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Alessandra Pelizzi, 19 anni, studentessa. Uccisa dall’ex fidanzato che la trascina con sè nel volo dal settimo piano di un palazzo, dopo 45 minuti di tortura

Milano, 16 Settembre 2014

alessandra-pelizziLei era innamorata della vita. Lui no.


Titoli & Articoli

“La ragazza urlava, lui l’ha abbracciata e l’ha trascinata giù” (Today – 16 settembre 2014)
Particolari agghiaccianti sulla morte dei due ragazzi caduti nel vuoto dal settimo piano di un condominio di Milano. Una testimone: “Lui l’ha trascinata giù“. Tra i due una relazione finita da poco
Un anno fa ci aveva provato da solo. Un’ora in bilico sul balcone, poi il salvataggio in extremis. Questa mattina, invece, avrebbe deciso di cambiare il suo piano folle: di renderlo ancora più tragico. Sarebbe salito al settimo piano con la sua fidanzata e l’avrebbe trascinata nel vuoto con lui, forse per farle pagare quella relazione finita troppo presto.
E’ agghiacciante la prima ricostruzione del dramma che si è consumato questa notte nel quartiere Affori, a Milano, dove Alessandra Pelizzi, una ragazza di diciannove anni e Pietro di Paola, un ragazzo di venti, sono morti dopo essere caduti dal settimo piano di un palazzo. Ad assistere al tutto, una modella straniera che abita nel condominio di una delle vittime, in via Novaro.
“Lui l’ha trascinata giù – ha raccontato in un bar la giovane, come riporta il ‘Corriere della Sera’ – quando abbiamo sentito il rumore pensavamo fosse un colpo di pistola ma la polizia lo ha escluso”. La stessa polizia che al momento chiarisce di non aver ricevuto nessuna testimonianza di questo tipo. “Ho sentito delle urla di aiuto, la voce di una ragazza che gridava”, ha raccontato un’altra condomina. “Gridava aiuto, aiuto, era attorno a mezzanotte e mezza. Abbiamo chiamato la polizia e poco dopo abbiamo sentito un rumore terribile. Un tonfo incredibile, agghiacciante. A questo punto credo che fosse la sua fidanzata. Di recente sembra che si fossero lasciati.”
Alla base del presunto omicidio-suicidio potrebbe esserci proprio la storia finita da poco tra i due. Anche se,secondo quanto raccontato da un testimone, il ventenne, di origini brasiliane ma in Italia da sempre, aveva già tentato il suicidio un anno fa.  Sono stati i poliziotti, allertati dai vicini, a trovare il corpo senza vita della ragazza, in un seminterrato del palazzo. Il giovane, invece, è deceduto poco dopo all’ospedale San Gerardo di Monza.

 

Gli amici di lei: “lui era un mostro” (Giornalettismo – 18 settembre 2014)
Chi conosceva Alessandra, la ragazza di 19 anni che lunedì notte a Milano è morta dopo essere stata lanciata nel vuoto dal suo ex fidanzato, trova difficoltà a controllare la rabbia. La scomparsa di una persona cara è sempre un vicenda difficile da accettare. Ma stavolta a ferire è anche l’efferatezza dell’omicida, Pietro Maxyimilian Di Paola, 20 anni, che aveva premeditato nei dettagli il suo folle gesto. In una lettera scoperta dopo l’uccisione e il suicidio, il giovane raccontava di provare «un odio così forte da essere felice di sacrificare la propria vita per far provare all’altro la vera tristezza».
«ERA UN MOSTRO» – All’obitorio civico dove giungono per l’ultimo saluto ad Alessandra, gli amici non usano mezze misure. Il Giornale raccoglie oggi il loro pensiero in un articolo a firma di Paola Fucilleri. Gianandrea, compagno di classe della ragazza, afferma: «Un mostro: aveva progettato tutto nei minimi dettagli, con una cattiveria che non si riesce a descrivere perché è difficile anche solo immaginarla. Avete letto quandoscrive ‘Un odio così forte da essere felice di sacrificare la propria vita per far provare all’altro la vera tristezza’? È agghiacciante. Cos’ha di diverso in fondo il Dipa da quegli stalker che finiscono per ammazzare la moglie che li ha lasciati o la fidanzata che se n’è andata? Niente. Anzi è peggio. Perché lui era un ragazzo con la vita davanti, non un vecchio senza speranza, senza futuro. E poi non poteva decidere per l’Ale, non poteva, no».
LEGGI ANCHE: «Prima di ucciderla le ho fatto provare il terrore di perdere tutto»
«NESSUNO VADA AI FUNERALI DI LUI» – Non fa sconti nemmeno Francesco, che mentre scuote la testa dice: «Chissà come l’ha ridotta quel pazzo. Ha scritto anche: ‘Ho sfogato 7 anni di dolore in 45 minuti di terrorismo psicologico. (…) Le ho fatto provare il terrore di perdere tutto, amici, famiglia e futuro…’. Povera Ale! Nessuno deve andare ai funerali di quel ragazzo: non ha avuto pietà, ha deciso per lei e non ne aveva il diritto… Scriva, scriva che nessuno deve andare ai funerali del Dipa. Noi lo conoscevamo poco ma ci ha portato via la nostra amica, una ragazza meravigliosa, ce l’ha strappata».

