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Elisea Marcon e Cristina De Carli, mamma e figlia. Massacrate nel chiosco sulla spiaggia che gestivano. Dopo 22 anni si scopre che l’assassino è un serial killer che ha poi decapitato anche la ex moglie

Rosolina Mare (Rovigo), 29 Giugno 1998


Titoli & Articoli

Corriere della Sera – 30 giugno 1998

 

Elisea e Cristina, massacro risolto L’assassino è morto in carcere a Forlì (il Mattino di Padova – 3 luglio 2020)
Il Dna di Gaetano Tripodi sui vestiti che madre e figlia, trevigiane di Paese, indossavano il giorno della mattanza 22 anni fa
Arriva da Roma la clamorosa svolta per l’omicidio di Elisea Marcon e la figlia adottiva Cristina De Carli. Il Dna di Gaetano Tripodi, morto nei giorni scorsi in carcere a Forlì dov’era condannato all’ergastolo per la decapitazione della moglie avvenuto nel 2006, è il medesimo trovato su vestiti di madre e figlia, di Paese, ammazzate nel giugno 1998 a Rosolina Mare. Un cold case rimasto irrisolto per anni, che a marzo dell’anno scorso era arrivato ad un apparente epilogo – il caso fu infatti riaperto dalla procura di Rovigo, con una serie di indagini dei Ris di Parma – ed oggi, ancor di più, trova un ulteriore sviluppo. Forse quello definitivo.
Il duplice omicidio, avvenuto nel chiosco sulla spiaggia “Ai casoni” di Rosolina Mare, gestito da madre e figlia, colpì l’opinione pubblica per la sua efferatezza. Entrambe le donne, infatti, furono uccise a colpi di sprangate, perlopiù in testa. La madre, Elisea Marcon, 59 anni, morì sul colpo il 29 giugno. Fu trovata con il cranio massacrato. La figlia Cristina De Carli, 23 anni, venne invece trovata agonizzante e rimase in fin di vita per alcuni giorni, morendo successivamente in ospedale. Nelle cronache dell’epoca si parlò di una rapina finita male, visto che alle donne venne sottratto l’incasso della giornata (circa 600 mila lire, poco più di 300 euro, oltre all’automobile, poi ritrovata nel Veneziano). Ma soprattutto si disse che a compiere l’omicidio fosse stato un solo individuo. Sulla vicenda si susseguirono una serie di indagini, i sospettati furono molti.
Tuttavia non si arrivò mai a una soluzione definitiva. Poi, a marzo del 2019, il primo cambiamento radicale. Maria Giulia Rizzo, sostituto procuratore a Rovigo, riporta le indagini “a ruolo generale”, iscrivendo nel registro degli indagati due cittadini della Repubblica Ceca, Karel Reznicek, all’epoca dei fatti 23enne, e David Moucha, tre anni più vecchio. Entrambi furono accusati del reato di omicidio, aggravato dai futili motivi, e di rapina. Il loro ruolo, nell’omicidio delle due donne, è ora in discussione. Ma non è comunque escluso il loro coinvolgimento nell’efferato duplice omicidio, che già – in prima battuta – aveva posto le attenzioni su un cittadino della Repubblica Ceca che aveva già avuto a che fare con le due donne.
Da Roma, però, è arrivata nei giorni scorsi la notizia, comunicata anche ai legali della famiglia Marcon. Il Dna di Gaetano Tripodi, camionista mancato alcuni giorni fa, all’ergastolo per aver ucciso nel 2006 la moglie Patrizia Silvestri a Tor Bella Monaca, è lo stesso trovato sui vestiti di madre e figlia di Paese. La sua morte, come ormai prassi dal 2016, ha dato infatti il “la” all’automatico inserimento del Dna nella banca dati della Direzione generale della Polizia criminale, che – immediatamente – ha evidenziato come i reperti genetici dell’uomo fossero comparabili agli stessi trovati sui vestiti delle due trevigiane. Tripodi, nel 2006, fu ritenuto il responsabile dell’uccisione della moglie nel quartiere romano di Tor Bella Monaca. L’uomo sgozzò e decapitò la donna, abbandonando il cadavere sulla Casilina, nei pressi di un’area di servizio. Fu incastrato grazie all’isolamento del Dna presente in alcuni mozziconi di sigaretta, trovati nei pressi del luogo del delitto. Quindi la condanna all’ergastolo.
Se all’epoca dei fatti le attenzioni delle autorità si concentrarono su una possibile pista legata a questioni di denaro, oggi il movente appare differente. Non è escluso, infatti, che Tripodi fosse vicino alla malavita organizzata, in particolare in contatto con la Mala del Brenta, che all’epoca aveva parecchi interessi nella costa veneta. Il chiosco di Elisea Marcon, insomma, pare potesse essere stato preso di mira dalla malavita. I Ris di Parma, intanto, il prossimo 8 luglio, effettueranno un ulteriore accertamento sui reperti dell’epoca. In particolare sui vestiti di Elisea e Cristina. Da questi approfondimenti potrebbe arrivare l’ulteriore conferma che incastrerebbe Tripodi.
«C’è soddisfazione per il fatto che la giustizia, in questi anni, abbia continuato a lavorare: per la famiglia si tratta di una ferita rimasta aperta, che difficilmente potrà rimarginarsi, un fatto drammatico che lascia tuttora i propri strascichi, ma ora – almeno – si vede una luce in fondo al tunnel», dice Martino De Marchi, legale della famiglia di Elisea, i cui parenti risiedono tra Paese e Quinto, «Quella che arriva da Roma è una svolta non di poco conto. Confidiamo che le indagini continuino in maniera serrata fino a chiarire tutto».

 


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