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Barbara Cicioni, 33 anni, mamma di due bambini e incinta di 8 mesi. Ammazzata di botte dal marito

Marsciano (Perugia), 24 maggio 2007

Barbara Cicioni e la bambina che portava in grembo muoiono, massacrate di botte dal marito e padre, mentre nella stanza accanto dormono gli altri due figli ancora piccoli.

Roberto Spaccino, 39 anni, camionista. Carcere a vita.

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Le davo smanate non schiaffoni! – Così si difendeva al processo un uomo accusato di aver massacrato sua moglie Barbara Cicioni e la figlioletta che portava in grembo. il fatto ha colpito per l’incredibile maschilismo di un uomo convinto che picchiare sua moglie rientrasse nella normalità.

Era il 2005 quando tutti i telegiornali nazionali annunciavano la morte di una giovane donnaincinta e diabetica, massacrata in modo barbaro da un marito geloso e violento. Alle parole si accompagnano le mostruose insinuazioni di un uomo che cercava di difendere l’indifendibile:

«Prima o poi ti ammazzo è una espressione delle nostre parti. Mia moglie non l’ho mai picchiata, al massimo smanate e schiaffettoni che non lasciano il segno, la violenza vera è quella che ti manda all’ospedale e Barbara non è mai finita al pronto soccorso».

Roberto Spaccino aveva pianificato benissimo l’omicidio. Si trattò infatti una morte annunciata, lucida e premeditata. Infatti, l’uomo, aveva simulato una rapina finita male, mettendo in disordine la casa e facendo sparire tutti i gioielli.

Questo però non bastò per salvarsi. Fu così incastrato per il suo atteggiamento contraddittorio e rinchiuso in carcere in attesa del processo.

Al processo per la morte della moglie Barbara Cicioni, 33 anni, incinta di otto mesi, Roberto Spaccino rise. Accusato di omicidio aggravato e violenza in famiglia, la pm Antonella Duchini gli fa delle domande sugli schiaffi che dava spesso a sua moglie e che lui considerava parte integrante del ménage famigliare. Infatti, secondo Spaccino sarebbero “sventoloni”, “smanate” non botte, perché le botte «sono quelle che lasciano il segno», «quelle che mandano in ospedale e mia moglie non c’era mai finita». Roberto diceva spesso «io questa prima o poi l’ammazzo», l’uomo precisa che questo è un modo di dire di Marsciano, «un intercalare nostro, mio e di mia moglie».

Durante il processo di un uomo che lucidamente strangolò sua moglie, emergono scenari inquietanti. Il maschilismo di un uomo, ben inserito in un contesto, dove le donne sono viste  come “puttane”, dove dalle mogli ci si aspetta serietà, mentre agli uomini è concesso frequentare altre donne. Infatti, nell’aula della Corte d’Assise di Perugia, l’uomo scherza con gli avvocati. Si reputa un uomo perbene, un marito modello e un padre perfetto per i suoi due figli che aveva avuto con Barbara,  non si ubriaca, non fuma, non gioca d’azzardo,  al massimo frequentava qualche night, tradiva talvolta la donna con le clienti della lavanderia e prostitute, poiché «Certo che la gelosia di Barbara mi dava fastidio, io le dicevo che non c’era niente. Del resto lei che ne poteva sapere? E le avventure, si sa, ce l’hanno tutti».

Se tradire una moglie era per lui normale, tuttavia poteva insinuare che la figlia nel grembo di Barbara non era sua ed esternare una morbosa gelosia nei suoi confronti. Perché un uomo è legittimato a tradire, una donna non può nemmeno divorziare. Infatti le urlava spesso “sei una puttana come tua madre“, perché aveva divorziato presto da un marito violento; la umiliava con appellativi come “sei un cesso” e “sei grassa”.

