Carmela Cirella Frassanito, 13 anni. Rapita, violentata e drogata dal branco. Da vittima diviene imputata e offesa. Rinchiusa in istituto, le vengono somministrati psicofarmaci senza consenso. Si getta dal settimo piano gridando “Io so’ Carmela”
Taranto, 15 Aprile 2007
“Io so’ Carmela”, era la sua frase- amuleto, le parole che si ripeteva davanti allo specchio quando voleva sentirsi viva. Ma quella mattina non ce l’ha fatta: troppa violenza sulle piccole spalle di una bambina di appena 13 anni. Sequestrata da un branco di violentatori, li aveva denunciati ma nessuno le aveva creduto e il giudice l’aveva persino offesa, ritenendola responsabile di quanto le era accaduto. Rinchiusa in un istituto per minori disagiati, è stata imbottita di psicofarmaci senza il consenso dei genitori. Si è gettata dal settimo piano gridando per l’ultima volta “Io so’ Carmela”
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Bambini coraggiosi – Il blog di Roberta Lerici
Carmela, violentata dagli uomini, uccisa dallo Stato: 5 ottobre sit in Ministero Giustizia con il papà di Carmela
DOMANI DALLE ORE 10 e finchè non sarà ricevuto, il papà di Carmela sarà davanti al ministero di Grazia e Giustizia a chiedere giustizia per sua figlia, violentata da un gruppo di uomini, e rinchiusa in una comunità di recupero dove le sono stati somministrati psicofarmaci ad insaputa dei genitori.
Un giorno Carmela è volata giù dalla finestra, forse perché era non era in sé per i farmaci, forse perché la sua sofferenza era troppo grande. Ad oggi, i violentatori di Carmela sono liberi e la comunità che probabilmente ha contribuito alla sua tragedia, non è stata sottoposta a nessun accertamento. Domani, davanti al ministero ci sarò anch’io, e spero che saremo in tanti a far sentire alla famiglia di Carmela la nostra vicinanza.
Il comunicato, e la lettera al ministro Alfano:
Sono il Presidente dell’associazione per la tutela dei diritti dei minori e della famiglia “IoSòCarmela”, ma soprattutto sono il papà di Carmela la ragazzina di 13 anni che nell’aprile del 2007 morì volando dal settimo piano dopo essere stata violentata da un branco di viscidi stupratori, ma soprattutto dopo essere stata uccisa dallo “stato” che invece di rinchiudere i suoi aguzzini ha rinchiuso lei in un istituto imbottenola di psicofarmaci a nostra insaputa.
Oggi a distanza di quasi 3 anni la “giustizia italiana” continua ad ucciderla e ad oltraggiarla lasciando tuttora impuniti i suoi aguzzini.
Invio in allegato il nostro comunicato stampa ufficiale con la nostra richiesta di incontro col ministro, completamente ignorata, con il quale descriviamo la nostra manifestazione di protesta alla quale hanno aderito diversi gruppetti di genitori anche loro vittime della giustizia italiana.
Per qualsiasi ulteriore chiarimento info@iosocarmela.net tel. 3471701292
distinti saluti.
QUESTO E’ IL TESTO DELLA MIA LETTERA INVIATA AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA ON. ANGELINO ALFANO, (OVVIAMENTE IGNORATA TOTALMENTE) CON LA QUALE HO ACCORATAMENTE RICHIESTO UN INCONTRO PER ESPORGLI QUANTO LA GIUSTIZIA ITALIANA E’ DEFICITARIA E A VOLTE ADDIRITTURA DANNOSA SOPRATTUTTO NEI CONFRONTI DELLE VITTIME DI VIOLENZA SESSUALE E DELLE LORO FAMIGLIE CHE TROPPO SPESSO FINISCONO COL SUBIRE LORO DEI VERI E PROPRI PROCESSI MENTRE I LORO AGUZZINI VENGONO GARANTITI E TUTELATI SIA DALLE NOSTRE ATTUALI LEGGI FIN TROPPO GARANTISTE MA SOPRATTUTTO DALLA LENTEZZA DELLA MAGISTRATURA E A VOLTE ANCHE DALLA MALAFEDE E/O INCOMPETENZA (NON SI SPIEGA ALTRIMENTI) DEGLI STESSI MAGISTRATI E INQUIRENTI.
SE POI ANDIAMO AD ANALIZZARE CHE GLI ESPOSTI PRESENTATI DALLE VITTIME FINALIZZATI A FAR EMERGERE LE RESPONSABILITA’ DELLE ISTITUZIONI E/O DI ENTI A LORO CONVENZIONATI, FINISCONO SISTEMATICAMENTE CON LA SNERVANTE E POCO RISPETTOSA TUTELA DEI DIRITTI E DELLA DIGNITA’ UMANA E CIVILE DI CHI SUBISCE I REATI TRADOTTA IN INTERMINABILI INDAGINI CHE IN REALTA’ DOVREBBERO CHIUDERSI ABBASTANZA VELOCEMENTE IN QUANTO DA INDAGARE C’E’ BEN POCO VISTO CHE QUESTA ATTIVITA’ INVESTIGATIVA DOVREBBE SVOLGERSI CON LA SEMPLICE E ATTENTA VALUTAZIONE DI ATTI E DECRETI PUBBLICI.
NEL CORSO DELLA SE PUR BREVE ATTIVITA’ DELLA NOSTRA ASSOCIAZIONE NATA PROPRIO IN VIRTU’ DELLE TRAUMATICHE E DRAMMATICHE ESPERIENZE DELLA NOSTRA FAMIGLIA, CI SIAMO AHINOI RESI CONTO CHE LA NOSTRA VICENDA NON E’ AFFATTO UN’ECCEZIONE MA ADDIRITTURA RAPPRESENTA QUASI L’ITER NORMALE CON CUI LE ISTITUZIONI AFFRONTANO QUESTE TERRIBILI PROBLEMATICHE PREOCCUPANDOSI SOLO ED ESCLUSIVAMENTE DI TUTELARE I DIRITTI DI CHI DELINQUE, DI TUTELARE GLI INTERESSI DI CHI SFRUTTA QUESTE DISGRAZIE PER ARRICCHIRSI SPACCIANDOSI PER BENEFATTORE E CALPESTANDO TOTALMENTE QUELLI DELLE VITTIME INSIEME ALLA LORO DIGNITA’ ED AI LORO SENTIMENTI.
