Il 18 agosto 2006 veniva uccisa a Brescia la 23enne Elena Lonati, trovata senza vita sulla scala che porta a un vecchio pulpito della piccola chiesa di san Gaudenzio, nel quartiere cittadino di Mompiano. Per l’omicidio è stato condannato a diciotto anni e quattro mesi il giovane sagrestano cingalese Wimal Chamila Ponnamperumage, conosciuto come Camillo e coetaneo della vittima.
L’assassino di Elena Lonati presto in semilibertà. Oggi l’uomo ha 32 anni, è detenuto nel carcere di Brescia e dal prossimo anno potrà godere della semilibertà.
«Per me quella persona non esiste, non posso perdonarlo», ha detto, a distanza di dieci anni, Aldo, il padre di Elena Lonati. «Vivo in Italia e rispetto le sentenze anche se per chi ha ucciso mia figlia la giustizia è stata troppo clemente», ha aggiunto il padre di Elena Lonati. Il sagrestano ha sempre detto di aver spinto la ragazza, di averla fatta cadere e, convinto fosse morta, si sarebbe fatto prendere dal panico e avrebbe così nascosto il corpo. La ragazza sarebbe morta successivamente per soffocamento.
Elena Lonati era scomparsa: il suo cadavere, legato e infilato in sacchi di plastica, fu trovato nascosto all’interno del campanile della chiesa, periferia verde di Brescia. Il cingalese, custode della chiesa, a delitto avvenuto e prima di darsi alla fuga, avrebbe parlato allo zio di un “incidente”. Una versione che non convinse gli inquirenti perché sul collo della vittima c’erano segni di strangolamento. Secondo le indagini, la ragazza era stata chiusa nei sacchi ancora viva e avrebbe sofferto prima di morire.
Elena Lonati, 11 anni dopo la morte: “Brescia non deve dimenticarla”
Elena fu uccisa il 18 agosto del 2006 nella chiesa di S.Maria a Mompiano, il custode è stato condannato e
ora è in semilibertà. Il delitto ha lasciato aperti più interrogativi
Era il 18 agosto 2006, un caldo venerdì a Mompiano. Elena Lonati, 24 anni, esce di casa poco dopo le 11 del mattino diretta nella chiesa di S. Maria e scompare nel nulla. Elena, non è mai uscita dalla Chiesa. Il giallo viene risolto sabato notte: il corpo viene trovato nel campanile. Sotto accusa il custode Wimal Chamila Ponnamperumage. L’uomo, cingalese, racconta di aver avuto una discussione con la ragazza e di aver perso la testa fino a strangolarla.
Il delitto ha lasciato aperto più di un interrogativo, soprattutto per i genitori. Il colpevole è stato condannato a 18 anni e 4 mesi. Ora è in semilibertà.
Non è facile mai. Un giorno come undici anni dopo. Sembra ieri, quando alle 11.20 uscì di casa e disse alla mamma: «Faccio presto, oggi ho un po’ di mal di testa». Tre euro in tasca, le tappe di routine: in edicola a comprare il giornale, sotto braccio la borsa con il cambio della biancheria da portare alla nonna ospite nella casa di riposo delle Ancelle della carità. «E già che ci sei accendi una candela in Santa Maria vah, che oggi è Sant’Elena!» le suggerisce mamma Milena (all’anagrafe Maria Maddalena, ma così da sempre la chiamano tutti). A casa non tornerà più, Elena Lonati. La troveranno soltanto due giorni dopo, senza vita, in quella chiesa dove è stata uccisa il 18 agosto del 2006.
«Cosa vuole, ogni anno, quando si avvicina l’anniversario è sempre durissima. Difficile. Il dolore si rinnova, cerchiamo di affrontarlo, teniamo duro e andiamo avanti». La voce di papà Aldo è ferma, emozionata. Lo specchio di una dignità composta e coraggiosa che da sempre contraddistingue questa famiglia (c’è anche Francesco, il fratello maggiore di Elena): devota al prossimo con la mano tesa verso i meno fortunati che, nel tempo, di loro hanno avuto bisogno. Sempre. Undici anni. Nel ricordo lacerante e silenzioso che a volte sentirebbe il bisogno di uscire dalla porta di quella villetta di Mompiano dove Elena abitava. Affinché nessuno si arroghi il diritto di dimenticarla. Risoluta e riservata, in tasca un diploma da operatore sociale, 24 anni appena compiuti, una passione sfrenata per i cavalli, Elena sognava di lavorare con i bambini. Magari in un asilo.
Lo ammettiamo, leggere il suo nome inciso su una targa fuori da una scuola (magari d’infanzia, perché no), all’angolo di una strada, o di chissà quale altra «struttura» pensata «per la città» ci piacerebbe molto. Farebbe bene alle nostre coscienze, forse. Per ora, non è ancora successo: «Quello che è capitato a nostra figlia, e soprattutto il posto in cui è accaduto, una chiesa, ha destato molto disagio e a tratti poca comprensione, mi creda. E anche noi proprio non lo riusciamo a capire come si possa morire così, a 24 anni…» dice il signor Aldo. Che ci ricorda, a onor del vero, anche tutti gli sforzi, e l’impegno da parte delle istituzioni, a partire dalla Loggia, per ricordare Elena nel miglior modo possibile: se ne interessò l’allora sindaco Paolo Corsini («eravamo troppo freschi») e dopo di lui Emilio Del Bono, l’associazione «Il sorriso dei bimbi» di cui papà Aldo è fra i fondatori, la Pro Loco. Ma si è innescato un meccanismo che rischiava di diventare un boomerang, quasi come se – involontariamente – si arrivasse a strumentalizzarne la memoria.
E allora si riparte da qui. Adesso. Da una mail che i genitori hanno inviato all’indirizzo del sindaco proprio di recente. Per capire come fare, a ricordarla come merita. «Per non dimenticare», dice mamma Milena. Giusto citando la scritta che, per qualche anno, gli amici di sempre ogni 18 agosto hanno tratteggiato con le bombolette spray sul sagrato di quella chiesa. Perché sia chiaro, «se si deciderà per un’intitolazione a nostra figlia, non devono farlo per noi. Ma per lei. Giovane donna cittadina del presente a cui è stato negato un futuro». Già, anche lei era il futuro di questa città. «Mia figlia è sempre con me, tutti i giorni. Ma lei? Facciamolo per lei».
Il signor Aldo parla con il cuore in mano: «Non lo so se un gesto simile mi darebbe conforto, sinceramente in questo momento non sono in grado di assicurarglielo. È qualcosa di inimmaginabile capisce? Ma perché no, in fondo». Vero, «in tantissimi ci sono stati vicini, gli amici di Elena e non solo», ma è altrettanto vero che «pur rispettando la legge, e la giustizia degli uomini, a volte ci risulta poco comprensibile». Il responsabile dell’omicidio, oggi, è in semilibertà. È arrivato il momento che la città si rimbocchi le maniche. Facciamolo.