La sera della sua morte avevano litigato, Roberto insisteva per andare quella sera tardi a fare il distillo in lavanderia, Barbara sospettava che fosse una scusa per dedicarsi a nuove scappatelle, lui per questo la picchiò. Lei si coprì con un cuscino davanti la faccia per attutire i colpi e non svegliare i bambini, questo è almeno il racconto del marito che oggi ripete continuamente che lei gli aveva fatto male al dito, quel 24 maggio.

Come Erika e Omar, forte del pregiudizio sociale contro gli stranieri, Roberto disse che erano stati gli albanesi ad uccidere la moglie dopo una rapina nella loro villetta di Compignano, una frazione di Perugia. Una visione distorta e stereotipata della violenza ma prodotto della cultura del nostro Paese: “io non sono violento, sono violenti gli altri, gli stupratori, gli stranieri, quelli che mandano all’ospedale“. Ma poi ammette che le dava «schiaffetti»  per motivi banali e quotidiani, «se la cena non era pronta» oppure «quella volta dei calzini» andando a sfatare involontariamente lo stereotipo dello straniero marocchino o rumeno maschilista, perché queste cose le fanno anche gli italiani.

La cronaca del processo a Roberto Spaccino racconta l’esasperante quotidianità della violenza domestica del nostro Paese. Spaccino, uomo qualsiasi, è italiano,  non straniero come gli immigrati che in quel periodo facevano scalpore per alcuni stupri che balzarono alle cronache. Statisticamente, Roberto impersona l’identikit più frequente: il 69% degli stupratori è marito o fidanzato della vittima mentre soltanto il 10% dei violentatori è straniero. Stessa cosa anche per i femminicidi: quest’anno #101 donne sono state uccise, il 90% degli assassini sono italiani.

Poche ore prima del funerale di Barbara, Roberto viene arrestato. Egli ammette le liti frequenti. Roberto la picchiava per cose banali, anche se non gli chiedeva il permesso per uscire o per comprare qualcosa. Durante il fidanzamento Barbara aveva deciso di farsi un secondo buco all’orecchio. Quando Roberto se n’è accorto l’ha schiaffeggiata. Le violenze domestiche in casa Spaccino erano quotidiane.Veniva picchiata anche durante la prima gravidanza, nel gennaio dell’89. “Barbara giunta al settimo mese di gravidanza si presentava a casa mia in evidente stato di agitazione. Piangendo mi comunicava che Roberto l’aveva maltratta e picchiata ripetutamente per un motivo banale: “non trovava i calziniricorda Elisa Cicioni, la zia.

Ancor più violenta è la reazione di Roberto alla notizia della terza gravidanza. “La insultò dicendole che doveva far riconoscere il figlio da suo padre, che il figlio non era suo e che avrebbe dovuto abortire“. Minacciata con una roncola anche dal suocero, definita abitualmente “indolente e maiala“, picchiata ripetutamente davanti ai figli che la disegnano poi a terra “sporca di sangue”.

Tutto il paese sapeva che Roberto picchiava Barbara anche in presenza dei figli. Violenze che il figlio maggiore apprende e imita “utilizzando frasari e metodi analoghi a quelli del padre” mentre il più piccolo un giorno colpì con una scopa il papà che sta pestando la moglie. In paese l’omertà era troppo forte, come spesso accade nei piccoli paesi dove i panni sporchi si lavano in famiglia. Roberto era uno di paese, non uno straniero per essere linciato dalla folla, ma un padre di famiglia che portava i bambini a calcio.