A QUESTO SCOPO OGGI IN OCCASIONE DELL’ENNESIMA “UDIENZA FILTRO” CHE DA QUASI TRE ANNI RIMANDA IN CONTINUAZIONE LA CELEBRAZIONE DI UN SACROSANTO PROCESSO NEI CONFRONTI DI 3 CRIMINALI CHE CON LE LORO DEPRAVAZIONI SESSUALI HANNO CONTRIBUITO AD UCCIDERE UNA BAMBINA DI SOLI 13 ANNI E IN CONCOMITANZA CON LA ORMAI SFIDUCIATA PRESA D’ATTO CHE A TUTTOGGI NULLA E’ STATO FATTO NELLA RICERCA DELLA VERITA’ SULLE RESPONSABILITA’ DI ENTI ED ISTITUZIONI PUBBLICHE COINVOLTE NELLA GESTIONE DEL NOSTRO CASO, HO DECISO DI COMUNICARE A TUTTI GLI ORGANI DI STAMPA CHE DAL PROSSIMO LUNEDI’ 5 OTTOBRE MI RECHERO’ PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA CON L’OBIETTIVO DI OTTENERE QUESTO BENEDETTO INCONTRO COL MINISTRO ON. ANGELINO ALFANO FINALIZZATO ESCLUSIVAMENTE ALL’OTTENIMENTO DELL’INVIO REALE ED IMMEDIATO DI ISPETTORI DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA PER VERIFICARE L’OPERATO DI TUTTI COLORO CHE A VARIO TITOLO SONO STATI COINVOLTI NELLA GESTIONE DEL CASO DI NOSTRA FIGLIA CARMELA E ISTRUISCA IMMEDIATAMENTE DEI GIUSTI E REGOLARI PROCESSI (E FINO A QUANDO TALI PROCESSI NON SARANNO CELEBRATI, CHE VENGANO ADOTTATI DEI PROVVEDIMENTI QUANTOMENO DI TIPO CAUTELARE E AMMINISTRATIVO NEI CONFRONTI DI TUTTI GLI INDAGATI) CHE INDIVIDUINO FINALMENTE TUTTE LE RESPONSABILITA’ E LE CONDANNINO SEVERAMENTE ED ESEMPLARMENTE.
NOSTRA FIGLIA E’ MORTA A SOLI 13 ANNI UCCISA MENTALMENTE E NELLA DIGNITA’ DA VISCIDI ESSERI IMMONDI CHE SOLO PER SODDISFARE I LORO ISTINTI ANIMALESCHI NON SI FANNO SCRUPOLI PER IL MALE CHE PROCURANO, MA SOPRATTUTTO UCCISA ED OLTRAGGIATA DA QUELLO STATO E DA QUELLA GIUSTIZIA A CUI LEI STESSA INSIEME A TUTTA LA SUA FAMIGLIA SI ERA RIVOLTA PER DENUNCIARE ED ESSERE AIUTATA E CHE INVECE L’HA DI FATTO TRADITA, RINCHIUDENDO LEI IN UN ISTITUTO LAGER, IMBOTTENDOLA ARBITRARIAMENTE E ARROGANTEMENTE DI PSICOFARMACI ALL’INSAPUTA DI NOI TUTTI, SPINGENDOLA DI FATTO GIU’ DA QUEL MALEDETTO SETTIMO PIANO!
ORA LA NOSTRA UNICA SACROSANTA E LEGITTIMA RICHIESTA, VISTO L’ESITO DRAMMATICO DEL LORO OPERATO, E’ QUELLA DI PRETENDERE CHE I RESPONSABILI DI TUTTO CIO’ VENGANO COSTRETTI AD ASSUMERSI LE RESPONSABILITA’ DI QUANTO HANNO PROVOCATO, E A TAL FINE DA LUNEDI’ 5 OTTOBRE INIZIERA’ LA MIA PACIFICA PROTESTA CHE TERMINERA’ SOLO ED ESCLUSIVAMENTE CON L’OTTENIMENTO DI QUANTO RICHIESTO, VALUTANDO DI GIORNO IN GIORNO LE MODALITA’ CON CUI PROSEGUIRE LA STESSA, FINO AD ARRIVARE ANCHE A RIVOLGERMI ALLE ISTITUZIONI PER LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CIVILI EUROPEE.
ALLA MIA INIZIATIVA PERSONALE HANNO ASSICURATO IL LORO SOSTEGNO ANCHE TANTISSIMI GENITORI CHE SI SONO TROVATI A VARIO TITOLO A DOVER SUBIRE GLI STESSI TRATTAMENTI DA PARTE DI QUELLE ISTITUZIONI CHE INVECE AVREBBERO MOTIVO DI ESISTERE SOLO PER TUTELARLI ED ASSISTERLI. PRONTI AD UNIRSI ANCHE FISICAMENTE ALLA PROTESTA.
AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
ON. ANGELINO ALFANO
VIA ARENULA 70
00186 – ROMA
Illustrissimo Ministro della Giustizia On. Angelino Alfano,
sono il Presidente dell’Associazione per la tutela dei diritti dei minori e della famiglia “IoSòCarmela”, ma soprattutto il padre di Carmela Cirella una ragazzina di 13 anni che il 15 aprile del 2007 è deceduta volando via da un settimo piano della periferia di Taranto, dopo aver subito violenze sessuali da un branco di viscidi esseri e successivamente dopo aver subito vergognosamente, per uno Stato come la nostra tanto decantata Italia che si vanta di essere civile e rispettosa dei diritti dei cittadini, e dopo aver subito gli abusi le incompetenze e anche la malafede di quelle Istituzioni che sono state coinvolte con l’obiettivo di tutelarla, aiutarla ad affrontare e possibilmente superare i traumi dovuti alle violenze subite e darle ovviamente giustizia.
Le Istituzioni a cui mi riferisco sono i Servizi Sociali del Comune , il Tribunale dei Minorenni, la ASL e l’ufficio minori della Questura di Taranto, nonchè l’ufficio reati sessuali e la Procura della Repubblica, che in buona sostanza invece di rinchiudere i carnefici di mia figlia, hanno “pensato bene” di rinchiudere lei in un istituto (convincendoci con l’inganno) ed imbottendola di psicofarmaci a nostra insaputa e senza appunto chiedercene nemmeno il consenso.
RaccontarLe nei dettagli tutti i fatti accaduti in questa mia richiesta per un incontro, sarebbe molto complicato in quanto dovrei inviarLe un libro e non una lettera, quindi preferirei raccontarLe tutto personalmente, in questa mia le anticipo le domande che intendo farLe e di cui essendo un cittadino Italiano vittima della malagiustizia ritengo di avere il diritto di ricevere dallo Stato Italiano delle spiegazioni.
1) Come mai in una denuncia in cui si accusa un Ufficiale della Marina di 29 anni di molestie sessuali nei confronti di una minore di 12 anni, colto in flagrante dal sottoscritto e confessate dallo stesso alla presenza di noi genitori e dell’insegnate di Lettere della minore, le Autorità Giudiziarie rispondono con una archiviazione? E ancora come mai, il Magistrato incaricato continua imperterrito a non voler riaprire il caso nonostante la nostra presentazione di nuove prove e testimonianze? E infine come mai, dopo aver appreso che l’insegnante in questione non aveva confermato in questura quanto da lei udito e confermato agli agenti intervenuti al momento delle molestie in oggetto, della nostra denuncia nei confronti della stessa insegnate viene incaricato “casualmente” lo stesso Magistrato e alla quale a tutt’oggi non ha ancora dato una risposta, anzi ancor più “stranamente” afferma dello smarrimento della stessa, a cui noi abbiamo ovviamente replicato con la copia in nostro possesso?
2)Come mai gli ispettori dell’ufficio violenze sessuali della Questura di Taranto, incaricati di indagare sulle violenze sessuali subite e denunciate da mia figlia, commettono errori grossolani per degli esperti professionisti, quali la mancata verifica e sopralluogo nei posti indicati dove sono avvenute le violenze e dove quindi avrebbero potuto trovare tracce indizi e prove delle stesse, questo nonostante io e mia figlia li avessimo più volte invitati ad eseguire?
Come mai gli indumenti che mia figlia aveva indosso al momento del suo ritrovamento con evidentissime tracce di sangue e materiale biologico e che vennero sequestrati per essere periziati, sono stati a noi restituiti dopo circa un mese e senza che vi fosse fatta alcuna perizia se non dopo il mio rifiuto a riprenderli e l’immediata richiesta di un nuovo sequestro con esplicito invito a periziarli?
