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Katia Tondi, 31 anni, mamma. Strangolata davanti al figlioletto di sette mesi dal marito che simula una rapina

San Tammaro (Caserta), 20 Luglio 2013

Lui la teneva isolata, non la faceva mai uscire e non le permetteva di lavorare.  Ma si cerca il movente del DNA del figlio, che però risulta essere di entrambi. Il bambino cresce con il padre fino all’età di 7 anni, quando il padre viene condannato a 27 anni di carcere, e il figlio viene affidato ai nonni paterni. I nonni materni possono incontrarlo due volte la settimana in presenza degli altri nonni.

 

 


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La storia di Katia Tondi, uccisa davanti al figlioletto di 8 mesi
Katia Tondi, mamma 31enne di un bimbo di sette mesi, è stata strangolata davanti al figlioletto nella casa coniugale di San Tammaro, nel Casertano, il 20 luglio 2013. A chiamare i soccorsi, il marito Emilio Lavoretano: “Quando l’ho trovata era già senza vita”, si difende, ma rischia una condanna per omicidio. Contro di lui le ripetute infedeltà di cui Katia sarebbe stata al corrente.
Un sabato come gli altri, pigro, caldo, scandito dalle tante piccole incombenze del fine settimana. Doveva essere così il 20 luglio 2013, nella tranquillità del parco Laurus di San Tammaro, in provincia di Caserta, dove invece quel giorno d’inizio estate, i vicini vedono apparire, nell’ordine: un’ambulanza, l’auto della polizia locale e una pletora di curiosi. Nell’appartamento dei coniugi, Lavoretano – Tondi, infatti, è accaduto qualcosa di terribile, una rapina, si mormora, finita in tragedia. La povera Katia, 31 anni e mamma di un bimbo di sette mesi, giace sul pavimento priva di vita mentre, intorno a lei, gli oggetti che avevano accompagnato la sua quotidianità, sono sparsi alla rinfusa. Mancano alcuni gioielli e la fede nuziale, i soldi no. Il bimbo, il suo unico figlio, sta bene e così pure suo marito, Emilio Lavoretano, colui che ha ritrovato il corpo.
Ennesimo femminicidio
Secondo l’autopsia la povera Katia è strangolata con un cordino sottile, un’arma d’occasione. Non ci sono segni di lotta, tutto è avvenuto rapidamente e senza che la vittima potesse opporre resistenza. Si indaga subito e si indaga, d’ufficio, proprio sulla posizione di Emilio, il marito, colui che ha dato l’allarme. Chi è Lavoretano? Impiegato in un’officina che vende ricambi di gomme per le auto, figlio di un maresciallo dei carabinieri in pensione con 40 anni di servizio, è descritto da tutti come una persona tranquilla e, infatti, a suo carico non spunta nulla, se non, alcune voci di paese riguardo a presunte relazioni, extraconiugali, alcune avvenute durante il fidanzamento, altre, con donne sposate.
Le infedeltà: “Katia sapeva”
Quelle che erano solo voci diventano verità quando a parlare è la madre di Katia. La donna racconta pubblicamente delle scappatelle del genero, alcune delle quali risalenti, addirittura, alle prime fasi del matrimonio. “Qualche mese prima che mia figlia Katia restasse incinta, suo marito Emilio l’aveva tradita con una ragazza di Santa Maria Capua Vetere, Katia aveva capito la tresca e un giorno li aveva seguiti in un vicolo. Erano nell’auto, si baciavano. Katia, accecata dal dolore e dalla delusione, prese a calci la portiera della vettura”. Dalla sua, però Emilio, che si protesta innocente, per tutto. Per il delitto, in particolare, ha un alibi: è uscito a fare la spesa spesa intorno alle 19 e una volta rientrato, ha trovato la porta d’ingresso dischiusa e la povera Katia senza vita. Fanno fede gli scontrini del supermercato e l’ora della morte indicata dall’autopsia, le 20 circa. Così, però, potrebbe non essere, perché sull’ora della morte ci sono punti di vista discordanti tra i periti, tanto che secondo la Procura la morte risalirebbe invece tre le ore 18 e le 19, quando, dunque, Lavoretano si trovava ancora in casa. Non solo, un’ombra scura si allunga anche sulla figura del padre di Emilio, l’ex maresciallo dei carabinieri che un testimone ha visto in auto con il figlio circa due ore prima che arrivasse l’ambulanza.
La telefonata al 118
A San Tammaro l‘opinione pubblica comincia a sbilanciarsi a favore della tesi colpevolista, anche a causa dell’impatto avuto da alcuni servizi giornalistici. È Lavoretano a rompere il silenzio chiedendo a tutti di non fare speculazioni: “Cercate la verità, non i pettegolezzi e abbiate la pazienza, cosi come cerco di averla io, di attendere un processo e una sentenza”.  Difficile non fare speculazioni, soprattutto quando inquietanti spunti arrivano proprio dai media. Nel corso della trasmissione di approfondimento, ‘Quarto Grado’, infatti, viene analizzata attentamente la telefonata di Emilio Lavoretano al 118, quando secondo la sua ricostruzione, l’uomo, appena rincasato, rinviene il corpo della moglie. “Pronto, pronto, buonasera, al parco Laurus a San Tammaro, sta mia moglie a terra” esordisce e poi, piangendo, biascica alcune parole il cui senso è, a un primo ascolto, incomprensibile, fino a che l’audio non viene rallentato permettendo di cogliere una frase che suona come: “Sono stato io”, ripetuta per ben due volte. Lo stesso frammento, tuttavia, esaminato dal fonico incaricato dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, restituisce un risultato diverso, sconfessando la tesi televisiva: “Sta tutta nera”, è invece la frase che avrebbe detto Lavoretano.
Il processo
Oggi, dopo sei anni, il processo per l’omicidio della povera Katia, celebrato nel tribunale di Santa Maria Capua Vetere, è arrivato alla fase finale. Grande assente in aula resta il movente, che inizialmente era stato collegato alla paternità del figlioletto di Katia e Emilio, che invece, dopi il test del DNA è risultato essere figlio di entrambi. Restano ancora alcune domande: che fine ha fatto l’arma del delitto? Chi se n’è disfatto? Come è stato possibile eliminare ogni traccia dalla scena del crimine? E infine, quanto hanno pesato le infedeltà di Emilio in quel rapporto?

