un giovane uomo, il signor Carlo C., noto agli amici come “Champagne”, non telefonò al capo della squadra mobile, il mitico commissario Montesano, per confessare l’omicidio. Disse di essere passato a prendere Martine con la sua 125, di averla portata nella sua casa di corso Galileo. La ragazza si era sentita poco bene, forse aveva bevuto troppo e aveva chiesto di farsi un bagno. Lui l’aveva assecondata, per poi trovarla priva di sensi nella vasca e, per qualche ragione, invece di aiutarla l’aveva guardata annegare. Preso dal panico, l’aveva caricata in auto e abbandonata in un luogo isolato. Peccato che nulla tornasse: non c’era acqua nei polmoni di Martine, né alcol nel suo sangue. Nel gennaio del 1970, l’uomo ritrattò: spiegò di essersi trovato in una situazione disperata con la sua azienda di prestiti e, a forza di leggere articoli di giornale sul caso Beauregard, aveva avuto la brillante pensata di uscirsene dai guai economici confessando un crimine a caso. Venne creduto. Verso la fine di quell’anno, i due erano stati prosciolti da ogni accusa sulla morte di Martine.
L’epilogo. Il padre di Carlo si era suicidato per la vergogna. Si trovò un mazzo di fiori al Monumentale, sulla sua tomba, con un biglietto: «Perdonami». Emerse che, a piazzarlo, era stato un giornalista frustrato per l’assenza di nuovi spunti da raccontare. Poi, uno strano riscontro: nell’ottobre del 1970, una collega di Martine, Rosanna, morì in un incidente stradale a Cavagnolo. Nella sua agenda trovarono nomi e numeri di personaggi in vista: uno di questi era riportato anche in un’agenda della Beauregard. Apparteneva a uno scapolo quarantenne della provincia di Cuneo che, effettivamente, aveva una 125 chiara. Rintracciato, ammise di frequentare Rosanna ma di non sapere neanche chi fosse Martine e di non sapersi spiegare la presenza del suo recapito telefonico. Nient’altro. Nel 1971, si prese due anni di reclusione per sfruttamento della prostituzione anche il vecchio fidanzato di Martine, Giancarlo R.: secondo la corte, era stato il primo a trarre vantaggio dai sentimenti della ragazza, donna volubile e facilmente manovrabile. Ma non l’aveva uccisa. È appena di cinque anni fa l’ultimo sussulto: una donna raccontò che il padre, sul letto di morte, le aveva fatto il nome dell’assassino di Martine. Era suo zio, Giovanni M., imprenditore ormai in pensione e peraltro amico di Carlo «Champagne». L’anziano negò di averla mai conosciuta. Venne indagato; l’inchiesta fu archiviata per insufficienza di indizi. Nessuno l’avrebbe più riaperta.
1. ‘LA TORINO BENE TREMA: SO CHI SOFFOCÒ MARTINE QUELLA NOTTE’ (Dagospia – 19 ottobre 2017)
Ester Nicola per ‘Giallo’ del 18 ottobre 2017
MARTINE BEAUREGARD UGO GOANO CARLO CAMPAGNA Conosco i nomi di chi era presente la sera in cui è stata uccisa Martine. So anche che cosa è accaduto successivamente”. Memorizzate bene queste parole. Si tratta dell’importantissima testimonianza che una persona rimasta anonima ha reso nei giorni scorsi, poco prima di morire. Parole pronunciate a denti stretti, come per liberarsi di un peso che portava dentro da tantissimo tempo. La testimonianza di questa persona ha permesso agli inquirenti di riaprire un caso irrisolto da quasi 50 anni.
Era il 18 giugno del 1969 quando Martine Beauregard, una prostituta di alto bordo di soli 25 anni, fu ritrovata morta soffocata nella sua Torino. Fra colpi di scena processuali, confessioni smentite e tentativi di insabbiamento, l’assassino della povera Martine non è mai stato trovato. L’ombra dei festini a luci rosse e delle orge nella Torino bene, quella dei night e delle sale da ballo, è sempre rimasta sullo sfondo. La verità, però, non è mai emersa. Fino ai giorni nostri, perché la nuova e inattesa testimonianza ha improvvisamente riacceso le speranze di arrivare a una soluzione. Sotto accusa, adesso, ci sono due uomini: il primo avrebbe ucciso la ragazza, il secondo sarebbe il suo complice.