Come mai una volta chiesto ed ottenuto fermamente al GIP del Tribunale dei Minori di Taranto di sollevare dall’incarico questi ispettori e di nominarne altri, i successivi incaricati (Carabineri) in una settimana concludevano tutto confermando ed identificando (salvo ovviamente perdere moltissime possibilità di trovare prove visto il troppo tempo trascorso) i soggetti e i luoghi che in sei mesi gli ispettori dell’ufficio della questura non erano riusciti a fare?
3) Come mai le istituzioni quali i servizi sociali ed il Tribunale dei Minori ad una richiesta di aiuto da parte di una famiglia vittima di queste assurde violenze, rispondono occupandosi del caso con malafede, sufficienza, incompetenza , arroganza, inganno e scorrettezza, rinchiudendo la piccola in un centro lager camuffato da comunità, anzichè i suoi carnefici in carcere, e imbottendola arbitrariamente di psicofarmaci?
4) Come mai il centro in questione non ha ancora a tutt’oggi subito alcun provvedimento quantomeno di tipo cautelare vista la presenza di altre minori rinchiuse?
5) Come mai nessun operatore del servizio sociale non ha subito a tutt’oggi alcun provvedimento, quantomeno di tipo cautelare?
6) Come mai il Tribunale dei minori non si è ancora assunto le responsabilità delle sue azioni, soprattutto in considerazione dell’esito finale a cui esse hanno fortemente contribuito e cioè la morte di nostra figlia?
7) Come mai a tutt’oggi non sappiamo CHI HA DECISO E AUTORIZZATO L’USO DI PSICOFARMACI su nostra figlia?
8) Come mai i violentatori minorenni rei/confessi di nostra figlia se la sono cavata con una grottesca condanna a 15 mesi di messa alla prova, nonostante sfavorevoli relazioni e precedenti messe alla prova fallite in almeno uno dei due casi salvo poi venire a conoscenze di “strani” legami di parentela tra uno dei loro avvocati e operatori dei servizi investiti di relazionare sulla concessione della stessa, da dove comunque ed ovviamente si sono ben guardati di farne emergere le “coincidenze”?
9) Come mai un avvocato difensore di un violentatore reo confesso ha il diritto di dichiarare ed offendere pesantemente la memoria di mia figlia in aula solo sulla base di dichiarazioni esclusivamente del suo assistito chiamandola prostituta e vantandosi e/o minacciando più o meno velatamente che il suo assistito non avrebbe mai potuto compiere qui reati perchè figlio di un boss mafioso condannato all’ergastolo senza che il giudice lo interrompa e ammonisca visto che nel processo minorile (grottesco ed assurdo) la parte lesa non ha voce in capitolo anche se la vera minore era la vittima e non gli imputati 17enni?
10) Come mai l’Ordine degli Avvocati a tutt’oggi ha ignorato il nostro esposto nei confronti del suo iscritto per questi suoi ed altri comportamenti irriguardosi e contrari all’etica ed al codice dentologico dell’Ordine stesso?
11) Come mai i violentatori di nostra figlia a distanza di 3 anni dalle nostre denunce non hanno subito alcun provvedimento almeno di tipo cautelare e anzi ancora non siamo riusciti a partire con il processo per assurde e reiterate mancate notifiche agli imputati?
La mia richiesta di essere ricevuto da Lei è finalizzata a ricevere delle risposte concrete a queste angoscianti domande ma soprattutto a voler provvedere a verifiche e controlli immediati sull’operato della Giustizia nei confronti di nostra figlia e soprattutto con l’immediata istruzione di processi che valutino e giudichino le responsabilità delle istituzioni coinvolte.
In Italia nel frattempo si sono verificati innumerevoli casi ancor più intricati del nostro, molti giunti a sentenze definitive altri comunque a sentenze di primo o secondo grado, quanti secoli occorrono alla Magistratura Italiana per dare finalmente a Carmela la giustizia che merita?
Concludo, chiedendoLe accoratamente di esaudire nel più breve tempo possibile questa mia richiesta di essere ricevuto da Lei, finora abbiamo diligentemente e pazientemente atteso che la Giustizia compia il suo dovere, affidandoci ad essa, ma ora la nostra pazienza ha raggiunto i limiti della sopportazione e personalmente sono pronto a tutto pur di gridare a tutto il popolo italiano e con tutti i mezzi civili e pacifici che la Legge mi mette a disposizione, quanto è stato fatto di male alla nostra intera famiglia ed in particolare a nostra figlia, anche con proteste clamorose e di dominio pubblico, finalizzate ad ottenere consenso e consapevolezza di quanto a volte la Giustizia Italiana provochi più danni degli stessi criminali! La saluto cordialmente e resto in fiduciosa attesa di un suo positivo e sollecito riscontro alla presente….
Io so’ Carmela – La storia e l’onore di Carmela, una bambina violentata
Dedicato ad una piccola donna che non c’è più e alla sua famiglia. Con la speranza che sia fatta giustizia, che l’opinione pubblica e le istituzioni si sveglino, che non ci siano altre Carmela.
Napoletana di nascita e tarantina d’adozione, Carmela Cirella vive con la sua famiglia la vita normale di una tredicenne. Scappata di casa dopo un rimprovero dei genitori, a causa di un comportamento sbagliato a scuola, non si avranno sue notizie per quattro giorni. In quelle lunghissime ore trascorse lontano dai genitori, la piccola conosce l’inferno e purtroppo non ne uscirà più.
Avvicinata da balordi, sarà stuprata ripetutamente e drogata con anfetamine. Indifesa, sola, impaurita, Carmela sarà ritrovata dal padre Alfonso nei vicoli della città vecchia. Sotto choc. Di colpo, con violenza e crudezza approdata nel mondo degli adulti, perduta la sua innocenza di bambina, Carmela farà i conti con la crudeltà dei grandi che spesso offende i più piccoli. Umiliata due volte. Da vittima a imputata. Trasformata a soli tredici anni nella poco di buono del momento, instabile psichicamente, che se è stata stuprata forse è colpa sua che andava con tutti. Non dei ragazzi. Né degli adulti che hanno preso parte al gioco insieme ai ragazzi. La colpa è solo di Carmela. Perché nella società civile capita anche questo. Che un avvocato possa sentirsi in diritto di offendere l’onore di una bambina di tredici anni. Che poi a tredici anni l’onore si ha per diritto, non si difende e non si può offendere. Si ha e basta. Perché si è ancora bambine, non si conosce il sesso e si crede alle favole. E l’onore, forse, è una parola priva di significato, antica. Tutti a scagliare la prima pietra contro Carmela e la sua famiglia. Ad insinuare il tarlo del sospetto nei confronti del padre. Povera Carmela. Amava ripetere in continuazione “Io so Carmela”, per affermare la propria identità, per farsi coraggio, per essere amata e accolta. Chi non ha ascoltato la richiesta di aiuto di una bambina? Tutti.
Le istituzioni, che l’hanno strappata alla famiglia per chiuderla in un istituto, la giustizia, con dei provvedimenti troppo lievi nei confronti dei colpevoli. E a marzo inizierà l’incognita del processo. Sarà la volta buona che una sentenza tuteli la dignità delle donne, delle bambine? Che farà capire una volta per tutte agli uomini di ogni età che no, le mani non si alzano e che le donne e le bambine non si violentano?
