Francesca Alleruzzo, 44 anni, maestra, mamma di 4 figlie. Uccisa a fucilate dall’ex che ha ucciso anche il nuovo compagno, la figlia e il suo fidanzato
Brescia , 4 Marzo 2012
Sono circa le 3 di notte. Francesca e Vito, il suo nuovo compagno, arrivano in macchina sotto casa. Non sanno che ad attenderli c’è lui, Mario, l’ex marito della donna e padre di tre delle sue bambine. Li stava aspettando, alle 3 di notte sotto casa, drogato e armato: non c’è dubbio si tratta di un raptus improvviso di gelosia per quella che non era più la sua donna da circa due anni. Uccide lei e lui. Poi sale nell’appartamento e spara anche a Chiara, la figlia che Francesca aveva avuto da una precedente relazione, e al suo fidanzatino. Mentre, nella stanza accanto, dormono le sue tre figlie.
Titoli & Articoli
Francesca Alleruzzo, il dolore dei genitori (GDB – 5 marzo 2012)
Il dolore senza la rabbia. La richiesta di giustizia senza la voglia di vendetta. E il ricordo struggente della figlia e della nipote – uccise da una violenza assurda – che sembra cercar conforto nella tenerezza per tre bambine che ora vanno abbracciate e cresciute. La voce di Alfredo Alleruzzo e di Graziella Alberti non si concede incrinazioni, né accelerazioni. Ad un tempo fragili e forti, ti guardano negli occhi e raccontano: «Erano la cosa più bella al mondo, ce le hanno portate via. Francesca stava tentando di uscire da un rapporto che le ha causato anni di fatiche, di dolori e di paure. Chiara aveva raggiunto la mamma da alcuni mesi e stava cercando un lavoro. Avevano il diritto di vivere». E poi provano a guardare avanti: «Adesso quelle tre bambine hanno bisogno di una famiglia, e noi per il loro bene siamo disposti a tutto».
Alfredo e Graziella Alleruzzo avevano vissuto a lungo a Brescia, nella zona di via Cremona, dove sono nati i loro quattro figli: Francesca e tre fratelli maschi. Poi il trasferimento a Reggio Calabria, dove Francesca si era diplomata (maturità classica e maturità magistrale) ed aveva conseguito la laurea in Pedagogia. Per gli Alleruzzo il rapporto con la nostra città non si era mai interrotto, specie dopo che Francesca e uno dei figli avevano scelto di vivere a Brescia.
Ieri mattina la terribile notizia e il primo volo utile dalla Calabria. Ricorda il padre: «Ci siamo sentiti l’ultima volta due sere fa, al telefono. Francesca ci raccontava che Mario non riusciva a gestire la separazione, che non sapeva affrontare l’idea che il loro rapporto fosse ormai finito. Lui aveva le chiavi di casa e continuava ad andare e venire quando voleva. Nostra figlia cercava di evitare gesti che potessero causarne scatti d’ira, figuratevi che non aveva ancora cambiato la serratura del portoncino d’ingresso». Dal racconto di Alfredo e Graziella riemergono le tessere di un rapporto familiare faticoso: «Con noi Mario non era mai riuscito a legare, anche se abbiamo provato a farlo sentire uno di famiglia. Mille volte nostra figlia ci aveva confidato dei suoi gesti d’ira, degli strattoni, delle camicie strappate per uno scatto di rabbia, delle scenate in pubblico, delle minacce. Per anni lei aveva sperato di riuscire a cambiarlo, a dargli tranquillità. Ma non ci è riuscita».
Da qui la decisione, sofferta ma convinta, della separazione. Ormai da molti mesi Mario viveva fuori casa, anche se spesso tornava nell’appartamento di via Raffaello.
E così, da qualche tempo Francesca sembrava aver riacquistato una nuova speranza. Ricorda la mamma: «Mi aveva raccontato di aver trovato persone che la stavano aiutando. Di un volontario impegnato nel sociale che l’aveva accompagnata ad un consultorio dove un avvocato le stava fornendo dei pareri legali sulla separazione. Sembrava che nella sua vita potesse tornare un filo di luce. Ma non è stato così».