FU RITROVATA DA UNA AUTOMOBILISTA Per provare a capire che cosa possa essere successo, ripercorriamo insieme la tragica storia di Martine e le principali tappe delle indagini. Tutto ha inizio quando la mattina del 18 giugno: un’automobilista, percorrendo la statale Nichelino-Stupinigi, nota qualcosa di strano vicino all’ippodromo di Vinovo, in provincia di Torino. Quegli stralci di campagna non distano molto dal viavai del capoluogo piemontese.
LE SORELLE DI MARTINE BEAUREGARD
All’automobilista basta uno sguardo più attento per accorgersi che quello che ha appena visto è il corpo martoriato di una donna. Il cadavere è riverso in un fosso, con le gambe distese sul ciglio e la schiena adagiata sull’avvallamento. La ragazza è nuda: indossa solo un orologio e un anello, non ha documenti. Ha le mani ben curate, i capelli neri tagliati a caschetto, lievemente truccata. Sul corpo ci sono ancora i segni di una violenza: lividi, tracce di sangue perso dalla bocca, graffi e due ferite parallele all’altezza del seno sinistro.
In poche ore la donna viene identificata: è Martine Beauregard, una ragazza di origini francesi che vive con la famiglia a Torino. Nata a Parigi, dove ha trascorso la sua infanzia, grazie alla sua bellezza si è trasformata in un volto molto noto negli ambienti più altolocati della città. A soli 18 anni ha abbandonato il suo sogno di diventare ostetrica per intraprendere una carriera ben più redditizia: concede il suo corpo in cambio di denaro ai capitani d’industria, uomini d’affari e ai playboy del tempo. La sua giovane vita finisce però in balìa delle persone sbagliate. Una collega la vede per l’ultima volta attorno alla mezzanotte di lunedì 17 giugno mentre sale su una Fiat 125 bianca.
GLI ALIBI DEL PRIMO SOSPETTATO A indagare sull’omicidio di Martine è il commissario Giuseppe Montesano, una figura leggendaria nella Torino di quegli anni. Occhiali da sole, impermeabile di pelle, sigaretta sempre in mano. Negli anni a venire il commissario torinese avrebbe ispirato scrittori e registi per ritrarre i protagonisti delle loro avventure poliziesche, come il commissario Santamaria interpretato dal famoso attore Marcello Mastroianni.
IL RITROVAMENTO DEL CADAVERE DI MARTINE BEAUREGARD
Le indagini si concentrano subito su un amico della ragazza, Ugo Goano, anche lui 25 anni. La sua vita si consuma tra un night e l’altro, spendendo i soldi di papà e spacciandosi per uomo d’affari a bordo della sua fiammante Dino spider rossa. La sera dell’omicidio Ugo e Martine avevano cenato insieme. Per gli inquirenti è abbastanza: il giovane rampollo viene arrestato con l’accusa di sfruttamento della prostituzione e omicidio. Il ragazzo urla la sua innocenza: «Non sono un assassino e nemmeno un pappone!».
Dopo la cena racconta di essere stato in due locali. A confermare la sua versione ci sono sia i proprietari sia diversi clienti. Nel primo locale, il “Don Pepe”, resta fino all’una, quando riceve una telefonata e se ne va via di fretta. Un’ora dopo ricompare nel secondo locale, il “Mack One” di piazza San Carlo. Un lasso di tempo sufficiente per commettere l’omicidio, ma non per trasportare e scaricare il cadavere fuori città. I rilievi nel suo appartamento e nell’auto rivelano inoltre tracce di sangue e una ciocca di capelli compatibile con quella di Martine. Il ruolo di Ugo Goano, però, rimane poco chiaro e la sua posizione, con il tempo, si alleggerisce.
LA FINTA CONFESSIONE DELL’AMICO DEL CUORE Cosa è successo dunque alla povera Martine? Si avanzano le ipotesi del gioco erotico finito in tragedia e del soffocamento in seguito a un rifiuto. Ma un nuovo colpo di scena arriva il 5 dicembre 1969. Il commissario Montesano riceve una telefonata. All’altro capo del telefono c’è Carlo Campagna, 27 anni, figlio di un industriale. Dice: «Commissario, le voglio parlare del caso Beauregard, il rimorso mi sta uccidendo. L’assassino sono io, mi venga a prendere».
