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Mara Catani Nieri, 42 anni, mamma. Massacrata dal compagno, muore perchè lui non chiama i soccorsi

Capannoli (Pisa), 26 Aprile 2013

Uccisa a calci e pugni dal compagno che la picchiava spesso ma che lei non aveva voluto denunciare.

 

Alfredo Di Giovannantonio, 40 anni, camionista, padre. La menava spesso.

 


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Il Tirreno
La madre: “Giustizia non è stata fatta. Mi sento ferita”
«Sono sconcertata, offesa e senza parole». Alla lettura della sentenza che condanna Alfredo Di Giovannantonio (nella foto) scoppia in lacrime Carla Mattolini, la madre di Mara Catani Nieri: «Sono sconcertata, offesa e senza parole. Non si può dire che sia stata fatta giustizia. Le sentenze non si commentano, ma mia figlia è stata lasciata morire sola come un cane. Come mamma posso dire solo che mi sento ferita nuovamente». Mattolini, fin dalle ore successive alla morte della figlia, aveva avuto terribili sospetti su quello che poteva essere realmente successo. «Si picchiavano spesso – racconta – ma lei non voleva denunciare il compagno e alla fine ha pagato con la vita. Sono rimasta impietrita. Penso che chi ha ucciso mia figlia è libero e, probabilmente, non farà nemmeno un giorno di carcere in attesa che la sentenza diventi definitiva. E poi i giudici non hanno nemmeno preso in considerazione l’ipotesi del risarcimento danni e di una provvisionale. La vita proprio non conta… E pensare che della corte giudicante facevano parte anche alcune donne».

Un test al processo: “Litigavano spesso e lui l’aveva picchiata”
Davanti alla Corte d’Assise un amico di famiglia conferma che l’imputato aveva percosso la compagna pochi mesi prima della tragedia. Impassibile, Alfredo Di Giovannantonio, 39 anni, camionista di Zambra, ascolta i testimoni al processo che lo vede accusato di omicidio preterintenzionale, in seguito alla morte della compagna, Mara Catani Nieri, 42 anni, trovata senza vita a Capannoli il 26 aprile 2013. La verità, cioè che Mara non era stata uccisa da un malore, è venuta alla luce alcuni giorni dopo la tragedia. Già l’autopsia aveva confermato i sospetti dei familiari, a cominciare dalla madre vittima, ora parte civile al processo, assistiti dall’avvocato Rolando Rossi. Ma il compagno, che la sera precedente era stato con Mara a Calci a casa di un amico e insieme si erano ubriacati, si era costruito una storia molto diversa dalla realtà. Ai carabinieri aveva detto che la sera, insieme al figlio piccolo, avevano cenato a casa. Poi si erano addormentati e la mattina, all’alba, Mara era stata trovata morta nel cortile della loro casa a Capannoli. Non era morta lì, qualcuno l’aveva trascinata fuori dalla modesta casa. La donna venne trovata, senza scarpe, con i jeans abbassati, la maglietta sollevata sulla pancia. «Il compagno era molto nervoso – testimonia un volontario del 118, John Gallo – Aveva il volto gonfio, sembrava fosse stata oggetto di percosse». «La donna aveva una macchia sul corpo come da sfregamento, come se il corpo fosse stato trascinato», riferisce davanti alla Corte d’Assiste, rispondendo alle domande del Pm Giovanni Porpora, il maresciallo dei carabinieri Mauro Tuveri.
Le liti tra i due, Mara e Alfredo (difeso da Giuseppe Carvelli), erano una costante. Lui la picchiava e Mara cercava di nasconderlo. Anche quella notte Mara è stata picchiata ed è poi morta soffocata nel sangue: questa l’ipotesi accusatoria. Se solo il compagno – in casa c’erano solo lui e il figlio – avesse attivato i soccorsi, forse la donna si sarebbe salvata. Invece risulta che l’uomo di notte abbia fatto due telefonate a Mara, alle 2,28 e alle 2,34 per motivi non chiari. E la mattina della tragedia il cellulare di Mara sembrava sparito. Solo una decina di giorni dopo i carabinieri – i quali avevano saputo che la coppia era stata a Calci con amici – ne entrarono in possesso. Per tutto quel tempo il telefono era rimasto a casa di Graziano Bottoni, una delle ultime persone ad avere visto Mara viva. A quel punto la verità si stava componendo. La coppia non aveva cenato a casa, anche se i carabinieri avevano trovato la tavola apparecchiata. La casa era in totale disordine, ma non da colluttazione. Quella sera i due erano stati a Calci. Lì avevano bevuto – così sostiene Bottoni, che però si contraddice più volte – cinque litri di vino in quattro. Il testimone, come risulta dalle intercettazioni, era stato invitato dal compagno di Mara a non dire niente. Contraddizione dopo contraddizione, dalle parole del testimone si intuisce che potrebbero esserci ancora particolari non detti su quella sera. Bottoni sostiene di avere visto la coppia e il bambino uscire insieme. Dalle scale di casa sua Mara non è caduta. «Stava sulle sue gambe e dava la mano al figlio», ripete davanti ai due giudici togati e a quelli popolari. E se la coppia, che aveva bevuto, avesse cominciato a litigare proprio a Calci? E se la lite fosse proseguita in auto – Mara ha il naso rotto e segni di percosse a un timpano – fino a Capannoli? «So che in passato avevano litigato – ammette Bottoni – Quattro o cinque mesi prima avevo visto Mara con un labbro spaccato e un occhio nero». Bottoni chiese spiegazioni alla donna e poi il compagno, che in questi anni non ha mai confessato, confermò la circostanza: «Sì, Alfredo mi disse che l’aveva menata».