Katia Tondi, test Dna conferma: Emilio è il padre del bambino
Emilio Lavoretano è il padre del bambino avuto da Katia Tondi, la donna trovata strangolata in casa, a San Tammaro, lo scorso 20 luglio.
E’ il risultato dell’esame del Dna anticipato dal pool investigativo della difesa del gommista di Santa Maria Capua Vetere, indagato a piede libero di omicidio volontario nei confronti della moglie. Secondo alcune voci, che provenivano da una persona definita “supertestimone”, l’omicidio sarebbe scaturito dai dubbi dell’uomo sulla paternità del figlio. Lavoretano, il prossimo 22 ottobre, si sottoporrà all’esame ufficiale disposto dalla Procura. Intanto, i suoi legali – Natalina Mastellone e Raffaele Gaetano Crisileo – fanno sapere che “il risultato del Dna anticipato dal nostro consulente, il professor Carmelo Lavorino, non ci sorprende più di tanto perché nessuno della famiglia dubitava della paternità di Emilio e del bambino avuto da Katia”. “Il motivo per cui l’esame del Dna è stato anticipato rispetto all’accertamento disposto dal sostituto procuratore – spiega l’avvocato Mastellone – è finalizzato a mettere a tacere, in tempi brevi, le maldicenze che a seguito di un accertamento così mirato, si sono diffuse su una donna la cui vita risulta essere assolutamente trasparente. Emilio non hai mai dubitato della moglie Katia e immediatamente, pur potendosi sottrarre, ha aderito alla richiesta di essere sottoposto al Dna. Ciò non solo evidenzia l’assoluta collaborazione con gli inquirenti, ma rafforza la mancanza di un movente per il marito della vittima”. Gli inquirenti, adesso, nel cercare di identificare l’assassino di Katia, dovranno seguire altre piste. “Il profilo dell’assassino – spiega il professor Lavorino – a livello comportamentale, ideativo, immaginifico, creativo, emotivo, espressivo e comunicativo appare coincidere guarda caso con quello del ‘supertestimone’ che avrebbe dichiarato che Emilio Lavoretano non è il padre del bambino: una strana coincidenza. Bene hanno fatto gli inquirenti a disporre la prova del Dna”. In questi giorni è stata anche formalizzata la consulenza tra l’ex generale dei Ris dei carabinieri, oggi investigatore, Luciano Garofano, e la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Un rompicapo giudiziario sfociato in questi mesi anche in molte illazioni come quella di un possibile testimone che avrebbe visto Lavoretano ed il padre (maresciallo dei carabinieri in congedo) nelle vicinanze dell’abitazione. Si tratta di un fruttivendolo che nei giorni scorsi è stato anche erroneamente indicato come vittima di un pestaggio e di minacce. Tuttavia, l’uomo non ha mai presentato denuncia su questo episodio, negato da lui stesso, che ha parlato di una rapina subita mentre si trovava con la fidanzata.

Delitto Tondi, il Giudice ha deciso l’affidamento del figlio. La reazione di Emilio in cella
E’ una vicenda drammatica in ogni suo risvolto quella dell’omicidio di Katia Tondi per il quale Emilio Lavoretano è in cella da quattro giorni. Il giorno dopo l’arresto da parte della polizia il tribunale per i minorenni di Napoli si è espresso d’urgenza sull’affidamento del bimbo della coppia – testimone inconsapevole di quel fatto di sangue (aveva pochi mesi) – che ora ha 7 anni. Il bambino, come riferito da “Il Mattino”, è stato affidato ai genitori di Emilio, suoi nonni paterni. Una decisione presa per non turbare ulteriormente la tranquillità del piccolo che fino all’arresto dell’unico genitore viveva tra la casa del padre e quella dei nonni paterni. Ai genitori di Katia – come stabilito già in precedenza – era consentiti due incontri settimanali col bimbo alla presenza degli altri nonni.
Emilio Lavoretano ha trascorso le prime ore in carcere con l’animo turbato sia per il provvedimento che non si aspettava che per suo figlio. All’inizio non aveva nemmeno compreso che i poliziotti lo stavano arrestando pensando di essere seguito. Nei prossimi giorni sull’ordinanza potrebbe pronunciarsi il tribunale del Riesame. L’arresto è arrivato un mese dopo la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere che ha condannato Lavoretano, dopo un un lungo dibattimento, a 27 anni di carcere per l’omicidio della Tondi. Dopo la sentenza di condanna, la procura di Santa Maria Capua Vetere aveva chiesto l’emissione della misura cautelare ritenendo sussistere il pericolo di fuga. Richiesta accolta questa mattina dalla Corte di Assise samaritana. Secondo quanto ricostruito durante il processo, Lavoretano il 20 luglio di 7 anni fa simulo’ una rapina all’interno dell’abitazione di famiglia, raccontando di essere tornato a casa e aver trovato la moglie a terra in un lago di sangue e priva di vita.


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