Lo spera la famiglia e lo spera chiunque abbia buon senso. Carmela merita giustizia, è l’unica cosa che può dare conforto ai genitori adesso che non c’è più. Si perché un mostro l’ha portata via. Si chiama indifferenza, ingiustizia, silenzio. Carmela viene imbottita di psicofarmaci all’insaputa dei genitori, nell’istituto che doveva aiutarla a superare il trauma. Troppo per una ragazzina di tredici anni, troppo dolore da affrontare. Il mostro si chiama anche mal di vivere, solitudine. Il salto nel vuoto del 15 aprile 2007, a Taranto, è solo un dettaglio.
Si suicidò 5 anni fa. Il padre della 13enne di Taranto: “Giustizia” (La Gazzetta del Mezzogiorno – aprile 2012)
Torna in aula venerdì 27 aprile, a oltre cinque mesi di distanza dall’ultima udienza nel corso della quale si presentò solo uno dei sei testimoni citato dal pubblico ministero, il processo per la morte di Carmela Cirella, la minorenne residente al quartiere Paolo VI suicidatasi il 15 aprile del 2007 dopo aver subito una violenza sessuale.
Alla sbarra ci sono Filippo Landro, di 27 anni, Salvatore Costanzo, di 26 anni, entrambi di Acireale (difesi dall’avv. Calliope Murianni), e Massimo Carnevale, di 46 anni, di Taranto (assistito dall’avv. Maurizio Besio). Rispondono di due episodi distinti, risalenti al periodo compreso fra il 9 e l’11 novembre del 2006.
I due siciliani avrebbero attirato la ragazzina con una scusa all’interno del loro camper e poi l’avrebbero costretta a subire atti sessuali. Il terzo imputato, che ha sempre negato le accuse, avrebbe violentato Carmela approfittando della sua fragilità psicologica. La ragazzina era stata affidata temporaneamente a un istituto per minori disagiati. Pare che la minore, dopo essere sparita per qualche giorno, fosse tornata a casa con i segni evidenti di violenza.
Altri due imputati accusati di aver stuprato Carmela hanno ottenuto dal gup del Tribunale per i minorenni la cosiddetta «messa alla prova». E’ come se il reato non fosse mai stato commesso.
A cinque anni dal suicidio di Carmela, il processo stenta insomma a decollare, tanto suscitare la protesta del padre di Carmela, Alfonso Frassanito, che in una lettera aperta chiede giustizia.
«Ricorre il quinto vergognoso anniversario senza giustizia per Carmela, figlia, suo malgrado, di questo paese ipocrita e incivile, che con il suo silenzio – scrive Frassanito – e la sua indifferenza si rende complice di queste atrocità. Ogni martedì, in quello stesso tribunale di Taranto – ricorda Frassanito – che per il processo contro gli stupratori di Carmela di udienze riesce a farne solo una ogni sei mesi si svolgono le udienze per il delitto, altrettanto vergognoso della piccola Sarah Scazzi. Sembra di essere a Hollywood, telecamere dappertutto, imputati divenuti vip e calca di curiosi – dice Frassanito – disposti a perdere giornate di lavoro pur di apparire davanti alle telecamere. Ma dove sono quando la giustizia la si chiede per Carmela e per altre vittime come lei? E’ evidente che 5 anni, in queste condizioni, sono un lasso di tempo talmente lungo da consentirmi di sentirmi in diritto di lasciar perdere la diplomazia inutile e dichiarare la mia assoluta mancanza di fiducia nella giustizia italiana, e allo stesso tempo di manifestarla con tutti i mezzi che posso avere a disposizione».
Frassanito, intanto, venerdì prossimo comparirà dinanzi al giudice per l’udienza preliminare Giuseppe Tommasino per rispondere di diffamazione nei confronti di un avvocato che negli anni scorsi ha difeso uno dei presunti stupratori di Carmela.
Cinque anni senza giustizia. Stuprata, si gettò dal balcone (Se NonOraQuando – L’Unità 2012)
Il 15 aprile del 2007 Carmela Cirella si tolse la vita, lanciandosi dal balcone di un palazzo del rione Paolo VI di Taranto, perché era stata violentata e nessuno le credeva.
Aveva solo tredici anni. Ci sono eventi che misurano il tempo senza alcuna pietà …
… Giustizia, continua a chiedere Alfonso, anche a nome di sua moglie, Luisa. «Lei non ha neppure la forza di parlare …», spiega. Conserva le energie per la prossima udienza, il 27 aprile: la quarta in un processo che sembra non dover mai finire.
Sul banco degli imputati, tre uomini, accusati di aver stuprato Carmela, nel novembre del 2006, quando appena compiuti i suoi tredici anni, la ragazzina scappò di casa. E si ritrovò all’inferno.
«Tutto nasce dalle molestie che mia figlia aveva subito da un adulto», racconta oggi Alfonso, che denunciò anche quell’episodio. Poi archiviato. Carmela era inquieta. «Per questo scappò».
Nel diario, quello dove annotava ogni cosa, aveva descritto anche quello che le era accaduto in quei quattro giorni di fuga: lo sbando, le violenze subite da più persone. La ritrovarono drogata e sotto shock. E quello che aveva scritto sul diario, lo ripetè poi anche alla polizia che però – racconta il padre – stentava a crederle.
«È stato un calvario ottenere che fossero portate fino infondo le indagini, pensi che ci stavano riconsegnando gli indumenti di Carmela senza che le tracce biologiche fossero periziate», ripete Alfonso, che si ritrova per l’ennesima volta a ripercorrere l’intera sequenza. Le violenze, lo shock di quella ragazzina, la difficoltà anche per lui e sua moglie di gestire quel trauma più grande di loro. «Ci suggerirono un centro per minori, fu lì che le somministrarono a nostra insaputa gli psicofarmaci.
Riuscimmo a farla trasferire in un altro centro, dove avevano iniziato a diminuirle quella terapia che a noi sembrava spropositata», racconta Alfonso, che non si riesce a darsi pace.
Cinque anni dopo, il suo esposto contro il centro per minori dove fu ricoverata sua figlia è stato archiviato, due ragazzi, all’epoca minori, accusati di averla stuprata «hanno evitato la condanna e se la sono cavata con una messa in prova». «Nessuno è stato mai arrestato, neppure i tre che ora sono sotto processo»,ripete Alfonso. E le udienze si trascinano stancamente: «Di sei mesi in sei mesi, siamo ancora alla quarta udienza», denuncia il padre adottivo di Carmela, che vede la giustizia allontanarsi sempre di più.«A questo punto – dice – ci basta che emettano una sentenza, una qualunque, almeno avremo in mano qualcosa per appellarci». Lui e sua moglie – spiega – sono pronti a ricorrere anche alla Corte di giustizia europea.
Nel frattempo, da quella traccia cocciuta stampata nel suo diario è nata una associazione: «Io sò Carmela». Pensata perché altri genitori che si trovino ad affrontare violenze subite dai figli si sentano meno soli:
«Ogni volta che c’è uno stupro – denuncia ancora Alfonso, a nome anche degli altri – scatta un garantismo eccessivo verso gli accusati e contemporaneamente per le vittime inizia il martirio, vergognoso, specie, se come nel caso di Carmela, le vittime sono bambine»
Nel diario di Carmela, suicida a 13 anni. Gli stupratori mi hanno rubato la vita (la Repubblica – 5 giugno 2013)
La storia di un’innocenza violata e di un disarmante silenzio. Un fumetto basato sul diario della ragazzina
“Mamma, papà, VVTTTTTB”. È rimasta senza vocali, ferma all’ultima pagina del suo diario, aprile del 2007, la vita di Carmela Cirella, 13 anni. Quello stesso diario che ora rischia di diventare la prova decisiva per incastrare i suoi aguzzini. Carmela si è suicidata sei anni fa. Il 15 aprile del 2007. Si è lanciata dalla finestra di casa di amici, a Taranto. Qualche mese prima, tre volte in quattro giorni, era stata stuprata da cinque persone diverse: due minorenni e tre maggiorenni. “Ma nessuno di questi ha fatto un solo giorno di carcere”, dice il patrigno, Alfonso Frassanito. I due minorenni hanno ammesso il rapporto sessuale, all’epoca avevano quasi 17 anni, Carmela 12.