IL RITROVAMENTO DEL CADAVERE DI MARTINE BEAUREGARD
La vita di Carlo Campagna non è molto diversa da quella di Ugo Goano. Anche lui rampollo della Torino bene, passa le notti girovagando da un locale all’altro, sperperando le fortune di famiglia fra donne e superalcolici. Abitudini che gli valgono il soprannome di Charlie Champagne. La confessione del ragazzo, però, diventa una sequela di bugie che non trovano riscontro. Dice di aver portato Martine a casa sua sotto l’effetto di droghe e che lei avrebbe poi vomitato dopo essersi ubriacata. Peccato che gli esami tossicologici non rivelino la presenza di alcol, né di droga e che i resti della cena consumata vengano rinvenuti ancora nello stomaco. Secondo un’altra ricostruzione di Campagna, Martine avrebbe chiesto di fare un bagno, ma una volta entrata nella vasca sarebbe scivolata e morta sotto i suoi occhi. Ed ecco un’altra contraddizione. Il medico legale che esegue l’autopsia, Aldo De Bernardi, un luminare dalla lunga esperienza, non trova acqua nei polmoni. E poi Martine è morta per soffocamento e non per annegamento. Campagna, molto probabilmente, si sta autoaccusando del delitto per coprire qualcuno o forse per sfuggire ai creditori che non gli lasciano tregua.
Durante l’interrogatorio la collega di Martine riconosce comunque in Carlo l’uomo che quella sera ha caricato la vittima in auto. Il dubbio che fossero d’accordo, che avessero stabilito prima la versione da dare, è molto forte. Alla fine, grazie al suo avvocato Antonio Foti, Campagna viene assolto per insufficienza di prove. Nel frattempo anche Ugo Goano viene ritenuto estraneo all’omicidio e le indagini si chiudono.
NON FU UN GIOCO EROTICO FINITO MALE Ora però la verità sembra più vicina che mai. La polizia ritiene che la nuova testimonianza sia più che attendibile. Il testimone ha fatto i nomi di chi quella sera era presente e soprattutto di chi avrebbe spezzato la vita di Martine. Non si tratterebbe di un gioco erotico finito male. Nessun omicidio preterintenzionale. Chi ha ucciso la ragazza lo ha fatto in modo volontario. Una certezza che arriva dalla stessa autopsia eseguita già all’epoca. L’ora presunta della morte è tra l’1.30 e le 2 del 18 giugno 1969.
IL COMMISSARIO GIUSEPPE MONTESANO Prima di essere ammazzata, la povera Martine è stata anche torturata. L’autopsia racconta di graffi diffusi, come se la vittima fosse stata fustigata con una cinghia. Presenta lividi sulle braccia e tumefazioni ai lati del corpo, oltre a quegli strani segni paralleli sul seno. È stata afferrata con forza e infine soffocata. Un’agonia che è durata per oltre una decina di minuti. Il suo assassino ha quindi avuto tutto il tempo per rendersi conto di quello che stava facendo.
2. GIALLO DELLA TORINO BENE LA SVOLTA 50 ANNI DOPO “IL KILLER DELLA ESCORT È LUI” Maurizio Crosetti per la Repubblica Il delitto che viene dal passato ha il corpo nudo di Martine Beauregard, un corpo gettato nel fosso vicino all’ ippodromo la sera del 18 giugno 1969, un nodo tra i capelli, l’ orologio, un anello, tagli e bruciature sulla pelle bianca. Aveva 25 anni. La chiamavano la Francese, faceva la prostituta, frequentava uomini con molti soldi e molte notti. Mai trovato l’ assassino. Ma dopo quasi cinquant’ anni, come in un romanzo di Durrenmatt qualcosa riaffiora: il relitto di un killer senza volto, un’ ombra e un nome.
Una sua collega, Carla Sabbani, vide salire la ragazza su una Fiat 125 bianca la sera prima della morte. Poi più nulla, probabilmente una festa macabra o un’ orgia nel palazzotto di campagna nel Pinerolese che ora, insieme al resto, riemerge dalla nebbia. Martine venne torturata. L’ autopsia descrisse un’ agonia di almeno dieci minuti, due mani che la tenevano ferma, altre due che la seviziavano con un tagliacarte e poi la strangolavano. Il corpo fu ritrovato da un automobilista lungo la statale che da Nichelino va a Stupinigi, all’ altezza di Vinovo. Oggi, proprio lì si allena la Juventus. Un mese più tardi, l’ impronta di un uomo si sarebbe appoggiata sulla Luna per la prima volta e per sempre.