Alfredo e Graziella guardano ai giorni difficili che ora li attendono. «Ora vogliamo stare vicini alle piccoline. Seguiremo gli sviluppi dell’inchiesta fino a che ci sarà possibile portare la nostra Francesca a Reggio per il funerale e la sepoltura. Lunedì poi dovrebbero arrivare a Brescia anche il papà di Chiara, con cui anche dopo la fine del matrimonio c’è sempre stato un legame di rispetto e di collaborazione, e i genitori del povero Domenico. Un bravissimo ragazzo». C’è anche la voglia di incontrare i familiari di Vito Macadino: «Sappiamo che stava aiutando nostra figlia. Così come lei ci raccontava di forti legami che la univano alle colleghe di scuola». Di quella primaria dove già ieri è comparso uno striscione degli alunni delle sue classi.
Alfredo e Graziella Alleruzzo raccontano della loro figlia e della loro nipote strappate alla vita da un odio folle. Lo fanno con un dolore che non tracima in rabbia, con una richiesta di giustizia che non lascia il passo alla voglia di vendetta. E con un orecchio a tre bambine che, nella stanza di là, aspettano di essere abbracciate per provare a chiudere con un sonno profondo una giornata che si era aperta col peggiore degli incubi.
«Francesca aveva paura di lui» (Brescia Oggi – 6 marzo 2012)
Sentito dai carabinieri di Lamarmora un amico bresciano. «Con me si sfogava. Mi raccontava la sua vita». «Una donna spaventata, che subiva pressioni psicologiche. Ma non lo ha mai denunciato»
Un amico fedele, capace di dispensare consigli, rincuorare una persona afflitta e soprattutto ascoltare gli sfoghi. Francesca Alleruzzo si confidava con questo amico conosciuto casualmente un tardo pomeriggio di alcuni mesi fa tramite Facebook. E sulla bacheca di Facebook dell’insegnante di San Polo gli amici sono solo sei. Chiara, Omar, Vito Macadino che è stato ucciso insieme a lei domenica alle 3.40, Amelia, Chiara e Mara. Un numero ristretto di amici dei quali potersi fidare. Non dava quindi amicizia a chiunque, come spesso accade sul social network. Questo amico web, fedele amico di Francesca, è stato a lungo sentito dai carabinieri della Stazione Lamarmora ancora nel tardo pomeriggio di domenica.
Ha raccontato di questa amicizia sincera con Francesca, aggiungendo – questo emerge dallo stretto riserbo degli inquirenti – di non averla mai incontrata. «Non ci siamo mai visti. Abbiamo solo a lungo chattato su Facebook» ha raccontato l’uomo, un bresciano sulla quarantina. A DISPOSIZIONE dei carabinieri che hanno consegnato il materiale alla Procura anche alcuni messaggi di Francesca all’amico nei quali racconta il suo dramma. La separazione dall’uomo che è stato padre delle sue tre bambine, la paura legata alla gelosia. Le minacce non sempre velate. Un rapporto epistolare che non è stato cancellato. Che è rimasto nella memoria del computer del quarantenne bresciano che domenica ha avuto contatto con i carabinieri e con il luogotenente Giampietro Tiberio che comanda la Stazione di Lamarmora. Proprio Tiberio, anche se San Polo non è di sua competenza a livello territoriale, domenica mattina era in via Raffaello ed ha effettuato un sopralluogo nell’appartamento dove sono stati uccisi i due fidanzati, la figlia di Francesca, Chiara Matalone, avuta dal primo matrimonio e Domenico Tortorici partiti dalla Calabria in cerca di lavoro per Brescia e che qui hanno trovato una fine assurda.