“Nessuno stupro”, hanno però giurato in aula. E alla fine il tribunale ha deciso che per loro la pena giusta fosse la “messa alla prova”: in sostanza, hai sbagliato ma non sbagliare più. I tre maggiorenni, invece, hanno ancora il processo in corso: la prossima udienza è fissata il 21 giugno, l’ultima il 12 luglio. Poi la sentenza. A fare prova ora c’ è anche il diario e le pagine scritte a mano da Carmela, recuperate dal padre e depositate agli atti: sfoghi, ma anche circostanze, nomi e cognomi. Gli ultimi appunti sono stati scoperti appena qualche settimana fa: in quelle pagine Carmela racconta tutte le tappe del suo calvario. Una storia di violenza, miseria e di degrado. “Una storia che non può essere quella di una bambina”, spiega l’avvocato Flaviano Boccasini, che rappresenta la mamma di Carmela.
“Ho cominciato un diario, l’ho chiamato la storia più brutta della mia vita”, inizia così il tour nell’orrore di questa bambina di 12 anni. Tutto parte da un primo tentativo di violenza, nel 2006. Sarebbe stato un marinaio: un caso senza prove, ha detto la giustizia, che ha archiviato per due volte di seguito. Fu però quell’episodio a spingere i servizi sociali del Comune a occuparsi di Carmela, che in verità aveva già un fascicolo aperto perché la storia sua e della sua famiglia era di quelle complicate. “Ho paura del dubbio perché ho visto Boogeyman” scrive la bambina. L’uomo nero. I servizi sociali la mandando in comunità. Torna a casa nei weekend. “Continuo a piangere. Voglio morire. Non vedo l’ora di vedere i miei”.
Carmela non sta bene. In comunità, ma non solo. E’ da casa, quartiere popolarissimo di Taranto, che scappa nel novembre del 2006. Quattro giorni. Novantasei ore durante le quali Carmela viene stuprata tre volte. Prima un minorenne, che l’avrebbe poi consegnata a un 50enne che però oggi, a processo, nega tutto. Nega di averla violentata, come sostenuto invece dalla Procura. “Era nudo e diceva che voleva ballare”, ricorda la bambina nei suoi appunti. Carmela riesce a scappare e chiede aiuto a un suo amichetto: “Volevo restare abbracciata a lui”. Invece con la forza la costringea letto. Scappa per strada e viene fermata da due ragazzi siciliani, di 26 e 27 anni. Sono di Acireale. Sono ambulanti. E vendono statue. È proprio sul loro camper, vicino a una Venere di gesso, che abusano contemporaneamente (abuserebbero: anche loro sono a processo, in attesa di giudizio) della ragazzina. Soltanto dopo l’ennesima violenza, Carmela torna a casa. In condizioni pietose. Al pronto soccorso capiscono tutto. Gli psicologi fanno il resto. Torna in comunità.
Il padre – che sta conducendo una battaglia da tempo – sostiene che lì le abbiano prescritto farmaci sbagliati, senza autorizzazioni. La madre invece preferisce più silenzio. Le basta la foto della figlia. “Ma pretendo giustizia”. Ora la storia di questa bambina ha trovato anche una sua casa, fatta di disegni e colori pastello: Alessia Di Giovanni e Monica Barengo (edizioni BeccoGiallo) hanno illustrato e raccontato quel diario dell’orrore, come a volerlo esorcizzare. La loro graphic novel si chiama “Io sò Carmela”, frase che la bambina scriveva ovunque. E parlando di uno di “quelli che mi hanno svuotato”, scriveva: “Mi diceva sempre che ero bella. È bello quando ti dicono che sei bella. Ti senti di essere qualcosa. Invece non sei niente”.
Morto il papà di Carmela Cirella. Fondò l’associazione “Iosocarmela” (Puglia Press – 17 maggio 2015)
“Questa notte ( ieri ndr) è morto Alfonso Frassanito, padre di Carmela Cirella, la ragazzina di 13 anni violentata e suicidatasi nel 2007, e presidente della Associazione “Iosocarmela” da lui fondata proprio perchè la morte della figlia non fosse invano e servisse a tante altre ragazze, bambine.
Alfonso si è battuto dal 2007 infaticabilmente a Napoli, a Taranto, in ogni città dove poteva parlare di Carmela, ma soprattutto nelle fredde e lunghe udienze dei Tribunali per la verità e giustizia per Carmela: violentata dagli uomini e uccisa dallo Stato (come abbiamo subito detto noi compagne del mfpr e come ha ripreso Alfonso), da quelle Istituzioni, che non credendo a Carmela, l’avevano violentata a loro volta con psicofarmaci e rinchiudendola in Istituti, portandola al suicidio.
Alfonso si era battuto nei Tribunali contro l’ipocrisia e contro coloro che voleva trasformare i processi in accuse, offese verso Carmela e lo stesso padre: VERGOGNATEVI! Diceva Alfonso. E per questa giustissima parola aveva subito denunce e se non fosse morto mercoledì prossimo doveva presentarsi al Tribunale perchè accusato, lui, insieme ad una compagna del Mfpr di aver detto questa verità ad uno degli avvocati di uno stupratore.
La morte del padre di Carmela certamente è legata a filo doppio a tutto questo, a queste sofferenze, al dolore della figlia stuprata e “uccisa”, alle vessazioni di processo infiniti, alle “pugnalate” di sentenze vergognose che, come la prima verso tre minorenni, si è conclusa con il “perdono” verso gli stupratori, alle bugie e infamie che doveva sentire; ma anche al silenzio in questa città che ha accompagnato questa grave violenza – come diceva Alfonso: solo il Movimento femminista proletario rivoluzionario sono sempre presenti, con presidi, iniziative, denunce, ecc. Questa morte del padre di Carmela pesa per questo come un macigno.
Mercoledì 20 maggio alle 9 in occasione del processo contro il padre di Carmela e il MFPR, terremo un presidio al Tribunale per ricordarlo. Porteremo il libro che lui ha scritto, per raccontare tutta la storia di Carmela”.
le compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario di Taranto
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In memoria di
‘Io sò Carmela’ di Alfonso Frassanito (Italia Magazine – 21 giugno 2021)Il 15 Aprile 2007, una ragazza di appena tredici anni, a Taranto, perse la vita gettandosi da un balcone del settimo piano di una casa. Il suo nome era Carmela. Suo padre, Alfonso Frassanito, ancora oggi chiede giustizia per quella tragica morte perché, dietro al suicido di sua figlia, si celano precise responsabilità che sono state ben sotterrate e nascoste. E così, Alfio ha fondato l’Associazione ‘Io sò Carmela’, per difendere la memoria di sua figlia e per dare voce ai tanti bambini che vivono tragedie simili.
