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Franco Mossoni, 58 anni, pregiudicato. Uccide la convivente a martellate, la avvolge nel cellophane, chiude il corpo in una cassa artigianale che sembra un macchinario scientifico e lo inabissa nel lago. Condannato a 30 anni in via definitiva

San Pietro in Cariano (Verona), 20 Gennaio 2014

Attenzione a non sottovalutarlo


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Corriere del Veneto
Gli sms, la barca, le bugie: Mossoni, il killer dai mille volti

Il corpo di Federica Giacomini trasportato in auto come in un film di Quentin Tarantino
VICENZA – «Attenzione a non sottovalutarlo» avverte serio uno dei poliziotti che per mesi hanno lavorato al giallo della scomparsa di Federica Giacomini. Perchè il principale indiziato, il bresciano Franco Mossoni, sarà pure un pazzo furioso, uno che faceva furtarelli indossando buffe parrucche e barbe finte, che da giovane andava in giro in divisa presentandosi come il capo dell’Armata della destra internazionale e che in attesa della perizia psichiatrica disposta dal gip di Vicenza può «vantare » vecchi referti medici che gli attribuiscono una personalità bipolare. Ma è anche un uomo lucido e astuto, perfino affascinante – lo descrivono – uno sciupafemmine brillante e simpatico. Tutto porta a pensare che sia stato lui a uccidere Federica, 43 anni, la sua fidanzata che di lavoro faceva la pornostar col nome d’arte di Ginevra Hollander e che era sparita nel nulla all’inizio dell’anno.
Martedì è stata ritrovata dalla squadra mobile di Vicenza dentro a una strana bara di plastica adagiata sul fondale limaccioso del lago di Garda. Non ci fosse un cadavere steso sul lettino dell’istituto di medicina legale di Padova, potrebbe essere un film di Quentin Tarantino. Una storia in stile «Grindhouse», il documentario ispirato dal leggendario serial killer Ted Bundy, che tolse il sedile del passeggero del suo Maggiolone per caricare più comodamente le sue vittime. Anche Mossoni aveva fatto lo stesso, sradicando il posto del passeggero dalla sua Fiat Punto: lo vedevano guidare con accanto una sedia sdraio e nessuno poteva immaginare che quello era stato forse l’unico modo che aveva escogitato per caricare in macchina la «bara» lunga quasi due metri. I due vivevano da qualche mese in un appartamento di Vicenza ma la donna potrebbe essere stata uccisa intorno alla metà di gennaio mentre stava trascorrendo qualche giorno nella sua seconda casa, a Pescantina. Non ci sono tracce di sangue nell’abitazione, e questo fa pensare che sia stata ammazzata in qualche zona isolata, probabilmente con dei colpi alla testa. Il movente non è chiaro. Di certo Federica voleva lasciare quel partner instabile e violento, che in diverse occasioni aveva alzato le mani. E forse quando lei gli ha detto che era tutto finito, l’uomo si è scatenato. In fondo quello era «Mossoni il pazzo», che agiva d’impulso, come una furia.
Subito dopo, però, potrebbe essere entrata in scena un’altra delle sue personalità, quella di «Mossoni il furbetto», a tratti perfino geniale nel pianificare i crimini. Avrebbe costruito una cassa di plastica azzurra con un’intelaiatura di legno e metallo dalla quale spuntavano delle finte antenne, dei pulsanti e una «griglia» sul lato. Più che una bara, visto che all’interno ci avrebbe poi sistemato il cadavere, doveva somigliare a un misterioso macchinario scientifico, uno di quegli apparecchi che i tecnici utilizzano per i loro studi. Fingendosi un biologo, l’assassino si sarebbe fatto aiutare da un barcaiolo per sbarazzarsi del cadavere Gli sms, la bara e le bugie di Mossoni Il folle piano del killer dai mille volti Il corpo di Federica portato in auto, come in un film di Quentin Tarantino do di essere lei. Terminata la costruzione della cassa si sarebbe presentato a Castelletto di Brenzone, nel Veronese, probabilmente trasportando la bara in auto, al posto del sedile del passeggero. In paese diceva di essere un biologo e chiedeva che lo accompagnassero in barca fino al punto più profondo del lago. Noleggiato un piccolo motoscafo, si era fatto portare a qualche centinaio di metri dalla riva e lì aveva gettato la cassa con all’interno il corpo della fidanzata. «È un esperimento» aveva spiegato al marinaio, e lui ci aveva creduto per via di quell’insieme di antenne e pulsanti. Se è vero che è stato lui ad ammazzare la pornostar – al momento è indagato per omicidio volontario ma presto potrebbe scattare una misura più restrittiva – Mossoni ha calcolato tutto. Secondo gli investigatori, nei giorni successivi avrebbe continuato a farsi vedere a Castelletto, forse per verificare che la cassa rimanesse ben adagiata sul fondo.
C’è chi racconta che si sarebbe perfino camuffato con parrucca e una barba posticcia. Il film dell’orrore, sarebbe anche potuto finire così: un cadavere in fondo al lago e un killer che nessuno avrebbe mai scoperto. E invece pochi giorni dopo, il 15 febbraio, era tornato «Mossoni il pazzo» che, travestito da Rambo, aveva fatto irruzione all’ospedale di Vicenza minacciando una guardia con una pistola giocattolo. Dopo averlo fermato e portato in una struttura per malati di mente, la squadra mobile aveva scoperto che a pagargli l’affitto era una certa Federica Giacomini, di cui però non c’era traccia. «Ci siamo lasciati, non so che fine abbia fatto», si era giustificato lui. A incastrarlo sono state le chiamate fatte a Brenzone, riportate nei tabulati telefonici. Di fronte alle domande dei poliziotti, il noleggiatore della barca s’era ricordato di quel biologo accompagnato al largo a fine gennaio e della strana cassa gettata in acqua. Per giorni, con l’aiuto dei Volontari del Garda specializzati nel recupero di reperti sommersi, i sonar hanno scandagliato il fondale alla ricerca di qualunque oggetto, trovando perfino una scatoletta di tonno finita laggiù chissà quando. Il «macchinario» gettato dal misterioso scienziato era ancora lì, a cento metri di profondità. Recuperata la cassa con i poveri resti di Federica Giacomini, resta da chiarire se davvero sia stata tutta opera di Franco Mossoni oppure (ma è poco probabile) se abbia avuto un complice. Il finale di questa storia che pare un film pulp, in fondo, è ancora da scrivere.


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