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Gratian Alabi, Padre Graziano, 45 anni, parroco. Condannatoa 25 anni di carcere per aver ucciso e occultato una parrocchiana

Badia Tebalda (Arezzo), 1 Maggio 2014


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La vicenda di Guerrina Piscaglia e Padre Graziano è una delle dieci+una Favole da Incubo contenute nel libro scritto da Roberta Bruzzone ed Emanuela Valente, con il titolo “Cappuccetto Rosso è scomparsa con il paniere”
Favole da Incubo  

Gratien, ecco le motivazioni della Cassazione che faranno giurisprudenza: “Colpevole anche senza cadavere”
“Colpevole di omicidio anche senza cadavere”. Così nelle 57 pagine della motivazione depositata dalla Cassazione viene spiegato il perché della condanna definitiva per padre Gratien Alabi a 25 anni di carcere. Il religioso è finito nel carcere romano di Rebibbia per la morte di Guerrina Piscaglia. Nonostante l’assenza della prova principe, ovvero il cadavere, secondo la Suprema Corte “si è registrata una piena convergenza di elementi indizianti a carico dell’imputato, ritualmente acquisiti e tali da confinare il dubbio circa l’esistenza dell’omicidio e la sua attribuibilità all’imputato, nell’area dell’assoluta irragionevolezza”.
“L’omicidio volontario di Guerrina Piscaglia  – si legge tra le pagine della motivazione – è frutto di apprezzamento logico derivante da una serie di evidenze indirette” e “l’attribuzione omicidiaria a Gratien Alabi è anch’essa frutto di elaborazione e valutazione congiunta di prove indirette, non essendo stata acquisita nessuna fonte dimostrativa che abbia percepito, nella sua materialità, il fatto storico oggetto dell’imputazione”.
Le ipotesi alternative, ovvero la fuga e il suicidio, sarebbero da ritenere confinate “nell’area della irragionevolezza”. La sentenza di secondo grado inoltre per la Cassazione “costituisce un tutto coerente e organico: ogni punto di essa non può essere preso a sé, ma va posto in relazione agli altri.”  Una sorta di puzzle che, una volta messi insieme i pezzi, mostra il disegno complessivo.
Secondo l’agezia Adn Kronos: “Le motivazioni della Cassazione sono destinate a fare giurisprudenza per casi analoghi di processi indiziari con assenza di cadavere”.  Ad incastrare padre Graziano dunque sarebbe stata la  “concatenazione logica”grazie alla quale secondo la Cassazione si può stabilire la reponsabilità per omicidio anche in caso di mancato rinvenimento del cadavere. “Ciò risponde – si legge nella motivazione – ad un criterio logico ed etico: la tesi della inconciliabilità tra una situazione di condanna per omicidio e il mancato rinvenimento del cadavere finirebbe con alimentare a ricorso a pratiche illecite di definitiva soppressione di resti umani, in totale spregio delle regole etiche in tema di rispetto dei defunti”. Poi una parentesi dedicata all’incontro con il fantomatico personaggio di zio Francesco, episodio ritenuto dalla Suprema Corte di pura fantasia. “Se l’incontro posteriore al primo maggio tra padre Graziano, Guerrina e zio Francesco fosse realmente accaduto ci si sarebbe dovuti attendere da padre Graziano un comportamento del tutto diverso, consistente nel disvelamento alle forze dell’ordine e ai familiari della donna di quanto accaduto”. Non parlò per segreto confessionale? Fandonie. Per la Cassazione, verso le 14 del primo maggio 2014 l’incontro tra il prete e la parrocchiana è “un fatto storico”. Ci fu. Venne vista andare verso la canonica e ci fu uno scambio di telefonate e messaggi che si interrompe. Determinanti le attività svolte successivamente con il telefonino della Piscaglia, durante il pomeriggio in cui il frate andò a Sestino per un funerale e una messa. “… ne deriva che l’affermazione per cui Guerrina Piscaglia ha trovato la morte per mano di padre Graziano in quello specifico frangente non può dirsi né illogica né tantomeno apodittica, ma rispondente ai canoni di valutazione della prova indiziaria”. Le motivazioni sottolineano un dubbio: quello sul luogo dell’omicidio. Non è infatti mai stato chiarito se è avvenuto all’esterno oppure in canonica, proprio perché i depistaggi attribuiti al religioso avrebbero ritardato le indagini. Appare invece chiaro il movente. “La ragione essenziale del delitto – dice la Cassazione – viene ravvisata nelle difficoltà insorte nella relazione sentimentale”. Padre Gratien infatti sarebbe stato trasferito e non avrebbe abbandonato l’abito come forse sperava Guerrina.  Quindi il no alla concessione delle attenuanti generiche “non essendo emerso alcun elemento positivo sul fatto o sulla personalità tale da comportare una necessità di attenuazione del trattamento sanzionatorio”. Subito dopo il fatto, Gratien ha avuto una condotta tesa “ad una dolosa alterazione della realtà, indicativa di elevata capacità a delinquere”.