Lui e Barbara si erano conosciuti ad una sagra di paese quando lei aveva appena quattordici anni e lui 18. La donna aveva vissuto il divorzio dei genitori (a causa delle violenze che subiva  sua madre) in maniera traumatica, per questo non voleva separarsi, per non dare lo stesso dolore ai figli. Il marito la accusava che il figlio che portava in grembo non era suo. La accusava di averlo tradito, quando invece era lui a tradirlo con numerose donne, mostrando un atteggiamento contraddittorio: Malgrado questa sua gelosia, lui non tollerava che la moglie poteva essere altrettanto gelosa e la picchiava anche per questo. Le frequentazioni del marito di Barbara sono varie, dal rapporto sessuale con una spogliarellista in cambio del lavaggio di un tappeto del valore di 36 euro, dai week end annuali alle terme dove trovava gradevole la compagnia femminile. Dai verbali dell’udienza, infatti, emerge la dicotomia machista: a casa la moglie e madre casta, fuori le “puttane” ma anche la credenza sessista che tollera (e legittima) l’adulterio maschile ma non il contrario.

L’atteggiamento maschilista di Spaccino è classico di un Paese che ha avuto un ex-Presidente del Consiglio che fu simbolo di tale cultura. A causa di questi elementi, l’assassinio di Barbara fu  il primo ad essere stato denominato femminicidio durante il processo che condannava Spaccino all’ergastolo.

Il processo Spaccino, al di là della cronaca giudiziaria,  mostra i moventi di un femminicidio in piena regola: la madre di Roberto chiama «puttane» le donne che il figlio frequentava, difendendo un uomo che minimizzava le botte e considerava Barbara una «moglie sfaticata», la famiglia di Spaccino che minacciava la moglie di prenderla a falciate sul collo quando si difendeva dalle violenze del marito, un contesto maschilista dove anche la madre di Barbara fu vittima di violenze da parte del marito, padre di Barbara. Le femministe che fanno i sit-in fuori dall’aula.

Spaccino non si pentì per la morte della moglie e durante il processo pianse soltanto quando perse la sua patria potestà. I bambini della coppia si trovano con i genitori della madre. Il legale dei genitori di Barbara Cicioni, l’avvocato Valeriano Tascini, ha spiegato che i suoi assistiti «non intendono fare commenti» su quanto successo. I figli della coppia la notte del delitto dormivano in una stanza accanto a quella della madre, ma non si sarebbero accorti di nulla. Nei giorni scorsi i nonni, che sono separati, hanno rivelato loro della morte della madre e della sorellina che aveva in grembo, parlando di una malattia. Rivelare questo per loro sarebbe un dolore grandissimo. Del resto chi potrebbe tollerare questo?

Repubblica

Arrestato il marito di Barbara Cicioni – Urla della folla: “Sei un bastardo”

I legali: “E’ molto dispiaciuto di non poter partecipare ai funerali”

Il pm: “Gravissimi maltrattamenti pregressi nei confronti di moglie e figli” – L’avrebbe ammazzata di botte con il figlio che portava in grembo e ora è anche accusato di aver maltrattato gli altri due suoi figlioletti. L’assassino della donna incinta di Marsciano sarebbe il marito. Oggi, poche ore prima dei funerali di Barbara Cicioni, Roberto Spaccino è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario condita da una serie di aggravanti.

L’uomo si è presentato nella caserma dei carabinieri di Masciano, in mattinata, accompagnato dai suoi legali, Michele Toti e Luca Gentili. Poi, è stato trasferito nel carcere di Capanne, a Perugia. Fino alle 4 del mattino era stato, insieme al suocero, a vegliare la salma della moglie, nella camera ardente allestita nella chiesa di Morcella, frazione di Marsciano, dove oggi si sono svolti i funerali della donna. Intorno alle 15.20 Spaccino ha lasciato la caserma: jeans e camicia a quadri, impassibile, è salito su un’auto dei carabinieri. Decine di persone accalcate di fronte alla caserma lo hanno insultato chiamandolo “bastardo” e invocando per lui la pena di morte.

