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Guerrina Piscaglia, 50 anni, casalinga, mamma. Scomparsa. Condannato il parroco.

Badia Tebalda (Arezzo), 1 Maggio 2014

“La parrocchiana inquieta e annoiata”, “La Madame Bovary di montagna”

 

Gratian Alabi, noto come Padre Graziano, 45 anni, parroco. Nega.


Titoli & Articoli

La vicenda di Guerrina Piscaglia e Padre Graziano è una delle dieci+una Favole da Incubo contenute nel libro scritto da Roberta Bruzzone ed Emanuela Valente, con il titolo “Cappuccetto Rosso è scomparsa con il paniere”
Favole da Incubo  

Arezzo, caso Guerrina: otto anni dopo manca piena verità. Prete in carcere per omicidio rinuncia a revisione processo
Otto anni dopo, la casa di Guerrina non è più vuota. Ci abita un cugino di Mirco così la tiene viva, altrimenti andrebbe in malora.
Fu proprio lì davanti che il Primo maggio 2014 lei salutò il marito e svanì nel nulla. “Vado a fare due passi, tu vedi di non bagnarti con il tubo”, disse Guerrina a Mirco. Poi la passeggiata di sola andata, verso il mistero. Assassinata dal prete, secondo la giustizia italiana che ha condannato a 25 anni di reclusione Gratien Alabi Kumbayo, il sacerdote di cui la parrocchiana inquieta e annoiata si era invaghita; il vice parroco inviato dalla Curia di Arezzo a fare il pastore di anime lassù a Cà Raffaello, isola toscana in territorio romagnolo.
Oggi Guerrina avrebbe 57 anni. Il suo corpo non è stato mai trovato e questo tiene aperto il mistero, nonostante il sigillo della Suprema Corte di Cassazione sulla storia. Padre Graziano di anni ne ha 52 ed è rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia. Non più un leone in gabbia, pare, ma arreso al destino. Ha rinunciato a ricorrere alla Corte europea di giustizia e ad avviare una richiesta di revisione del processo. Servono risorse economiche per le indagini e argomenti forti che evidentemente non ci sono.
Così, almeno per ora, ha stoppato l’esperto e tenace avvocato Riziero Angeletti, suo difensore. Intanto il tempo scorre e forse l’obiettivo del congolese che alternava birre a benedizioni e prediche, è quello di arrivare ai primi benefici, la semilibertà. Per ogni 6 mesi di pena scontata spettano 45 giorni di detrazione dalla pena totale, in caso di buona condotta. C’è ancora da aspettare e da meditare. Ma il suo silenzio è rimasto totale: si è sempre proclamato innocente e nega pure di aver incontrato Guerrina quel giorno: anche se telefonate e messaggi tra i due – tantissimi – si interrompono bruscamente in quel primo pomeriggio quando lei fu vista dalla suocera, dopo pranzo, salire per la stradina che conduce alla canonica, epicentro e simbolo del mistero esploso nel 2015 come tragica telenovela tv.
Otto anni dopo, il figlio di Guerrina, Lorenzo, è un trentenne brillante nonostante la disabilità. Insieme al babbo Mirco, adesso vive gran parte del tempo a Sansepolcro dove una cooperativa riempie le loro giornate con socialità e occupazione. Per la festa del lavoro saranno su a Cà Raffaello a casa di Benito Alessandrini e Giovanna, suoceri di Guerrina. Seduti intorno a quella tavola dove dal primo maggio 2014 una sedia è rimasta vuota. I gesti ordinari di quel giorno – Guerrina che fa il colore ai capelli alla suocera e la aiuta a rigovernare – stridono con l’enormità dell’enigma irrisolto.
“Quella che abbiamo ottenuto è una verità incompleta”, sintetizza lo zio Silvano Piscaglia, da Novafeltria, paese d’origine di Guerrina dove oggi sarà celebrata una santa messa in suffragio. Certo, il processo indiziario ha portato ad affermare la colpevolezza dell’omicida, ma troppe cose mancano. Il corpo o meglio i resti della donna, chiarezza su come andarono i fatti, luce sui probabili complici di Alabi, che da solo non può aver fatto tutto da solo. “Sarà una giornata di dolore, di vuoto, di sofferenza”, dice la signora Giovanna che esprime il tormento impossibile da placare. Gli avvocati Nicola Detti e Francesca Faggiotto mettono a punto l’atto di citazione per una difficile azione civile contro la Chiesa ritenendola in qualche modo responsabile delle condotte di uno suo pastore e quindi tenuta a risarcire. Vedremo.
Otto anni dopo il dottor Marco Dioni, il magistrato che si occupò del caso, è sempre alla procura di Arezzo e il maresciallo Tommaso Surico è sempre in servizio nei Carabinieri. Non hanno ricevuto impulsi, testimonianze, elementi, per nuove ricerche del corpo. Furono loro, con altri inquirenti, a sbrogliare la complicata matassa del caso di Cà Raffaello proiettandosi nell’angolo estremo della provincia di Arezzo con caparbietà e acume. Un ottimo lavoro, per quello che fu possibile fare dopo che i primi mesi dalla scomparsa erano stati persi perché lassù a Cà Raffaello si pensava che Guerrina si fosse allontanata da sola. Era lo stesso padre Graziano a propagare e alimentare lo scenario improbabile di un allontanamento volontario (con il marocchino di Gubbio, con zio Francesco, con figure fantasiose). “Guerrina se ne era voluta andare? E allora cavoli suoi”, pensarono in diversi, interrompendo le ricerche. Poi però emersero le crepe, le contraddizioni, i sospetti, anche grazie ad una catechista sensibile e perspicace. Cadde la tela di depistaggi orditi dal prete con il telefonino della donna, che di sicuro ha avuto nelle mani (lo si desume dai messaggi inviati) ma che ha fatto sparire.
Gratien Alabi eliminò Guerrina perché era diventata ingombrante, ossessiva, lei voleva andare a vivere con lui, voleva avere un figlio da lui, insomma era un ostacolo: questo afferma la sentenza, che indica proprio in quel primo maggio il giorno del delitto ricostruito su basi logiche, indiziarie. Forse fu strozzata. Poi fatta sparire. Ma dove? Nessuno ha visto, sentito, notato qualcosa.
Le domande irrisolte alimentano il dubbio di scenari diversi. Una seconda vita di Guerrina in un altro paese. Portata via, rapita. Si è parlato di Africa, di Belgio, in tempi recenti di Francia, presso un convento. Tutte chiacchiere senza riscontri. Un grumo di illazioni. Indovini e veggenti a fare previsioni e indicare mappe. A Cà Raffaello il primo maggio 2022 forse sarà con il cielo grigio come otto anni fa. La sedia di Guerrina è lì, sempre vuota. L’implorazione al prete carcerato è sempre la stessa: “Dica la verità”.

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