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Federica Giacomini, 42 anni, attrice porno. Uccisa a martellate in testa, incellophanata, chiusa in un baule artigianale e gettata nel lago dal convivente

San Pietro in Cariano (Verona), 20 Gennaio 2014

Conosciuta nell’ambiente del porno come Ginevra Hollander, era costretta a prostituirsi per pagare i debiti di lui, che la perseguitava

 

Franco Mossoni, 58 anni, pregiudicato per omicidio. Un affascinante sciupafemmine, lei lo manteneva ma lo trattava male.


Titoli & Articoli

Vicenza Today
Pornostar uccisa, Franco Mossoni: “Sono stato io, Federica Giacomini mi trattava male”

Davanti al giudice per le indagini preliminari di Verona, Franco Mossoni ha confessato di aver ucciso Federica Giacomini, l’ex pornostar conosciuta con il nome d’arte di Ginevra Hollander con cui conviveva a Vicenza. Come riportato nella versione cartacea de Il Giornale di Vicenza, in tribunale  l’uomo ha ammesso l’omicidio, avvenuto dopo un litigio.
Durante il racconto di quella notte, interrogato dagli avvocati della famiglia della vittima, Mossoni ha poi confessato anche l’occultamento di cadavere. Il corpo di Federica Giacomini venne infilato all’interno di una scatola metallica e gettato nel punto più profondo del lago di Garda. Mossoni ha, però, raccontato che la scelta del punto in cui inabissare il cadavere fu casuale.  Nonostante lo stato mentale dell’imputato, che alterna momenti di lucidità ad altri di grande confusione mentale, il prossimo 9 settembre avrà luogo il processo secondo il rito abbreviato, come richiesto dagli avvocati di Mossoni.

Brescia Today
Omicidio Giacomini: costretta a prostituirsi per pagare i debiti

Come un’ossessione. Quotidiana, che non le lasciava respiro. Perseguitata, controllata a vista da un uomo forse violento, ora accusato di omicidio. Indagini ancora in corso, e la tragedia di Federica Giacomini che si arricchisce di nuovi e inquietanti particolari. Grazie anche all’autopsia, che ha stabilito che il decesso è sopravvenuto a causa di colpi sferrati alla testa, che le hanno lasciato il cranio fracassato. La mano destra della donna, inoltre, è stata trovata priva di una falange del dito anulare. Poi hanno parlato i genitori: l’accusato numero uno, Franco Mossoni, la perseguitava, le “stava addosso” come uno stalker professionista. Ecco il motivo del ‘raptus’ in quell’ospedale, a metà febbraio, ecco forse un tassello in più, in quel maledetto e probabile movente.
Poi la testimonianza di un’amica di Federica. Una donna che agli inquirenti ha raccontato di come Mossoni la obbligasse a prostituirsi, per pagare i debiti che aveva contratto con lui. Terrorizzata da quell’uomo di cui nessuno poteva capire le intenzioni, e che già negli anni ’70 aveva caricato una pistola, per uccidere un presunto rivale d’amore.

Il Gazzetino
Il delitto della sexy star: “Piano studiato, altro che tempesta emotiva”