Le indagini erano arrivate a una soluzione ieri sera: l’assassino è stato tradito da una macchia di sangue. Spaccino – è scritto nel comunicato diffuso dal sostituto procuratore che coordina le indagini, Antonella Duchini – “è stato tratto in arresto, indagato per i delitti di omicidio volontario aggravato (futili motivi, crudeltà verso la vittima, rapporto di coniugio) per aver cagionato la morte della moglie Barbara Cicioni, maltrattamenti nei confronti della medesima e dei figli minori, calunnia nei confronti di ignoti, simulazione di reato”. Gli indizi, si legge ancora nel comunicato, sono indicati in ”pregressi, usuali, gravissimi maltrattamenti nei confronti della Cicioni, comprendenti violenze fisiche e morali; nella palese simulazione dei reati di furto e rapina; nelle cause della morte (meccanismo combinato di natura asfittica – soffocamento – e neurologico – inibizione da compressione del nodo del seno con conseguente bradicardia – arresto cardiaco, derivante principalmente da azione violenta produttrice di lesioni di natura contusiva profonda); nell’ora della morte contrastante con la versione dell’indagato”.

Le indagini, prosegue la nota, anche se giunte a una svolta decisiva, “proseguono in ogni direzione per l’ulteriore raccolta di elementi idonei a valutare la possibilità di sostenere o meno l’accusa in giudizio nei confronti di Spaccino Roberto”. Tra l’altro, è probabile che gli inquirenti stiano cercando di appurare se e come Spaccino ha ricevuto aiuto da terze persone: se non nell’uccidere, almeno, nelle ore successive, nel tentativo di crearsi un alibi e nel sostenere una versione, quella della rapina, apparsa subito poco credibile agli investigatori. I legali non potranno parlare con il loro assistito fino all’interrogatorio, “sappiamo che c’è stata una richiesta di custodia cautelare da parte della Procura – dicono – che è stata accolta dal gip e che è in corso di esecuzione, con divieto di colloquio con i difensori”.

Lasciata la caserma di Marsciano, i due avvocati si sono recati dai familiari di Spaccino. Stando a quanto riferito da Toti e Gentili, il primo pensiero dell’uomo, quando ha lasciato la sua abitazione di Compignano per recarsi in caserma, è stato per i funerali della moglie: “Al di là del disagio che sta vivendo, c’è questa ulteriore amarezza di non poter essere oggi alle esequie”.

Il Tam Tam

Carcere a vita per Roberto Spaccino per l’omicidio di Barbara Cicioni

La sentenza della Corte d’Assise di Perugia è arrivata dopo quasi dieci ore di camera di consiglio

Carcere a vita per Roberto Spaccino, invio degli atti alla Procura per l’ipotesi di falsa testimonianza a carico di Gerardo Spaccino (il padre), Michele Spaccino (il cugino), Claudia Argentini (la cognata) e Lorena Lombrici (la cugina), nonchè trasferimento degli atti a Firenze per il reato di favoreggiamento a carico di un avvocato della difesa (avrebbe fatto uscire dalla cella una lettera dell’imputato) e di un altro per oltraggio a magistrato in udienza, commesso secondo il pm, nel corso dell’ultima requisitoria.

Le decisioni della Corte d’Assise di Perugia, nel processo per l’omicidio di Barbara Cicioni, 33 anni, moglie di Spaccino, incinta di otto mesi e madre di due bambini, sono arrivate dopo circa dieci ore di camera di consiglio e sono state lette dal presidente Giancarlo Massei, lo stesso del processo per l’uccisione della studentessa inglese Meredith Kercher.

In pratica i giudici hanno confermato l’intero impianto accusatorio, escludendo soltanto l’aggravante della particolare crudeltà.

La Corte ha anche riconosciuto le statuizioni relativo ai risarcimenti delle parti civili, anche se saranno da quantificare in sede civile. Fissate le provvisionali: 300 mila per i figli Nicolò e Filippo, 50 mila euro per il padre e la madre della vittima, Paolo Cicioni e Simonetta Pangallo, 20 mila e 10 mila euro, rispettivamente, per gli zii Elisa Cicioni e Massimo Buconi.

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