Ma ha anche scritto un libro intitolato, appunto, “Io sò Carmela”. Alfio non è uno scrittore, non usa le parole per tessere storie e per rifinirle con l’estro e la fantasia ma, per fare luce sulla terribile vicenda, ha raccontato tutta la storia della sua famiglia ed in particolare dei fatti che riguardano la figlia.
Il 18 giugno scorso, a Latina, presso la sala del Circolo Cittadino di Piazza del Popolo, all’imbrunire, l’Associazione antiviolenza ‘Valore Donna’, la cui responsabile è Valentina Pappacena, ha invitato Alfonso a dare la sua testimonianza.
Alla serata, che ho presentato ben volentieri, sono intervenuti la dott.ssa Roberta Bruzzone ed il Senatore Stefano Pedica.
Alfonso Frassanito ha spiegato che ha voluto raccontare quanto è accaduto alla figlia per rispondere alle tante menzogne contro di lei, perché è stato infangato il suo nome e non è mai stata fatta lue sulla sua morte. Perché ci sono precise responsabilità e nel libro vengono fatti nomi e cognomi.
Alfonso ha comunque tenuto a precisare che il suo libro lo ha scritto tra le lacrime, perché, prima di formulare delle accuse precise e circostanziate, ha messo a nudo il suo atteggiamento, quello dei suoi familiari, per cercare di capire le sue responsabilità. Il cruccio più grande di Alfonso, infatti, è quello di non essere riuscito a salvare Carmela, di non essere riuscito a comprendere che coloro che credeva volessero aiutarli, stavano invece conducendo la figlia verso la morte. Parole drammatiche queste, che chiedono giustizia.
Ma ecco in breve la storia di Carmela.
A dodici anni, nel 2005, Carmela viene molestata da un marinaio di Taranto. Dopo espressa querela del padre, purtroppo il caso è stato archiviato. Il fatto, però, lascia delle terribili cicatrici sulla bambina che, in seguito, dopo aver ricevuto un rimprovero dai genitori, scappa di casa, si ritrova in balia di alcuni uomini e viene violentata in fasi successive. Dopo quattro giorni di ricerche viene ritrovata in condizioni pietose. I servizi sociali intervengono, hanno dei colloqui preliminari con Carmela, parlano anche con Alfonso e sua moglie e li tranquillizzano dicendo che avrebbero aiutato la figlia con un percorso appropriato. Questo percorso ha condotto la bambina nel Centro ‘Aurora’ di Lecce, un Istituto che si occupa di minori che hanno subito abusi e violenze in famiglia.
Alfio e sua moglie non possono incontrare liberamente Carmela, ma solo una volta al mese, con incontri videoregistrati. Carmela appare loro sempre più distrutta perché non ha al suo fianco le persone che più la amano e perché le vengono somministrate dosi massicce di psicofarmaci che la intontiscono e la sformano. Viene poi trasferita in un’altra comunità, dove gli operatori cercano di rendere sempre più numerosi gli incontri di Carmela con la sua famiglia. Perché si rendono conto che la ragazza, per guarire, ha bisogno delle persone che sono i suoi punti di riferimento dal punto di vista affettivo. In una delle uscite con i genitori, quando sembrava che le cose potessero solo migliorare, mentre si trovavano in casa di alcuni amici, Carmela si getta dal settimo piano.
Il 18 giugno, a Latina, viene reso ufficiale il fatto che la dott.ssa Roberta Bruzzone si occuperà del caso come CTP. La dottoressa ha raccontato di avere sentito parlare del caso di Carmela da un amico e di aver trovato la storia talmente assurda che ha voluto verificare di persona. Ed ha scoperto che ci sono precise responsabilità dietro la vicenda su cui va fatta finalmente luce. Responsabilità che hanno dei nomi e dei cognomi ben precisi e che interessano istituzioni come i Servizi Sociali, il Tribunale dei Minori e le Forze dell’Ordine.
Chiedo alla dott.ssa Bruzzone se sia possibile, dopo circa quattro anni, giungere alla conclusione del caso.
La dottoressa risponde che è possibile, perché non si parla di chiacchiere. Ci sono prove ben precise, esiste tutta una documentazione dettagliata che mostra come le cose siano state mal condotte. Esiste anche il diario di Carmela. Il suicido di Carmela è, alla luce dei dati di cui si parla, un suicidio indotto perché Carmela era sottoposta ad una terapia di psicofarmaci che le hanno prodotto danni collaterali gravissimi. E in questo caso c’è una profonda relazione tra l’assunzione di psicofarmaci, prescritti in maniera scriteriata e il suicidio.
Chiedo alla dott.ssa se gli stupratori sono in carcere.
“Assolutamente no. Sono in regime di libertà in attesa che il processo faccia il suo corso. Eppure è bene precisare che chi ha stuprato Carmela è reo confesso. E sicuramente la giustizia dovrà finalmente fare il suo corso.”
Il senatore Stefano Pedica, che ha recentemente presentato una interpellanza parlamentare sul caso, ha preso atto che, grazie al lavoro della dott.ssa Bruzzone e dell’avvocato di parte Flaviano Boccassini, c’è la seria possibilità di giungere alla verità dei fatti.
Alfonso Frassanito ha anche presentato al Senatore proposta di legge in cui si chiede che lo stupro sui minori venga considerato alla stessa stregua dell’omicidio, ma anche un’altra proposta di legge per la riforma dei Servizi Sociali e del Tribunale dei Minori affinché, in vicende drammatiche come quella di Carmela, chi ha commesso degli errori si prenda le sue responsabilità.
Prossimamente, in autunno avremo le prime informazioni sull’iter dei processi penali.
Chiunque fosse interessato ad acquistare il libro, potrà cercare informazioni sul web presso l’Associazione per la tutela dei diritti delle famiglie e dei minori ‘Io so Carmela‘.
IO NON HO PACE è la recentissima produzione di Teatro di Sacco, realizzata utilizzando diversi linguaggi teatrali.Il progetto riguarda una tema delicato, purtroppo attualissimo, la violenza sulle donne, in particolar modo la violenza perpetrata su una ragazzina di 13 anni.Il 15 aprile 2007 Carmela Cirella si getta dal settimo piano di un palazzo nel quartiere Paolo VI di Taranto. Aveva 13 anni ed era stata stuprata da più uomini. Abbandonata dalle istituzioni, rinchiusa in un centro di recupero, i suoi violentatori liberi come se mai nulla fosse accaduto.Dopo la morte di Carmela molte polemiche sono nate per la disattenzione con cui la bambina è stata trattata dalle Istituzioni, da quelle giuridico-investigative a quelle sanitarie ed assistenziali: a tutt’oggi, infatti, i colpevoli delle violenze, che Carmela è stata costretta a subire, sono praticamente, ancora impuniti.
Il padre, Alfonso Frassanito, ha lottato a lungo per ottenere giustizia per Carmela, fondando addirittura L’Associazione “IosonoCarmela” contro la violenza sui minori.