AGLI ATTI quanto raccontano oggi le amiche e le conoscenti dell’insegnante e di Vito Macadino che da cinque anni era volontario nella Croce Bianca di Brescia. Nella terza squadra della Croce Bianca anche l’avvocato bresciano Emilia Tosi. «Non entro nel merito della vicenda. Posso dire che Vito era una splendida persona. Lui era nella Terza squadra come volontario da cinque anni. Io da tre. In Croce bianca nascono vere amicizie, che nel tempo si consolidano. Vito più volte mi ha parlato di lui, della sua vita e della sua situazione. Francesca la definiva una donna speciale. Era innamorato». E proprio Vito, «gigante buono della Croce bianca» aveva consigliato a Francesca di rivolgersi all’amica avvocato per sporgere querela per le pressioni psicologiche. Un caso di stalking. Ai primi del mese Francesca si era fatta coraggio e con la figlia Chiara si era recata alla sede della Croce Bianca. «L’ho incontrata. Era spaventata. Ha firmato la separazione consensuale» ricorda il legale. Francesca voleva sentirsi libera. Voleva la sua vita. Ma non ha fatto in tempo a denunciare ai carabinieri o alla polizia le sue paure. i suoi tormenti. Forse sarebbe viva.
“Sono sicura, Mario mi ammazzerà” E Francesca si assicurò sulla vita (Il Giorno – 7 marzo 2012)
La denuncia per stalking non l’aveva mai presentata contro il marito. Ma una precauzione l’aveva comunque presa, Francesca Alleruzzo, prima di venire uccisa. Aveva stipulato un’assicurazione sulla vita. Anche per le piccole. E pur di stare tranquilla avrebbe rinunciato all’assegno di mantenimento di 900 euro che il coniuge le corrispondeva saltuariamente, dopo la separazione consensuale.
Emergono nuovi elementi sul drammatico rapporto di coppia. Mario Albanese aveva il vizio del bere. Tornava a casa ubriaco, alzava la voce, minacciava Francesca, se la prendeva con le bambine strattonandole, trattandole male. E ripeteva: «Tanto io non ho paura di finire in galera, mi darebbero vitto e alloggio».
A San Polo di Brescia, il quartiere della strage, tutti sembravano sapere. I vicini, i parenti delle vittime, gli amici. Persino la colf che prestava servizio in via Raffaello, a casa Albanese-Alleruzzo prima che i coniugi si separassero.
Sono dettagli tutti a carico del camionista di 34 anni che nella notte tra sabato e domenica ha ucciso a colpi di pistola la ex, Francesca Alleruzzo, 44 anni, il suo nuovo amico, Vito Macadino, 56, la figlia 19enne di lei, Chiara Matalone e il fidanzato coetaneo Domenico Tortorici. Un quadruplice delitto premeditato, sono sicuri carabinieri, polizia e il pm Antonio Chiappani. Una premeditazione «aggravata da una forma di gelosia non scevra da lati maniacali», aggiunge il gip, Marco Cucchetto, che ieri ha convalidato l’arresto con una ordinanza di quattro pagine.
Contro di lui anche le dichiarazioni delle figlie Silvia, Arianna e Micaela, di 10, 7 e 5 anni. Le due più grandi lo hanno visto salire in casa e uccidere la sorellastra Chiara e il fidanzato. E ancora: c’è una mannaia ritrovata sotto l’auto di Francesca. La colf l’avrebbe vista più volte nella casa di San Polo, proprio sotto il letto di Albanese, che se ne serviva per spaccare la legna. E poi numerose testimonianze incrociate di congiunti della donna, a loro dire terrorizzata dall’ex irascibile persecutore («Il giorno in cui mi alza le mani mi uccide»). Da qui la stipula dell’assicurazione.
Dal carcere dove è recluso, intanto, il killer si dice disperato per le sue tre bimbe. Al suo avvocato ha chiesto un cambio di abiti e una Bibbia. «Forse renderà interrogatorio, ma prima vorrei sottoporlo e consulenza psichiatrica», dice il legale Alberto Scapaticci.
Ieri è stato anche il giorno del dolore di parenti e amici che hanno affollato l’obitorio del Civile. A piangere i due fidanzatini, i congiunti dalla Calabria. Le salme hanno raggiunto in mattinata l’aeroporto di Linate, direzione Lamezia Terme. I funerali si svolgeranno oggi a Reggio. L’addio a Francesca (i parenti non hanno acconsentito all’allestimento della camera ardente) e a Vito, invece, si terrà venerdì in due parrocchie diverse.