 

La vita brevissima, eppure misteriosamente compiuta, di Alessandra Pelizzi, uccisa a 19 anni (Tempi – 6 ottobre 2014)
È stata strappata a questo mondo ancora giovanissima dal suo ex fidanzato. Le cronache, le speculazioni, il dolore. Ma nelle parole dei genitori e degli amici prevale la certezza che in lei «qualcosa stava accadendo». E non è finita
«Il nostro famoso motto di famiglia era: sorridere, salutare, ringraziare», esordisce mamma Paola con voce pacata, da cui trapela una forza buona e tenace. Una cordialità ospitale contraddistingue i volti e i modi della famiglia Pelizzi, anche ora che, di fronte a me, parlano di una figlia che hanno perso. Ascoltandoli, il pensiero va a quella frase del Vangelo sul seme che, caduto a terra, morendo dà frutto. Che questa provocazione possa farsi esperienza concreta, pare impossibile; eppure, se il riverbero di un mistero simile accade vicino a noi, sappiamo accorgercene? O ci limitiamo, piuttosto, a fissare il punto dove il seme è caduto? Per qualche giorno, le luci dei riflettori della cronaca si sono fissate sul tragico evento che ha coinvolto Alessandra Pelizzi, e lei è diventata semplicemente quella giovane 19enne buttata giù dall’ottavo piano dall’ex-fidanzato Pietro la notte tra il 15 e 16 settembre a Milano. Si sono usate le solite etichette facili (femminicidio, omicidio-suicidio) che fanno presa, ma non abbracciano nulla; poi, passato il clamore, si è girata in fretta pagina. Anche in questo caso, è parso che il compito della cronaca fosse solo quello di guardare giù, nel punto più basso della parabola del seme caduto.
Ma lo sguardo di Alessandra non era abituato a fissarsi in basso, semmai lei guardava in alto e attorno, come è tipico di una giovane ragazza appena diplomatasi al liceo e pronta per l’università. Scegliere, ora, di raccontare un po’ di cosa c’era dietro e dentro quegli occhi «ridenti e fuggitivi», ha lo stesso senso per cui Leopardi parlò di Silvia alla sua morte: non ne fece un monumento di edulcorata venerazione, ma documentò cos’è il fiorire di una presenza umana nella sua cornice di mondo. «Suonavan le quiete stanze», dice il poeta, perché ogni semplice presenza umana è un canto tra quattro mura, è una coscienza che si esprime e bussa in cerca di senso. Per questo ogni voce è sempre e in ogni caso un miracolo, che merita ascolto. Negli ultimi mesi, anche Alessandra stava facendo i conti con questo, e in particolare con la voce di chi aveva trovato un senso buono dentro la drammaticità dell’esistenza. Alla maturità aveva portato una tesina su Frida Kahlo intitolata Viva la vida e le amiche raccontano con quanto entusiasmo le invitasse a leggere – ma era quasi un caloroso obbligo – quel libro che lei aveva riempito di segni e “orecchie”, Un uomo di Oriana Fallaci. Queste figure femminili, che altri userebbero per teorizzare di femminismo e politica, a lei interessavano come nutrimento umano, come indagine sincera di chi, avendo conosciuto la sofferenza, dimostrava una presa salda e vigorosa sulla vita. Anche solo questo ricordo di ciò che aveva catturato il suo interesse negli ultimi mesi, lascia a chi resta un compito audace da adempiere e non solo il bruciore straziante della ferita. Papà Carlo, alla veglia funebre, ha detto: «Nella tesina Alessandra scrive: “La pittrice ha dimostrato che la vita ha valore di per sé e che le gioie e i momenti di felicità sono di una ricchezza incommensurabile”. È così che la vogliamo ricordare, come una ragazza che amava la vita senza però ignorare che la vita può anche significare dolore. Dolore che noi, nel suo ricordo, affronteremo e lotteremo per trasformarlo in amore».
«Stava cominciando ad aprirsi» E proprio le parole, che papà Carlo sceglie con cura nel raccontarmi di sua figlia, lasciano intendere una memoria che non vuole solo chiudere e sigillare un passato. Infatti, non posso fare a meno di notare che, mentre mi parla, il signor Carlo usa in gran parte verbi che parlano di inizio: «Qualcosa stava accadendo», «era in corso un grande cambiamento», «stava cominciando ad aprirsi». È la voce di un genitore che si sente lì, presente eppure non in primo piano, ad assistere al passo sicuro di una ragazza che cominciava a inoltrarsi oltre il recinto di famiglia. Carlo racconta, ad esempio, che Alessandra aveva recentemente «scoperto» il tramonto. Dopo aver trascorso bellissime vacanze coi genitori in Florida e alle Hawaii, lì dove si dice che ci siano i tramonti più belli al mondo, poco tempo fa Alessandra aveva riempito il cellulare con migliaia di foto scattate a un tramonto vicino a casa, visto per sbaglio insieme agli amici una sera in cui avevano perso l’autobus. È un segno in cui un genitore vede riflesso un gratificante riscontro del compito educativo svolto: tu accompagni i figli a scoprire le cose, magari facendo salti mortali o il giro del mondo, perché poi loro sappiano godere e meravigliarsi del bello che c’è a un metro da casa.


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