Gisella Purpura, 40 anni, mamma. Uccisa con una coltellata dal marito
Novara, 22 Luglio 2016
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Uccisa a coltellate dal compagno in corso Cavour a Novara (La Stampa – 23 luglio 2016)
L’aggressione iniziata in casa: la vittima è una donna di 40 anni. L’uomo è stato subito fermato dalla polizia. I vicini: “Liti continue”
Un omicidio in centro città, a Novara, poco dopo le 16: una donna è stata accoltellata in casa nella centralissima corso Cavour. Ferita, ha trovato la forza di scendere in strada, fra i negozi dell’isola pedonale, e chiedere aiuto, ma quando sono arrivati i soccorsi non c’è stato più niente da fare. Inutili i tentativi di rianimarla: il medico ha constatato il decesso, stando a un primo esame a causa di una sola coltellata al petto. Il marito, Bilel Ilahi, tunisino, 28 anni, è stato fermato dalla polizia quando ancora era all’interno dell’appartamento, poi accompagnato in questura per essere interrogato.
La vittima è Gisella Purpura, 40 anni: seguita dai servizi sociali del Comune per abuso di alcol e stupefacenti, aveva tre figli, due affidati a una comunità, il più piccolo ai nonni. Viveva da anni in un alloggio di residenza sociale nella palazzina di corso Cavour insieme al marito: i vicini di casa e gli amici raccontano di liti frequenti, di una relazione tormentata da cui la donna non riusciva ad uscire. Più volte erano dovute intervenire le forze dell’ordine, chiamate dagli abitanti del palazzo. Così sarebbe accaduto anche questa volta: la lite sarebbe iniziata prima, in strada, e proseguita all’interno del palazzo, dove il marito l’avrebbe colpita con un coltello. Raccogliendo le ultime forze, la donna è tornata in strada a chiedere aiuto, ma è morta prima dell’arrivo dei soccorsi.
«Questo è innanzi tutto un dramma familiare e privato, per di più maturato all’interno di un ambiente complicato e difficile – è la prima reazione del sindaco di Novara, Alessandro Canelli -. La ragazza assassinata era da tempo seguita dai servizi sociali. Però non si può ignorare che in questa città siamo arrivati a livelli di guardia».
L’amica: «Lui era violento, ma lei non lo lasciava». Lui aveva alle spalle piccoli precedenti: «Meno di due settimane fa era stato fermato dalla polizia in stazione mentre danneggiava alcune auto – racconta un’amica della vittima -, urlava, era fuori di sè, diceva che lei lo tradiva. L’avevano fermato e poi è tornato subito libero. Com’è possibile? Perchè nessuno ha fatto niente? Litigavano sempre, lui la picchiava, tutti le dicevamo di lasciarlo ma lei non voleva, era innamorata». Alcuni anni fa, insieme a un ex compagno, la donna era invece rimasta coinvolta in un’indagine su truffe informatiche: nel suo appartamento ci sarebbe stata la base logistica, scoperta dopo la denuncia di un truffato. Il processo è in corso in questi giorni. (di Marco Benvenuti ed Elisabetta Fagnola)
L’omicidio di corso Cavour: “Li sentivamo litigare spesso: Gisella aveva paura di suo marito” (La Stampa – 24 luglio 2016)
Lei aveva paura. Mercoledì aveva chiamato la polizia e continuava a ripetere “Se vado a casa con lui sono morta”»: i vicini di casa raccontano un delitto annunciato in due vite difficili, quelle di Gisella Purpura, 40 anni, e Bilel Ilahi, 28. Ogni sera, da lunedì scorso, arrivava un’auto dei carabinieri o della polizia, giovedì c’era anche un mezzo dei vigili del fuoco. Li chiamava sempre lei che non voleva più il marito in casa ma poi lo faceva entrare sempre. Venerdì pomeriggio l’ultimo litigio. Nell’androne di corso Cavour 3 c’è una macchia di sangue enorme. Le gocce rosse arrivano al secondo piano, fino alla porta della casa ora sotto sequestro: sul ballatoio ci sono gli schizzi anche sul muro e il sacchetto delle mollette per il bucato legato alla ringhiera. L’aggressione è stata qui.
Era arrivata nel 2003- Gisella abitava in questo alloggio popolare dal 2003, Bilel Ilahi da tre anni. Tutti sentivano i loro litigi, soprattutto la voce di lei, forte e rauca nel silenzio della notte: «Con noi lui era gentile, sembrava un angelo – raccontano gli abitanti del primo piano -. Quando litigavano in cortile o per strada Gisella gridava, lo insultava e lui non le rispondeva mai. Poi quello che succedeva in casa noi non lo sappiamo. Di certo lei aveva paura e lo aveva detto mercoledì anche agli agenti di polizia».
«Io glielo ripetevo “Che cosa te ne fai di uno così? Lascialo perdere” – dice Silvia Ermassi, un’altra abitante del palazzo -. Ormai quando chiedeva aiuto nessuno di noi interveniva più. Tanto poi se lo riprendeva sempre in casa: chiamava i carabinieri, discutevano in strada ma alla fine salivano le scale per mano. Lo aveva denunciato però poi gli portava il cibo in carcere». La vita non era tranquilla per nessuno dei due in quella casa: «C’era un continuo vivai di persone – dicono i vicini -. Tipi strani, non certo raccomandabili. Si sentivano grida, litigi tra loro e con altri».
L’amico dell’ultimo piano. Ogni tanto Gisella saliva all’ultimo piano da Marco Tamagni, chiedeva una sigaretta e scambiava due chiacchiere. Il musicista abita qui dall’87 e si ricorda quando l’aveva vista arrivare con le sue cose e il pancione, incinta dell’ultima dei tre figli. Le sono stati tolti tutti dai servizi sociali: «Soffriva molto per questo fatto ma non riusciva a occuparsi di loro. Lasciava la bimba di due anni in casa da sola. La sentivamo che piangeva e chiamava la mamma e così avvertivamo la polizia».
«L’ho vista agonizzante» Quando andava da Tamagni si sedeva sul divano e si confidava: «Era problematica, difficile, ma alla sua maniera era una brava persona. Anche i guai con la Giustizia erano per cose stupide, ingenue. Purtroppo si è sempre scelta compagni sbagliati. Con Bilel litigavano tanto. Adesso non lo voleva più o almeno così diceva. Pochi giorni fa gli gridava “Ma sei entrato dalla finestra? Vattene da qui”» racconta il vicino. Ha rivisto Gisella agonizzante, sul porfido davanti a casa in un pomeriggio d’estate: «Aveva una macchia rossa sul petto, attorno a lei si affannavano i soccorritori della Croce Rossa – ricorda Tamagni -. Ad un certo punto mi sono accorto che ritiravano gli strumenti, improvvisamente calmi. Ho capito che non c’era più nulla da fare». (di Barbara Cottavoz)