Giusy Potenza, 14 anni. Uccisa a colpi di pietra dall’amante
Manfredonia (Foggia), 12 novembre 2004
Si incontrano, come al solito, in macchina. Fanno l’amore. Poi parlano e a quel punto Giovanni si rende conto che quella ragazzina sta per diventare un problema, vuole dire a tutti che sono amanti, ma lui è sposato, ha due figli. Lei scende dalla macchina e cade giù nella scogliera, lui la soccorre ma a quel punto ha un raptus e la finisce con una pietra di 8 chili.
Giovanni Potenza, 27 anni, pescatore. Sposato, due figli. Giusy è sua cugina ma anche la sua amante. Condannato a 30 anni.
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15enne uccisa con ferocia a colpi di pietra
Si uccide la mamma di Giusy Potenza
Repubblica
La ricostruzione del giorno del delitto nelle parole degli investigatori che lo definiscono “un omicidio d’impeto” – L’incontro, un violento litigio – Così è morta Giusy Potenza
Il film del delitto di Giusy Potenza – le cui sequenze sono state ricostruite oggi dalla polizia – comincia alle 17.10 del 12 novembre scorso quando la ragazza, su richiesta della mamma, Grazia Rignanese, va al negozio ‘Bernini’ di Manfredonia, vicino a casa sua, per comprare due cd. Alle 17.15 entra nel ‘Bernini’ ma non trova quello che le aveva chiesto la madre. Nell’esercizio commerciale incontra invece un amico occasionale, un coetaneo, con il quale comincia a parlare. All’improvviso, però, la quindicenne, interrompe la conversazione e dice all’amico qualcosa del genere: “Devo andare, mi aspetta mio zio paterno”, oppure “devo andare, mi aspetta il cugino di mio padre”, frase sulla quale si concentreranno poi le indagini.
Alle 18 la ragazza sale sulla Ford Focus grigia del suo amante, Giovanni Potenza, il ventisettenne pescatore fermato oggi per l’omicidio volontario della ragazzina, con la quale aveva da circa due mesi una relazione. L’appuntamento tra i due – dicono gli investigatori – “era calendarizzato, accadeva spesso che si vedessero quando Giovanni Potenza non era imbarcato”. L’autovettura si dirige alla periferia di Manfredonia e si ferma a poca distanza dal muro di cinta dell’ex stabilimento Enichem della città, dove si incontrano le ‘coppiette’. Qui, in auto, la coppia, consuma un rapporto sessuale consensuale. Poi discute della loro storia d’amore, cominciata due mesi prima, all’inizio di settembre, e tenuta segretissima. All’improvviso – ricostruiscono gli investigatori – Giovanni Potenza dice a Giusy che farebbero bene ad interrompere la relazione. “Sai – le dice – prima o poi qualcuno lo verrà a sapere e io ho moglie e due figli di due e otto anni”.
Giusy a questo punto si arrabbia. E’ imbestialita. Da ragazzina innamorata, vorrebbe che la sua storia d’amore continuasse, magari culminasse nel matrimonio. Invece, il ventisettenne continua a ripetere: “Giusy, deve finire qui”. La discussione sfocia in una violenta litigata. La quindicenne esce dalla vettura in preda all’ira e si dirige verso la scogliera dalla quale, complice il buio, cade nel vuoto facendo un volo di circa sei-sette metri.
Giusy è ferita. Chiede aiuto. Viene soccorsa dall’amante che la prende in braccio e risale con lei la scogliera. Adagia il corpo sul terreno. “A quel punto – confessa lo stesso indagato al pm che lo interroga – ho rivissuto i momenti delle litigata, ho capito che ormai quella ragazza per me era diventata un problema serio, che poteva mettere in crisi il rapporto con la mia famiglia”.
“Lei – spiega Giovanni Potenza alla polizia – aveva detto che se l’avessi lasciata avrebbe raccontato della nostra storia d’amore a mia moglie”. Per questo motivo Giovanni Potenza, in preda ad un raptus, afferra un sasso di 7-8 chilogrammi, che è stato sequestrato, e lo scaglia più volte sul capo di Giusy, uccidendola.
“Gli elementi della confessione resa sono coerenti”, dice in conferenza stampa il pm inquirente del Tribunale di Foggia, Vincenzo Maria Bafundi, che ammette anche: “Certo, alcune cose non quadrano, ma le indagini continuano per accertare diversi altri aspetti della vicenda”.
“Si è trattato di un omicidio d’impeto”, aggiunge il dirigente della squadra mobile di Foggia, Antonio Caricato, che spiega che al fermo dell’indagato si è giunti comparando le tracce di liquido seminale trovate sul corpo della vittima con un altro reperto (pare tracce di saliva lasciate dall’uomo su una tazzina da caffè): il risultato positivo della comparazione, elaborata dalla polizia scientifica di Roma, è stato indispensabile per procedere al fermo.