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Daniela Sabotig, 54 anni, farmacista. Uccisa a bastonate dal falso fidanzato che simula un incidente stradale

Valle di Ledro (Udine), 4 Febbraio 2013

Lei sperava di cominciare con lui una nuova vita, ma era all’oscuro che lui avesse una moglie.

Ivan Zucchelli, 47 anni, albergatore, sposato. Simula un incidente, ma fa lavare alla moglie i vestiti con sangue e pezzi di cervello. Condannato a 30 anni di reclusione confermati dalla Cassazione, muore di malattia sette anni dopo il delitto.

 


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Messaggero Veneto

Daniela uccisa a bastonate: «Lui è un gelido calcolatore»

Pubblicate le motivazioni della sentenza che condanna a 30 anni Zucchelli. La farmacista di Montenars morì nel 2013, all’inizio si pensò a un incidente

MONTENARS. Uccisa a bastonate. È l’ipotesi, rispetto alla morte di Daniela Sabotig, formulata dai giudici nelle motivazioni della sentenza della Corte d’assise d’appello di Trento che ha confermato la condanna a trent’anni di reclusione per omicidio premeditato a carico dell’imprenditore rivano Ivan Zucchelli. L’interpretazione dei giudici (le motivazioni sono firmate dall’estensore Daniela Genalizzi e dal presidente Carmine Pagliuca) nasce da una delle conversazioni, definita “inquietante”, intercettate durante l’indagine.
Era il 9 febbraio del 2013 (cinque giorni dopo la morte della farmacista di Montenars) e Zucchelli stava parlando con la moglie: «Secondo me sui tuoi pantaloni c’era non solo sangue ma anche un pezzo di cervello, quel pezzo che ho lavato io», dice la donna ad Ivan. Il quale risponde così: «Che ne so, magari è un pezzo di pelle, chi è che lo sa». Continua la moglie: «Sembrava un grumo». E l’imprenditore ribatte: «…Poteva essere un grumo di sangue, o qualcosa, un pezzo di legno dentro il sangue…».
Proprio queste ultime parole per i giudici sono incongrue rispetto alla ricostruzione della morte di Daniela – ovvero l’incidente stradale – sempre sostenuta da Zucchelli. Da qui l’ipotesi che la donna sia stata uccisa «utilizzando uno strumento verosimilmente ligneo non potendo altrimenti comprendersi – scrive il giudice – il riferimento da parte dell’imputato al pezzo di legno dentro il grumo di sangue rimasto sui suoi pantaloni». C’è da dire, tuttavia, che il luogo dove si sono svolti i fatti è un bosco, dove gli elementi lignei di certo non mancano. Per i giudici è anche certo che Zucchelli sia rimasto volontariamente a bordo dell’auto e l’abbia lui stesso indirizzata nella scarpata scansando gli ostacoli. I giudici invece lasciano un dubbio sul fatto che Daniela sia stata assassinata prima o dopo l’uscita di strada. Sono questi gli elementi più rilevanti emersi nelle motivazioni di una sentenza che ricalca il solco segnato nella sentenza di primo grado. Perno di tutto resta l’interpretazione delle ferite trovate sul corpo della donna, trovata cadavere nella sua Renault Kangoo in fondo ad una scarpata a Pieve di Ledro.
I giudici hanno sposato in toto le perizie dell’accusa che hanno definito i traumi non compatibili con urti avvenuti all’interno dell’auto durante la caduta nella scarpata, mentre la difesa – a colpi di perizie – ha tentato di dimostrare che le ferite potevano essere state provocate soprattutto dal volante, in particolare nell’ultimo “salto” compiuto dalla Kangoo durante la discesa nella scarpata. Se la donna non è morta a causa dell’incidente, non può che essere stata uccisa è la sintesi estrema del pensiero dei giudici, pensiero attorno al quale è stato poi ricostruito tutto il resto, a partire dal movente. I giudici descrivono Ivan Zucchelli, cinquantenne, come un uomo senza scrupoli, che per anni ha sfruttato una donna affettivamente, psicologicamente e fisicamente fragile: divorziata e affetta da una grave patologia degenerativa, Daniela Sabotig si era affidata in tutto e per tutto a Ivan. Al punto da mettere nelle sue mani, con una procura, tutti i suoi beni mobili e immobili. Per l’accusa Zucchelli in pochi anni si sarebbe impossessato di circa 600mila euro, dilapidati in buona parte in borsa. E avrebbe quindi cercato di monetizzare anche la morte della farmacista stipulando due polizze, un progetto che ha messo in atto dopo che l’amica aveva disdetto una disposizione bancaria mensile a suo favore. Nei giorni in cui ha trovato la morte, secondo i giudici Daniela stava cullando il sogno di trasferirsi a Riva, convinta che avrebbe solo dovuto rogitare la casa, acquistata con quei soldi che non c’erano più. Un quadro da “gelido calcolatore” che la difesa ha cercato di smontare, sostenendo che Daniela era consapevole delle perdite in borsa e che con Ivan aveva ancora un ottimo rapporto. La casa acquistata? Per la difesa un sogno tramontato già nel 2012, come dimostrerebbero le date dei compromessi stipulati. Da parte sua la difesa non ha dubbi: «Crediamo sin dal primo giorno nell’innocenza di Ivan Zucchelli. La sentenza della Corte d’assise d’appello? Non ci convince». Poche, ma significative le parole pronunciate dalla difesa – rappresentata dagli avvocati Nicola Stolfi e Paolo Bonora – dopo aver preso visione delle motivazioni della sentenza d’appello, sentenza che ha confermato la condanna a 30 anni per omicidio premeditato. Come già annunciato immediatamente dopo la lettura in aula della sentenza, ci sarà il ricorso per Cassazione, che la difesa deve depositare entro la fine del mese di novembre.

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