Dopo qualche tempo dalla morte di Carmela è stato ritrovato il suo diario che è diventato, nel 2013, una bellissima graphic novel, Io so’ Carmela di Alessia Di Giovanni, disegnata da Monica Barengo, edita da Becco Giallo . In qualità di regista e direttore del Teatro di Sacco di Perugia, Biselli ha immaginato di poter portare a teatro la graphic novel utilizzando strumenti e linguaggi diversi per la realizzazione del progetto Io non ho pace, che vorrebbe contribuire a ridare voce ai “silenzi assordanti” che sono stati complici di tante vicende analoghe a quelle di Carmela. Il testo, liberamente ispirato a Io so’ Carmela, è stato reinterpretato poeticamente e drammaturgicamente da Barbara Bracci. La regia che si basa su un format particolare che intreccia la proiezione su grande schermo di alcune parti della graphic novel, attraverso la progettazione video e le motion graphics di Leonardo Giuli. Lo sviluppo drammaturgico, immaginato alcuni anni dopo la morte di Carmela (forse oggi), si svolge, contemporaneamente, su tre piani: il primo riguarda l’interpretazione fisica di due attori, il padre, come figura simbolo di tutti i padri che hanno perduto una figlia fatta oggetto di violenza e una giovane donna, probabilmente al tempo dello svolgimento dei fatti compagna di Carmela nella stessa classe scolastica.
Il secondo piano è costituito dal lavoro del sound designer Francesco Federici e dalle musiche scritte appositamente da quest’ultimo e dalla mezzosoprano, Francesca Lisetto a cui, di fatto, è affidata la voce di Carmela, che non sarà mai udita durante lo spettacolo se non attraverso la musica, sua grande passione.
Il terzo piano, contemporaneamente scenografia e sviluppo narrativo del dramma. Tale allestimento cercherà di far coesistere la poesia del tratto grafico con la presenza cruda dei personaggi e del mondo dei suoni che ci accompagnerà durante il viaggio nella memoria e dolore di Carmela.
Carmela, dire addio alla vita con un volo (Il Manifesto – 23 novembre 2013)
INTERVISTA. La vicenda della ragazzina che amava la vita e le è stata strappata con violenza ripetuta, raccontando da una graphic novel per le edizioni di BeccoGiallo, scritta da Alessia Di Giovanni e illustrata da Monica Barengo
Unica: come tante ragazzine al mondo e come nessuna; una pianta fragilissima e tenace che prorompe nei suoi primi germogli. 12 anni, quasi 13 – in cuffia e in testa la sua musica preferita – Carmela vive a Taranto con la madre, il padre e il fratellino, frequenta la scuola, intesse parole e uscite con le amiche, cerca i primi riflessi di sé, si scopre innamorata. È il novembre 2005 ed è anche il punto in cui la sua storia devia: lacerata violata bombardata.Un uomo, noto come “il pedofilo” del quartiere, comincia a molestarla. Con difficoltà e dolore, Carmela parla. La sua famiglia risponde con una denuncia.
L’uomo, che pure ha confessato al padre della ragazzina e a una sua insegnante, nega innanzi alla polizia, l’insegnante non conferma la testimonianza. Si giunge alla diffida che però non viene rispettata. I familiari segnalano la cosa. Invano. Ma già la sua vita è altra, tra colloqui con una psicologa e il rimpicciolirsi delle libertà appena assaggiate: niente più uscite al mare con le amiche; solo mura fuori e dentro, chiusure. È allora che la sua rabbia si fa sentire e a scuola le insegnanti consigliano “un allontanamento”. Ma è “per il suo bene”…
9 Novembre 2006: Carmela infrange il divieto dei suoi e scappa di casa, non sapendo che nel giro di 4 giorni la sua anima e il suo corpo di ragazzina saranno violati e assassinati in vita 5 inenarrabili volte, tante quanti saranno i suoi stupratori, 4 di loro sconosciuti, incontrati per caso – Emanuele C. (minorenne), Massimo Carnevale, Filippo Landro e Salvatore Costanzo – uno il ragazzo di cui è innamorata, Cristian M.(17 anni), a cui per assurdo si è rivolta per cercare conforto dopo le prime due violenze.Ricondotta a casa in stato di shock profondissimo, Carmela rivela un corpo violato dai reiterati abusi sessuali, che vengono accertati ma riportati ambiguamente nel referto ufficiale, mentre gli abiti insanguinati che indossa le sono restituiti senza alcuna perizia.
Gli interrogatori in questura cominciano sottilmente a insinuare la sua responsabilità in quello che è accaduto. Sfinita, fornisce nomi e indirizzi, ma le indagini inspiegabilmente ristagnano. Credendo di supportare la figlia, i genitori, tramite il Tribunale dei Minori, si rivolgono ai Servizi sanitari. Carmela è rinchiusa nel Centro Aurora di Lecce, specializzato in violenze familiari. Qui, privata dei suoi, che può vedere solo una volta al mese, sottoposta a loro insaputa a terapia con psicofarmaci, tenta due volte la fuga.
Il padre, constatate le condizioni stremate della figlia, si rivolge a un avvocato per chiedere il suo ritorno a casa. Senza avvertire la famiglia, il Tribunale dei Minori la trasferisce in un centro a Gravina dove finalmente iniziano la sospensione degli psicofarmaci. Ma troppi sono stati gli strappi le deflagrazioni le ferite. La ragazzina comincia a tornare a casa nei weekend … È il 15 aprile 2007 quando Carmela Cirella si lancia nel vuoto dal settimo piano.
Sembrerebbe l’ultimo gesto, ma la sua storia va oltre la sua morte. Il suo cuore continua a sbocciare nel cuore devastato dei suoi, e non solo. Il padre, Alfonso Frassanito (che, forza di un legame al di là della biologia, è il padre acquisito, avendo Carmela perso piccolissima quello naturale), intraprende una estenuante battaglia per vedere rispettata la memoria della figlia e la sua “assurda morte senza colpevoli” (a oggi i responsabili continuano a vivere indisturbati la loro vita). Combatte in sede processuale, scrivendo un libro e lettere, incontrando rappresentanti dello Stato e sensibilizzando, fino a fondare l’associazione Io so’ Carmela al fine di tutelare le vittime di stupro, i minori e le famiglie dagli abusi del sistema giudiziario.
“Io so’Carmela”, così scriveva sul diario – ritrovato dopo la sua morte – sui muri della sua stanza, sul corpo frantumato, grido di una soggettività in lotta per la sopravvivenza in un mondo che dopo averla violata, non le credeva e la espungeva.
E Io so’ Carmela è anche il graphic novel in prima persona che, grazie alla passione civile delle edizioni BeccoGiallo e al coraggio di Alessia Di Giovanni e Monica Barengo, rispettivamente autrici del testo e dei disegni, nonché nostre interlocutrici in queste pagine, proprio dal diario intreccia una narrazione rispettosa e attenta al minimo dettaglio dell’anima e dell’immagine. “Mi sono sempre piaciute le cose malconce. Si possono sempre ricucire”. “Io non ci sto a essere una vittima, non ci sto a essere una martire, voglio solo essere me, me e basta”.
Alessia Di Giovanni, come e da chi è nato il progetto? È nato da me. Stavo lavorando sul tema della violenza sulle donne e volevo continuare in questa direzione. Così quando ho sentito la vicenda di Carmela mi sono attivata subito. Consideriamo che allora non si parlava quasi di femminicidio e che questa storia era veramente il paradigma di quello che non dovrebbe mai succedere: una ragazzina che denuncia la violenza che ha subito e che invece di essere aiutata viene rinchiusa in un centro di recupero.