Può una «tempesta emotiva e passionale» giustificare una consistente riduzione di pena per l’autore di un femminicidio? Dipende: in un caso avvenuto a Riccione, sì; per una vicenda accaduta sul Garda, no. A dirlo sono due sentenze, depositate in questi giorni e dall’esito opposto, per cui il responsabile dell’assassinio in Romagna ha ottenuto quasi il dimezzamento della condanna, mentre il killer di un’ex pornostar padovana se l’è vista confermare per intero. A far discutere ieri è stata la notizia riguardante il 57enne Michele Castaldo, reo confesso del delitto di Olga Matei, la 46enne di origine moldava con cui aveva una relazione da un mese e che strangolò il 5 ottobre 2016 a Riccione. In primo grado l’imputato era stato condannato a 30 anni dal giudice per l’udienza preliminare di Rimini, per omicidio aggravato dai motivi abietti e futili. Ma la Corte d’assise d’appello di Bologna, pur riconoscendo l’aggravante, ha concesso le attenuanti generiche e ridotto la pena a 16 anni. Nelle  motivazioni del verdetto viene spiegato che la decisione deriva in primo luogo dalla valutazione positiva della confessione. Ma non solo: sebbene la gelosia provata dall’uomo fosse un sentimento «certamente immotivato e inidoneo a inficiare la sua capacità di autodeterminazione», il tormento determinò in lui, «a causa delle sue poco felici esperienze di vita», quella che il perito psichiatrico definì una «soverchiante tempesta emotiva e passionale», che «si manifestò subito dopo anche col teatrale tentativo di suicidio». Contrapposte le valutazioni delle parti. «I termini per il ricorso in Cassazione da parte della Procura ci sono», dice l’avvocato Lara Cecchini, difensore della sorella della vittima, Nina, che parla di «ingiustizia». «Quelle parole vanno intese in senso ampio e leggendo le perizie dei professionisti che si sono occupati del caso», ribatte l’avvocato Monica Castiglioni, difensore di Castaldo, ammettendo tuttavia che le espressioni usate sono «forse un po’ infelici»
Peraltro si tratta di parole del tutto analoghe a quelle citate nel pronunciamento con cui la Cassazione ha invece respinto il ricorso del 60enne Franco Mossoni, condannato a 20 anni sia dal gup di Verona che dalla Corte d’assise d’appello per l’assassinio della 43enne Federica Giacomini, in arte Ginevra Hollander, le cui spoglie riposano a Vigonza, dove vive la sua famiglia. Secondo la sentenza ormai definitiva, l’ex attrice a luci rosse venne ammazzata intorno al 20 gennaio 2014, ma la data non è certa in quanto i suoi genitori ne denunciarono la scomparsa il 5 marzo e solo il 18 giugno il suo corpo venne rinvenuto sul fondale del lago di Garda. Il cadavere, che presentava il cranio fracassato da numerosi colpi, fu ritrovato all’interno di una specie di bara, che Mossoni aveva inabissato dopo aver preso a noleggio una barca fingendosi un biologo interessato ad effettuare alcuni esperimenti scientifici, mediante una presunta sonda contenuta proprio in quella cassa. «Il delitto ricorda la Suprema Corte era stato causato dalla decisione della donna di lasciare l’imputato, con il quale conviveva da circa nove anni, determinazione che avrebbe fatto perdere al Mossoni ogni legame affettivo e la possibilità del mantenimento economico». Agli ermellini, la difesa aveva chiesto di riconsiderare la gravità del reato, sottolineando che «il perito inizialmente nominato aveva ritenuto che il fatto fosse frutto d’un agito mosso da una tempesta emotivo-passionale». Ma la Cassazione ha reputato corretta la valutazione operata dai giudici dei primi due gradi, secondo cui il femminicidio è legato «ad un contesto d’azione caratterizzato da lucidità, adeguatezza e consequenzialità e non all’impulso orientato e stimolato dal puro impeto incontrollabile». Si legge ancora nelle motivazioni: «Anche i riferimenti al concetto di tempesta emotiva non valgono a incrinare il ragionamento svolto e la decisione assunta», quella cioè di inquadrare il delitto come effetto di un dolo di proposito e non di un dolo d’impeto, dunque riconducibile «a un piano studiato e non ad una iniziativa estemporanea frutto di una psiche solo malata».
LE POLEMICHE. Inevitabili le polemiche politiche. Un’indignazione trasversale, che va dalla ministra salviniana Giulia Bongiorno («Non ho nessuna nostalgia del delitto d’onore») all’assessore emiliana dem Emma Petitti («La gelosia non può essere una attenuante»), passando per la senatrice azzurra Licia Ronzulli («Come fanno le donne a fidarsi delle istituzioni?»).

Corriere del Veneto
Gli sms, la barca, le bugie: Mossoni, il killer dai mille volti