GIUSEPPE MONTESANO E un mese più tardi, un ragazzo di 27 anni avrebbe telefonato al commissario Giuseppe Montesano, una celebrità a quei tempi, il bel poliziotto dal sorriso enigmatico che ispirò a Fruttero & Lucentini la figura del commissario Santamaria, e gli avrebbe detto: «Sono stato io». Quel ragazzo si chiamava Carlo Campagna ma per le notti della Torino bene era Charlie Champagne, rampollo di una famiglia agiata, la Ferrari sotto il sedere, un tavolo al night “Chatham” sempre prenotato. Al poliziotto raccontò una storia di alcol e droga, disse che Martine era scivolata nel bagno della sua garçonniere, ma nessuno dei particolari confessati era plausibile: dopo 9 mesi di galera, Charlie venne rilasciato e poi assolto per insufficienza di prove, ma intanto il padre si suicidò. L’ avvocato si chiamava Antonio Foti ed era, anche lui, poco più di un ragazzo.
Teneteli a mente, perché tra poco ritorneranno. Per mezzo secolo il corpo martoriato della povera Martine giacque nell’ inquieto mistero che avvolge ogni caso irrisolto, finché un uomo in punto di morte, un imprenditore edile, nel 2016 non confessò alla moglie «so chi uccise quella donna, è stato mio zio, lo conosci, è un violento». E lei (nome di fantasia, Ester) dopo il funerale andò dal pm Andrea Padalino. Così, d’ improvviso si riaprirono squarci nel passato sepolto e ne riemersero i personaggi, quasi tutti vivi, quasi tutti vecchi. Il protettore di Martine, che sfrecciava su una Fiat Dino rossa e si chiamava Ugo Goano. Carla, la prostituta che vide Martine per l’ ultima volta, e testimoniò ma non la fecero giurare, così la sua parola non contò nulla. Le ricche e giovani figure che attraversavano quelle notti perdute. L’ uomo con la grossa voglia sul collo che forse portò via Martine.
MARTINE BEAUREGARD
Ma soprattutto, da cinquant’ anni di buio sono apparsi due amici che oggi ne hanno quasi ottanta: Charlie Champagne, ancora lui, e Mister X, imprenditore edile con molti interessi in Svizzera e Sudamerica al quale la testimone Ester ha dato un nome: Giovanni Merlino. Adesso è indagato. Il suo legale, Fulvio Gianaria, dice: «Il mio cliente mi ha spiegato di non avere mai conosciuto quella donna. Conosce invece Carlo Campagna, al tempo dei fatti erano amici e si frequentavano ». Le chiavi della garçonniere giravano, non si fermavano quasi mai nelle stesse tasche.
Ed eccolo di nuovo in tribunale, Charlie Champagne («Ma io neanche lo bevevo, io preferivo il whisky») insieme al suo avvocato di allora, Antonio Foti. Attendono l’ udienza passeggiando e il tempo si è fermato. Charlie ha una camicia bianca che manda scintille e nessuna paura addosso. «Mai conosciuto Martine Beauregard, quelle magre come lei neanche mi piacevano. Mi accusai per coprire gli amici, ero strafatto di alcol e droga. In questi anni mi hanno rivoltato come una frittata, di me si sa tutto e me ne batto le balle».
OMICIDIO DI MARTINE BEAUREGARD L’ ex moglie Annalisa Girardi ne parla come di un violento e sadico. Presto sarà interrogato Giovanni Merlino, il presunto colpevole che alla moglie ha giurato di essere innocente: «Non sono io il killer, ho un alibi di ferro e quella notte ero già a casa». E ci sono altri due nomi nuovi sul tavolo del magistrato: Sergio V. e Giuseppe A. Cosa sanno? Quanto c’ entrano? Una storia mai finita e piena di confessioni ritrattate, minacce, sesso, false piste e menzogne. Pare che il giovane Charlie fosse strozzato dai debiti e avesse coperto i veri colpevoli per soldi. E gli insospettabili dovevano essere almeno due, così scrisse l’ anatomopatologo Aldo De Bernardi in quell’ epoca che riporta alla mente la Torino nera di un celebre film, il racket siculo-calabrese e gli omicidi di strada.
MARTINE BEAUREGARD Ma sembra anche di essere dentro La donna della domenica, nell’ atmosfera inconfondibile di delitti e ipocrisia altoborghese molto “turineisa”. Alla fine, un po’ per caso, la verità nel libro viene a galla. Perché il tempo non ha fretta e fa il suo mestiere: anche il corpo nudo di Martine aspetta da mezzo secolo la sua verità.