Omicidio di Guerrina Piscaglia, le milionarie richieste di risarcimento potrebbero ricadere sulla Diocesi
La Diocesi di Arezzo e l’ordine religioso belga-congolese dei Premostratensi restano, almeno per ora, incatenati alla causa civile intentata contro di loro dalla famiglia di Guerrina Piscaglia, la casalinga per il cui omicidio e occultamento di cadavere Padre Graziano Alabi è stato condannato in via definitiva a 25 anni di carcere che sta scontando nel penitenziario di Opera, a Milano. Una storia che a suo tempo fece clamore, occupando puntate intere delle trasmissioni in giallo della Tv, così come ora fa rumore la cifra chiesta a risarcimento dalle sorelle e dalle nipoti: quasi un milione. Ma per le due istituzioni ecclesiastiche non è finita qui, perché si fanno sempre più insistenti le indiscrezioni secondo le quali anche il vedovo di Guerrina, Mirko Alessandrini, e il figlio, si appresterebbero a chiedere danni per una somma altrettanto consistente. Alla fine, insomma, il giudice Fabrizio Pieschi, del tribunale di Arezzo, si potrebbe trovare a decidere su un risarcimento monstre, intorno ai due milioni. Padre Graziano non ha un centesimo, così come non l’aveva ai tempi del delitto. Il peso, quindi, in caso di condanna ricadrebbe interamente su Diocesi e Ordine religioso. Ecco il significato della decisione di ieri, alla prima udienza, che ha detto no all’istanza di estromissione dalla causa presentata dalle due istituzioni religiose.
Curia vescovile di Arezzo (e per il nuovo titolare Andrea Migliavacca, che si è insediato appena domenica, è la prima grana) e Premostratensi sostengono, per tramite dei loro avvocati, che Gratien Alabi (religioso congolese italianizzato in Padre Graziano) abbia agito da privato cittadino e non nella sua funzione di sacerdote, loro dunque col risarcimento non c’entrano niente. Le due legali di sorelle e nipoti (ma lo stesso faranno gli avvocati di marito e figlio) scrivono invece che ci fu un rapporto necessario fra relazione sessuale, omicidio e condizione di sacerdote: «L’abito talare fu una vera e propria conditio sine qua non della relazione sessuale prima e dell’evento morte poi» poiché «pose padre Graziano nella condizione di poter più agevolmente compiere il fatto dannoso».
Per capire meglio bisogna rievocare la storia, snodatasi nello sperduto paesino di Ca’ Raffaello, estremo lembo della provincia di Arezzo, comune di Badia Tedalda, enclave circondata interamente dalla Romagna. Guerrina ci viveva, Padre Graziano, premostratense appunto, ne era il parroco. Tra i due ci fu una storia d’amore, non si è mai capito se fosse anche una relazione sessuale, vissuta da lei, cinquantenne e moglie scontenta, come una passione e da lui con crescente fastidio, specie quando lei cominciò a fargli balenare di essere rimasta incinta. Guerrina scomparve il primo maggio 2014 senza lasciare tracce, nessuno l’ha più vista. Tre gradi di giudizio hanno stabilito che il parroco l’attirò in trappola nella canonica e la uccise a mani nude, facendo poi sparire il corpo. “Quelle stesse mani sporche di sangue con cui diceva Messa”, disse nella sua arringa l’avvocato di parte civile delle sorelle, Chiara Rinaldi, ora protagonista della causa civile. Al processo di Arezzo testimoniò anche il Vescovo Riccardo Fontana, che riaffermò l’estraneità della Chiesa e della Diocesi, ma ammise di essere stato messo in guardia da una lettera della catechista di Ca’ Raffaello che denunciava la storia d’amore clandestina. Ora quella lettera sarà un elemento fondamentale nella tesi sostenuta dalla famiglia. Il processo civile riprende il primo marzo. Il giudice ha concesso sessanta giorni per notificare la citazione a Padre Graziano. Finora nessuno è riuscito a presentargli l’atto giudiziario: a Rebibbia non c’era più, di Opera si è saputo dopo. Anche questo è un paradosso: un detenuto come un destinatario sconosciuto.


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