Il corpo di Federica Giacomini trasportato in auto come in un film di Quentin Tarantino
VICENZA – «Attenzione a non sottovalutarlo» avverte serio uno dei poliziotti che per mesi hanno lavorato al giallo della scomparsa di Federica Giacomini. Perchè il principale indiziato, il bresciano Franco Mossoni, sarà pure un pazzo furioso, uno che faceva furtarelli indossando buffe parrucche e barbe finte, che da giovane andava in giro in divisa presentandosi come il capo dell’Armata della destra internazionale e che in attesa della perizia psichiatrica disposta dal gip di Vicenza può «vantare » vecchi referti medici che gli attribuiscono una personalità bipolare. Ma è anche un uomo lucido e astuto, perfino affascinante – lo descrivono – uno sciupafemmine brillante e simpatico. Tutto porta a pensare che sia stato lui a uccidere Federica, 43 anni, la sua fidanzata che di lavoro faceva la pornostar col nome d’arte di Ginevra Hollander e che era sparita nel nulla all’inizio dell’anno.
Martedì è stata ritrovata dalla squadra mobile di Vicenza dentro a una strana bara di plastica adagiata sul fondale limaccioso del lago di Garda. Non ci fosse un cadavere steso sul lettino dell’istituto di medicina legale di Padova, potrebbe essere un film di Quentin Tarantino. Una storia in stile «Grindhouse», il documentario ispirato dal leggendario serial killer Ted Bundy, che tolse il sedile del passeggero del suo Maggiolone per caricare più comodamente le sue vittime. Anche Mossoni aveva fatto lo stesso, sradicando il posto del passeggero dalla sua Fiat Punto: lo vedevano guidare con accanto una sedia sdraio e nessuno poteva immaginare che quello era stato forse l’unico modo che aveva escogitato per caricare in macchina la «bara» lunga quasi due metri. I due vivevano da qualche mese in un appartamento di Vicenza ma la donna potrebbe essere stata uccisa intorno alla metà di gennaio mentre stava trascorrendo qualche giorno nella sua seconda casa, a Pescantina. Non ci sono tracce di sangue nell’abitazione, e questo fa pensare che sia stata ammazzata in qualche zona isolata, probabilmente con dei colpi alla testa. Il movente non è chiaro. Di certo Federica voleva lasciare quel partner instabile e violento, che in diverse occasioni aveva alzato le mani. E forse quando lei gli ha detto che era tutto finito, l’uomo si è scatenato. In fondo quello era «Mossoni il pazzo», che agiva d’impulso, come una furia.
Subito dopo, però, potrebbe essere entrata in scena un’altra delle sue personalità, quella di «Mossoni il furbetto», a tratti perfino geniale nel pianificare i crimini. Avrebbe costruito una cassa di plastica azzurra con un’intelaiatura di legno e metallo dalla quale spuntavano delle finte antenne, dei pulsanti e una «griglia» sul lato. Più che una bara, visto che all’interno ci avrebbe poi sistemato il cadavere, doveva somigliare a un misterioso macchinario scientifico, uno di quegli apparecchi che i tecnici utilizzano per i loro studi. Fingendosi un biologo, l’assassino si sarebbe fatto aiutare da un barcaiolo per sbarazzarsi del cadavere Gli sms, la bara e le bugie di Mossoni Il folle piano del killer dai mille volti Il corpo di Federica portato in auto, come in un film di Quentin Tarantino do di essere lei. Terminata la costruzione della cassa si sarebbe presentato a Castelletto di Brenzone, nel Veronese, probabilmente trasportando la bara in auto, al posto del sedile del passeggero. In paese diceva di essere un biologo e chiedeva che lo accompagnassero in barca fino al punto più profondo del lago. Noleggiato un piccolo motoscafo, si era fatto portare a qualche centinaio di metri dalla riva e lì aveva gettato la cassa con all’interno il corpo della fidanzata. «È un esperimento» aveva spiegato al marinaio, e lui ci aveva creduto per via di quell’insieme di antenne e pulsanti. Se è vero che è stato lui ad ammazzare la pornostar – al momento è indagato per omicidio volontario ma presto potrebbe scattare una misura più restrittiva – Mossoni ha calcolato tutto. Secondo gli investigatori, nei giorni successivi avrebbe continuato a farsi vedere a Castelletto, forse per verificare che la cassa rimanesse ben adagiata sul fondo.
C’è chi racconta che si sarebbe perfino camuffato con parrucca e una barba posticcia. Il film dell’orrore, sarebbe anche potuto finire così: un cadavere in fondo al lago e un killer che nessuno avrebbe mai scoperto. E invece pochi giorni dopo, il 15 febbraio, era tornato «Mossoni il pazzo» che, travestito da Rambo, aveva fatto irruzione all’ospedale di Vicenza minacciando una guardia con una pistola giocattolo. Dopo averlo fermato e portato in una struttura per malati di mente, la squadra mobile aveva scoperto che a pagargli l’affitto era una certa Federica Giacomini, di cui però non c’era traccia. «Ci siamo lasciati, non so che fine abbia fatto», si era giustificato lui. A incastrarlo sono state le chiamate fatte a Brenzone, riportate nei tabulati telefonici. Di fronte alle domande dei poliziotti, il noleggiatore della barca s’era ricordato di quel biologo accompagnato al largo a fine gennaio e della strana cassa gettata in acqua. Per giorni, con l’aiuto dei Volontari del Garda specializzati nel recupero di reperti sommersi, i sonar hanno scandagliato il fondale alla ricerca di qualunque oggetto, trovando perfino una scatoletta di tonno finita laggiù chissà quando. Il «macchinario» gettato dal misterioso scienziato era ancora lì, a cento metri di profondità. Recuperata la cassa con i poveri resti di Federica Giacomini, resta da chiarire se davvero sia stata tutta opera di Franco Mossoni oppure (ma è poco probabile) se abbia avuto un complice. Il finale di questa storia che pare un film pulp, in fondo, è ancora da scrivere.

Omicidio dell’ex pornostar Federica Giacomini, il compagno condannato in via definitiva a 30 anni

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