Picchiò fino alla morte la compagna, condannato a sette anni 

Confermata in appello la condanna del compagno
Il camionista di Zambra era stato giudicato colpevole di omicidio preterintenzionale dalla Corte d’Assise che gli aveva inflitto sette anni. In secondo grado riconosciuto il risarcimento ai familiari della donna.
Colpevole. Anche per la Corte d’Assise d’Appello di Firenze non ci sono dubbi sulle responsabilità del compagno di Mara Catani Nieri, 42 anni, trovata morta a Capannoli, nel cortile di casa, la mattina del 26 aprile 2013. Mara è morta in conseguenza delle botte che l’uomo, con il quale aveva frequenti litigi, le aveva dato la sera prima della tragedia. È per questo Alfredo Di Giovannantonio, camionista quarantenne di Zambra, un anno fa era stato condannato a Pisa a sette anni di carcere dalla Corte di Assise. L’accusa era quella di omicidio preterintenzionale e il pm, Giovanni Porpora, di anni ne aveva chiesti otto. La Corte d’Assise d’Appello ha confermato la condanna che l’uomo, mai sottoposto a misure di custodia cautelare, dovrà scontare. I giudici hanno anche accolto il ricorso presentato dalla parte civile, rappresentata dall’avvocato Rolando Rossi di Pisa, per quanto riguarda il risarcimento danni alla madre e ai familiari di Mara. La sentenza di primo grado, emessa a Pisa, a sorpresa, non aveva riconosciuto il risarcimento chiesto dalla famiglia sostenendo che non era possibile valutare il danno e la vicinanza alla vittima. La sentenza di secondo grado invece riconosce anche una provvisionale immediatamente esecutiva. Alla lettura della sentenza in tribunale a Pisa la madre della vittima, Carla Mattolini, era scoppiata in lacrime: «Mia figlia è stata lasciata morire da sola come un cane. Chi l’ha uccisa è libero e i giudici non hanno preso in considerazione nemmeno l’ipotesi di un risarcimento del danno. Vale così poco la vita di una donna?».
Un’inchiesta strana quella seguita alla morte di Mara
. Prima era stato detto che la donna era morta per un malore e il compagno aveva cercato di depistare gli inquirenti. Era poi emerso, con l’autopsia, ma già i soccorritori avevano visto i traumi, che Mara era stata a Calci con il compagno la sera della morte. Avevano litigato, lui l’aveva picchiata (sul cadavere segni evidenti di percosse), l’aveva lasciata agonizzante ed era andato a dormire dopo che entrambi a cena avevano bevuto più del dovuto. All’alba, quando l’uomo si era svegliato, l’aveva trovata morta e aveva raccontato la storia del malore, cioè che Mara si era sentita male ed era uscita per chiedere aiuto, mentre lui dormiva. Non era proprio così, e ieri si è capito ancora una volta come in questa storia poteva starci anche un’accusa più pesante nei confronti del compagno difeso dall’avvocato Giuseppe Carvelli. L’imputato si è sempre difeso dicendo che Mara era caduta accidentalmente dalle scale e che, quando era andato a dormire, lei era viva. Se fossero stati attivati i soccorsi in tempo, forse la donna avrebbe potuto vedere crescere suo figlio.


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