Ma a convincermi definitivamente a raccontare è stato poi l’incontro con il padre di Carmela. Lui mi ha mandato il libro che aveva scritto. E anche se me ne sono servita poco perché ho potuto attingere al diario e ascoltare la sua stessa narrazione, su queste testimonianze ci siamo basate con Monica Barengo per ideare il soggetto del fumetto. Quello che ci premeva era la parte umana, emotiva di questa vicenda: i dettagli giudiziari stanno in calce al libro, noi volevamo invece raccontare la storia di una ragazza che si trova da un momento all’altro ad attraversare qualcosa di agghiacciante, durante e dopo la violenza.Quale è stato il rapporto con il diario,dapprima come lettricee poidal punto di vista della scrittura del testo.Come lettrice l’ho trovato molto di confine tra emozioni profonde e mature e una ingenuità che mi ha commosso. Del resto anche Carmela era così, non più una bambina, perché a 13 anni si forma il sesso, ma non ancora una ragazza. Mi sono trovata in mano l’anima di una persona e mi è entrata sottopelle. È stato come indossare una tuta e tirare su la zip: improvvisamente ero dentro il mondo di questa ragazzina …
Questo è un diario molto particolare: a un certo punto è gettato da Carmela stessa nel cestino e poi ritrovato dopo la sua morte; a quel punto assume valenza giudiziaria. Prima istintivamente ho usato la parola “lettrice” che è insolita per un diario che solitamente si presume pensato come personale e inaccessibile. Allora ti chiedo se si sente tra le righe come un desiderio da parte di Carmela di condividere la sua solitudine con un ipotetico lettore, a mo’ di messaggio in bottiglia …
Sì, mi è arrivata molto nitida l’energia della scrittura come modo per oggettivizzare il suo dolore. Infatti comincia il diario dicendo “Questa è la storia più brutta della mia vita …”. E anche il momento in cui lo getta via è un modo per dire: a me non è successo; c’è in lei un profondo senso di vergogna perché sa che le persone l’additeranno. E anche se pochi giorni dopo decide di suicidarsi, Carmela prova fortemente a autosalvarsi: anche il suo continuo ripetere, voglio vedere i miei genitori, mi mancate, è il suo mantra, la sua ancora di salvezza: vuole semplicemente riprendersi la sua vita.
In questa storia i violentatori non sono gli unici a fare del male a Carmela, gli “attori” in campo sono diversi: gli insegnanti a scuola, i poliziotti della questura, alcuni psicologi dei centri di recupero, il sistema giudiziario. Assistiamo a una dinamica ricorrente nei casi di denuncia di violenza: la vittima è trasformata in accusata, “rivittimizzata”, ripetutamente offesa e bollata come “puttana”; in questo caso si opera anche un processo di alienazione della persona, internandola in un centro. Rispetto a tutto questo, mi ha toccato il dettaglio “cecoviano” del gabbiano con cui Carmela ha un contatto davanti alla scuola e il suo dire all’insegnante: “le dà fastidio che muoia o che muoia davanti ai suoi occhi?” Se è vero la violenza sulle donne non è più argomento taciuto o marginale fino al controverso recentissimo dibattito intorno alla L.1540 (ampiamente trattato su queste pagine e sul blog Antiviolenza di Luisa Betti), quanto da parte vostra c’era il desiderio di raccontare il fenomeno come qualcosa che è ancora fortemente oggetto di negazione sociale?Al particolare del gabbiano tenevamo molto: rimanda tra l’altro all’aleggiare nel vento nel momento in cui Carmela scappa di casa e va sulla spiaggia. Allora ha un grande respiro innanzi al mare, un’apertura che la fa sentire libera e che ritorna nel movimento del vestito che sventola leggero nel finale.
Carmela dava fastidio perché era come un semaforo che segnalava il rimosso di un’intera società, su di lei c’era scritto qualcosa di indicibile e quindi relegarla in un angolo consentiva di non vedere quello che può succedere a qualunque bambina, adolescente o donna.
D’altra parte, ognuna/o può cercare di fare qualcosa per opporsi a questo occultamento della verità. Per questo è essenziale analizzare quella parte grigia di noi dove accade la violenza, mettere a fuoco certe strutture mentali, gli stereotipi cristallizzati di cosa sia uomo e cosa donna, che sono responsabili di situazioni come quelle accadute a Carmela.Vorrei ora soffermarmi su quel confine tra la bambina e la donna, di cui prima dicevamo (per il suo compleanno il padre può ancora regalare a Carmela una bambola), sulla sua ricerca d’amore (“penso troppo all’amore”), e sulla sua difficoltà a realizzarla in modo per lei soddisfacente.
Tra coloro che la violentano c’è Cristian, il ragazzo di cui è innamorata, che non si comporta differentemente dagli altri … Quanto l’elemento dell’amore è stato determinante nella scrittura del testo? Dove parlando di amore non alludo a una interpretazione strumentale della parola, a lungo usata in funzione giustificatoria della violenza – pensiamo al delitto d’onore o al delitto passionale – ma a quella contiguità tra affettività e violenza che attiene al profondo e, nel caso dell’uomo, a quella dicotomia esplosiva, di cui acutamente scrive Lea Melandri, tra inermità della nascita e desiderio di autonomia e potere.L’amore c’entra moltissimo. Quello che Carmela subisce da Cristian si può ricondurre alla violenza domestica, a un amore malato ma anche ai meccanismi interni della coppia: nel senso che non solo Cristian commette un crimine nel rapportarsi in modo violento a Carmela, ma che al tempo stesso Carmela cerca amore dalla persona sbagliata.
Io credo di sapere cosa potrebbe essere l’amore ma so anche realisticamente che cosa è l’amore che cosa può racchiudersi dentro questa parola: il bisogno, lo stato di necessità di qualcosa che riempia la vita e le pagine, che colmi voragini e angosce. Carmela aveva bisogno di essere amata perché era disperata e questo la poneva in uno stato di grandissima fragilità. Quando è andata da Cristian, si sentiva in colpa per essere scappata contro la volontà della famiglia, sentiva quasi di aver meritato la violenza e aveva assolutamente bisogno di qualcuno che la riportasse a casa e la salvasse. In realtà sappiamo che la salvezza può arrivare soltanto da noi stessi, ma Carmela era troppo giovane e troppo oppressa per percepirlo. Tutto questo rende ancora più atroce il comportamento di Cristian, il suo usare quell’amore per accartocciarlo e gettarlo via.
La metafora del corpo scatola faceva parte del diario? No, ma c’è una frase che me l’ha fatta venire in mente … parlava del chiudersi e del richiudersi. Poi con Monica abbiamo deciso che fosse rossa in modo da rimandare alla felpa di Carmela. Quando inizia la storia lei si presenta come una ragazza molto aperta che vuole assolutamente vivere e poi, poco per volta, si rinchiude in se stessa.Su Carmela sono strati scritti testi, poesie e canzoni. Cosa apporta di differente il linguaggio del fumetto? A differenza del cinema dà modo di leggere un’immagine con il proprio ritmo, cosa che qui è cruciale, dà la possibilità di stare con la storia. Nello stesso tempo ha anche la capacità di trascendere il reale attraverso le immagini e quindi dà una libertà di trasfigurazione che era in qualche modo dovuta a Carmela.
Più volte hai citato Monica Barengo. Si è trattato di un processo creativo comune?All’inizio, quando effettuo le ricerche e le interviste, lavoro sempre da sola. Poi, quando entrano in gioco le immagini, il processo diventa comune. Con Monica abbiamo lavorato in grande sintonia. Ci siamo scambiate idee e immagini, cercando l’atmosfera giusta. In realtà siamo state in tre perché Carmela era sempre con noi. Ascoltavo le canzoni che piacevano a lei (che ritornano nel testo), mi accompagnava durante le mie giornate e prima di addormentarmi le parlavo … Non è stata solo un personaggio, ma una nostra amica.